STEFANO MANDUZIO

11 febbraio 2011 Un giudice veneziano teste a Palermo Il giudice STEFANO MANDUZIO, sentito a palermo dal Tribunale ha sostenuto che nel 1992 Paolo Borsellino, da lui conosciuto quando era pubblico ministero ad Agrigento, si confidò con lui parlandogli della propria difficoltà ad operare con l’allora procuratore Pietro Giammanco e spiegò che molti dei contrasti interni alla Procura palermitana nelle inchieste per mafia dipendevano dal rapporto su Cosa Nostra e appalti presentato dal Ros dei carabinieri. «Borsellino mi disse pure che questa frattura tra i pm e il Ros doveva essere sanata», ha infine affermato il giudice veneziano (è presidente di uno dei due collegi del Tribunale penale lagunare).  E’ stato chiamato come testimone perchè avrevve avuto uno degli ultimi colloqui sostenuti da Paolo Borsellino prima di essere ucciso da un attentato in via D’Amelio: il processo è quello nei confronti dell’allora capo del Ros Mario Mori, poi diventato direttore del servizio segreto civile, e del colonnello dell’Arma Mario Obinu, imputati di favoreggiamento per aver evitato di arrestare Bernardo Provenzano pur sapendo, grazie ad un confidente, dove si nascondeva. E questo per far procedere la trattativa Stato-mafia in modo da far cessare la stagione delle stragi in cambio di concessioni.  Al centro dell’udienza di ieri a Palermo la questione del carcere duro (il 41 bis) per i boss siciliani, che nel 1993 il ministro della Giustizia di allora Giovanni Conso abrogò per trecenti di loro.

22 dicembre
2010 Anche il giudice Manduzio teste a Palermo. Toccherà anche al magistrato Stefano Manduzio – di origine vicentina, ma ormai da anni a Venezia, prima come giudice delle indagini preliminari e ora come presidente di uno dei due collegi penali del Tribunale – testimoniare nel processo che a Palermo vede sul banco degli imputati il generale dell’Arma Mario Mori, prima a capo del Ros e poi del servizio segreto civile, per la presunta trattativa con Cosa nostra tra la prima strage, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta, e la seconda, in cui perirono Paolo Borsellino con la sua scorta. Nel giugno 1992, Stefano Manduzio era pubblico ministero ad Agrigento e, dopo la morte di Falcone, ebbe occasione di parlare a lungo con Borsellino, che dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo si occupava proprio delle attività dell’organizzazione criminale nell’agrigentino, dove operava il magistrato ora a Venezia. La dfesa vuole sapere i contenuti di quel colloquio e il Tribunale palermitano ha convocato Manduzio per l’udienza dell’11 gennaio.  Quel giorno a testimoniare ci saranno anche Alfonso Sabella, un altro magistrato che collaborò con Borsellino, ed Edoardo Fazioli, ed vicedirettore del Dipartimento amministrazione penitenziaria. Fazioli ha già raccontato che nel 1992 al Dipartimento si discusse della possibile applicazione di un regime carcerario differenziato ai mafiosi che si fossero dissociati. Una circostanza ritenuta interessante dai magistrati che indagano sulla trattativa.