Al contribuente italiano gli errori giudiziari costano oltre 40 milioni all’anno

 

E NON CHIAMATELI ERRORI GIUDIZIARI…

Un grosso sbaglio.  Un vulnus permanente all’Articolo 1 della Costituzione che assegna al popolo la sovranità.  Questo il quadro che emerge dal libro “La Repubblica delle Toghe”, appena uscito per La Bussola Edizioni, in cui la giornalista Rita Pennarola pone a confronto gli assetti dei Consigli Superiori della Magistratura nei Paesi democratici, per giungere ad una proposta di riforma costituzionale dai contorni epocali: la modifica dell’Articolo 104 sulla composizione numerica dei membri del CSM.
L’Italia è infatti l’unico Paese – emerge dalla ricerca – in cui non esiste reciprocità fra Parlamento ed ordinamento giudiziario, perché all’interno del CSM la quota assegnata ai rappresentanti prescelti dalle Camere è assolutamente minoritaria (un solo terzo, contro i due terzi dei magistrati di carriera) e, dunque, di carattere meramente consultivo, se non addirittura figurativo.

Da qui, da questa anomalia originaria, tutta italiana, secondo la giornalista discendono tutti i guasti della giustizia nostrana, che arrivano ad inficiare il PIL e i risultati economici del nostro Paese. L’abbiamo intervistata.

Cominciamo entrando nel vivo dei tradizionali mali della giustizia italiana e partiamo dagli errori giudiziari.

Il termine “errori giudiziari” è di per sé fuorviante, perché fa riferimento a problemi per così dire veniali, a sbagli che fanno parte dell’essere umano.

E invece?

E invece dobbiamo più correttamente parlare di un gigantesco errore, questo sì, che è alla base dell’ordinamento giudiziario: la composizione del Consiglio Superiore, che lascia solo uno spazio residuale ai rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti. Questo fa sì che i magistrati abbiano la sicurezza e il privilegio di potersi giudicare da soli, all’interno della loro stessa categoria. Facoltà che è inesistente in qualsiasi altro Paese che si definisce democratico.

E secondo lei da questo giudizio per così dire autoreferenziale, sul loro operato, discendono i cosiddetti errori giudiziari?

Guardi, come documento nel libro, gli italiani ogni anno pagano di tasca propria una cifra che si aggira mediamente sui 42 milioni di euro per riparare le ingiuste detenzioni, che sempre in media nel nostro Paese sono oltre “500 l’anno. In Spagna la somma che lo Stato paga per ingiuste detenzioni è di circa 100.000 euro l’anno e i casi, in media, sono solo 7. In Francia la percentuale è ancor più bassa, per una spesa media sugli 80.000 euro circa all’anno. Questi sono numeri ufficiali. Poi, se vuole, i 547 casi di cittadini che in Italia ogni anno varcano da innocenti le porte del carcere e magari ci restano a lungo, continui pure a chiamarli “errori” giudiziari…

Errare humanum est. Insomma, secondo lei, questa massima non vale anche per i magistrati?

Una cosa sono gli errori che possono capitare, altra cosa è un guasto sistemico, la confort zone di essere giudicati in casa, la certezza di autorevole benevolenza se si sbaglia. Una facoltà concessa solo a Dio, che io sappia… E poi, sulla volontà della “casta” togata, più volte espressa, anche recentemente, di far valere per loro le stesse regole che valgono per i comuni cittadini, penso ad esempio a come rivendicano l’utilizzo disinvolto dei social, bisogna dire esattamente come stanno le cose.

Prego.

Non le sembra quanto meno bizzarro che quando si tratta di essere giudicati per la loro attività di giudici o pubblici ministeri, i magistrati godano del privilegio, unico al mondo, di farlo all’interno della loro stessa categoria, col risultato che le condanne sono praticamente pari a zero, e invece, quando si tratta di esprimere posizioni politiche, magari con uso disinvolto di Facebook o Twitter, pretendano di essere considerati alla pari di tutti i comuni mortali? Tengo a chiarire che nel mio libro, e in generale, non mi riferisco a singoli magistrati, né ai tanti che esercitano correttamente ogni giorno il loro compito al riparo delle ribalte mediatiche, ma evidenzio un fattore di fondo, un “peccato originale”.
La verità è che l’eccesso di privilegi, connesso intimamente alla formulazione dell’Articolo 104, ha determinato una caduta di tutto il sistema, compresa quella degenerazione di cui parlavano gli stessi vertici giudiziari quando scoppiò il caso Palamara, prima che venisse silenziato e tutto si ricomponesse gattopardescamente.

Di quali altri privilegi parla, esattamente?

Per capirlo, dobbiamo entrare nella seconda, grossa anomalia del sistema: la presenza stanziale di magistrati in Via Arenula, con funzioni praticamente legislative.
Attualmente ce ne sono circa 100, tutti distaccati con il beneplacito del CSM.
I quali quindi, a nome dell’intera categoria, decidono sulle leggi che invece dovrebbero limitarsi ad applicare, lasciando il potere di legiferare esclusivamente al governo e, soprattutto, al Parlamento, ai nostri rappresentanti.