19 giugno 2019  Al “processo Depistaggio” il  controesame Scarantino: ”A domande sui magistrati non rispondo”.

“Per ogni domanda che riguarda i magistrati mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Lo ha ribadito per due volte Vincenzo Scarantino, il falso pentito che oggi è stato sentito in dagli avvocati dei poliziotti Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, Contrariamente a quanto aveva fatto lo scorso 29 maggio, Scarantino ha scelto di non deporre su questo tema, considerato che nel frattempo è emersa la notizia dell’iscrizione sul registro degli indagati dalla Procura di Messina dei magistrati Annamaria Palma e Carmelo Petralia, accusati di calunnia aggravata dall’avere agevolato Cosa nostra.  In particolare Scarantino non ha voluto rispondere alla domanda dell’avvocato Giuseppe Seminara, il legale di Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, che gli ha chiesto se nel 1995 e 1996, quando l’ex pentito collaborava con i magistrati, i verbali degli interrogatori gli erano stati consegnati da Fabrizio Mattei attraverso la ex pm Annamaria Palma. Un’accusa che in passato, al processo “Borsellino quater”, il falso pentito aveva sostenuto. In questa occasione però Scarantino ha più volte risposto di non ricordare per poi aggiungere: “Sono affetto da una vecchiaia precoce e non mi ricordo…”. Salvo poi avvalersi della facoltà di non rispondere.  Scarantino ha ricordato ancora una volta la genesi della sua collaborazione generata dalle continue vessazioni e dai maltrattamenti subiti quando era detenuto al carcere di Pianosa: “Mi convinsi a collaborare con gli inquirenti a causa del terrorismo psicologico che subivo in carcere a Pianosa. Tutto il terrorismo che mi hanno fatto, non solo mentale ma anche fisico. E’ stato un cumulo di tante cose”.“Non era mia abitudine spacciare eroina. Qualche volta è successo, ma non era la mia attività. Non mi sono mai occupato di ricettazione di auto e furti. I miei fratelli lavoravano con le sigarette, rubavano, ma non so se hanno lavorato con la droga. Forse qualche ‘passaggino’ lo facevano”. “Non avevo la capacità di memorizzare tutto quello che mi dicevano. Io ero un collaboratore e non un pentito. Il pentito si pente delle cose. Loro attraverso me volevano che nascessero altri pentiti. Per me queste torture sono state insopportabili”.