L’ex pm antimafia: “Falcone e Borsellino?. Due amici lasciati soli”

 


Teresa Principato è stato il primo magistrato donna a combattere Cosa nostra. Da domani online i vodcast di Qn: grandi interviste a donne speciali.

 

 C’è chi sogna di svuotare il Mediterraneo con un secchiello, chi di sciogliere i ghiacciai con un fiammifero e chi di sconfiggere la mafia applicando la legge. “È una frase che disse Paolo a Giovanni”. Paolo è Borsellino, Giovanni è Falcone. “Anch’io sognavo un mondo diverso. E pensavo che solo la magistratura potesse regalarmelo”.
Mai pensato di rinunciare? “Sì, ma ho scelto di non tradire i miei valori di fronte alla Sicilia rassegnata alla corruzione, alla politica compromessa, agli amici caduti nella guerra ai padrini. Troppi morti, ho visto. Quando si viene uccisi in modo selvaggio, con il tritolo, ti assale lo scoramento”.
Teresa Principato è la prima pm antimafia d’Italia. In un’intervista con Agnese Pini, direttrice di Qn, il Resto del Carlino, La Nazione e il Giorno (il video sarà online domenica nella sezione ’Qn x le donne’) ripercorre la sua vita privata e i 40 anni di lavoro al servizio dello Stato: gli avamposti di Caltanissetta, Palermo e Trapani, fino alla Direzione nazionale antimafia; la stagione inquinata nel Palazzo dei veleni, il clima d’odio, delegittimazione e rancore (“L’ho provato sulla mia pelle”); le inchieste del pool, l’ostilità attorno a Falcone e Borsellino, gli attentati, i poteri occulti, i depistaggi, le toghe sporche, i falsi pentiti e l’invasività di Cosa nostra ad ogni livello della società civile.
Siciliana” è il titolo del suo ultimo libro. Cronache di una vita di donna e magistrato in prima linea. Un incipit lapidario (due parole: “Sono siciliana”) che è un manifesto identitario. La prima battaglia di Principato, la Teresa bambina, è stata contro i pregiudizi. “Mi disturbava il fatto che la mia sicilianità fosse sempre associata al contesto mafioso”. In famiglia, invece, c’erano le pressioni del padre. “Mi aveva inculcato l’idea che gli uomini sono molto più forti e in gamba delle donne. E allora parlavo da uomo, mi vestivo da uomo. Un inesorabile mascheramento quotidiano. Solo quando ho acquisito maggiore sicurezza ho deciso di essere di nuovo donna”. La madre era professoressa di latino e greco. “Ho cercato il suo amore per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Era algida, fredda. Mai un bacio o una parola affettuosa. Sono cresciuta bulimica d’amore e penso di aver sostituito quest’assenza con il demone del lavoro. Mio figlio non mi perdonerà mai”.

È in questa fase della vita che Principato scopre la forza dei sogni: impegno civile, fame di giustizia. “Sognavo di cambiare tutto e ottenere una parità vera fra gli uomini. Non ci sono naturalmente riuscita… Ma d’altra parte sognatori erano Giovanni, Paolo e tanti altri, giudici, sindacalisti, preti, giornalisti che volevano un mondo diverso e si adoperavano con coraggio”. Per essere credibili bisogna morire? “È una frase che diceva sempre Giovanni. Che era un uomo solo, assolutamente solo. La solitudine è una condizione che accomuna molte vittime di mafia, da Gaetano Costa a Carlo Alberto dalla Chiesa. Anch’io mi sono sentita sola, alla fine”. Sola davanti a un destino che sembrava segnato: magistrati a tempo. “Al picchetto per le vittime di Capaci, Paolo ci disse: ’Ragazzi, chi vuole continuare, continui. Ma sappiate che finiremo lì, in quelle bare’”.

Una vita. Ma non può bastare un libro a raccontarla. Fallito attentato dell’Addaura, 21 giugno 1989, cinquantotto candelotti di dinamite davanti alla villetta affittata da Falcone: “Quando gli telefonai, mi rispose: ’Questa volta è stata una cosa molto seria. Dietro ci vedo non solo la mafia, ma menti raffinatissime’. Già sapeva che dietro la sua morte, che dava già per sicura, non ci fosse solo la mafia.
I Servizi sono stati dietro ogni strage”. Servizi segreti che entrano anche nella caccia a Matteo Messina Denaro. “Antonio Vaccarino, sindaco di Castelvetrano, lavorava per loro sotto il nome di ’Svetonio’. Prese contatti con il boss, gli propose un affare e da lì partì un fitto carteggio. Messina Denaro si firmava ’Alessio’ e in quella trattativa chiese anche un parere a Provenzano. Le carte di quelle conversazioni non vennero ritenute utilizzabili dalla Procura di Palermo, e il lavoro si perse. Ma quello rimane il momento in cui i Servizi arrivarono più vicini a Matteo Messina Denaro”.
Qual è stato il momento peggiore della sua carriera? “Quando Dell’Utri e Cuffaro sono tornati in Sicilia, acclamati dai cittadini, dopo le condanne per associazione mafiosa. Ho pensato che forse il risultato non valesse tanta fatica. Lo diceva Paolo Borsellino: “Il rapporto tra politica e mafia è maleodorante”.


“Falcone me lo confidò, si sentiva lasciato solo”: il racconto di Teresa Principato

 L’impegno di una vita contro la mafia, il suo rapporto professionale con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Teresa Principato, già Procuratrice aggiunta a Palermo e componente della Direzione Nazionale Antimafia ne parla nella sua autobiografia presentata, nei giorni scorsi, nella Sala delle Capriate di Palazzo Steri, dal titolo “Siciliana”.

Alla presentazione del libro, oltre all’autrice, sono intervenuti Massimo Midiri (Rettore dell’Università degli Studi di Palermo), Giovanna Fiume (Professoressa Ordinaria di Storia Moderna UniPa) e Giovanni Fiandaca (già Professore Ordinario di Diritto Penale UniPa).

L’infanzia di Principato

Principato, nota soprattutto per essere stata a capo per ben otto anni del pool preposto alla ricerca di Matteo Messina Denaro, ripercorre nel volume la sua intera storia, a partire dall’infanzia vissuta a Naro, in provincia di Agrigento. Una storia – quella della famiglia di origine di Principato – comune a tante donne siciliane: fatta da un padre che voleva che la figlia si facesse valere proprio come se fosse un uomo e da una madre anaffettiva, le cui attenzioni doveva fare di tutto per catturare.

L’autrice nel volume racconta la lotta alla criminalità organizzata dalla sua peculiare prospettiva non solo di magistrata, ma anche (e, forse, soprattutto) di donna e di siciliana nata negli anni Cinquanta nell’entroterra siculo, in un contesto intriso di patriarcato, che dapprima tende ad assecondare, per poi discostarsene del tutto.

L’esperienza con Falcone e Borsellino

In un ordinamento come quello italiano, in cui l’accesso alla magistratura per le donne viene ammesso solo a partire dal 1963, l’esperienza di Teresa Principato come donna in prima linea contro la mafia è colma di significato. Significativo il suo lavoro a Palermo al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, più volte ricordati anche in diversi episodi di vita quotidiana tanto nel libro quanto nella presentazione allo Steri. Fra tutti Principato ha raccontato la telefonata che fece a Falcone per manifestargli la sua solidarietà dopo il fallito attentato all’Addaura: «Addirittura alcuni colleghi dicono che l’attentato me lo sia fatto da solo», confessò alla collega, rendendole manifesto il clima di solitudine in cui si trovava a operare.

La barbara uccisione dei due giudici avviene in un clima di veleni anche interno al Palazzo di Giustizia da cui nemmeno Principato viene risparmiata: l’autrice non lesina critiche ai vari Procuratori succedutisi nel tempo, per essere stati troppo prudenti in fasi investigative che avrebbero richiesto maggiore rapidità nell’azione, per una maggiore efficacia nel contrasto a Cosa nostra.

«La storia della migliore magistratura italiana»

Giunta a Trapani, per Teresa Principato si intensifica l’impegno nella caccia a Matteo Messina Denaro a cui, com’è noto, si è giunti solo a gennaio 2023. Le piste investigative da lei seguite venivano puntualmente fatte sfumare nel nulla a causa di ordini superiori e il super boss continuava a rimanere sotto gli occhi delle istituzioni, senza magicamente essere visto.

La carriera quarantennale di Teresa Principato è stata degna di essere definita da Antonino Di Matteo, nel corso del plenum del Consiglio Superiore della Magistratura, quella di una «rappresentante della storia della migliore magistratura italiana dopo il 1992». Per questo la presentazione del libro ha visto la partecipazione anche di alcuni studenti del Corso di Laurea in Giurisprudenza, che a margine dell’iniziativa hanno avuto la possibilità di soffermarsi con Principato.

Ma la storia di Principato, oggi, è comunque quella di una delle più impegnate lottatrici contro la ferocia di Cosa Nostra: una storia degna di essere raccontata, letta e riconosciuta con la massima gratitudine.

L’ex pm che indagò su Messina Denaro: «Sempre ostacolata, ho pensato che non lo volessero arrestare»

 

 

 

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