sui pentiti, altri due in manette Ma Caselli: non c’è un clan dei collaboratori di giustizia Dopo Balduccio Di Maggio, finiscono in manette altri due pentiti: Santino di Matteo e Gioacchino La Barbera. Si chiude così con un altro clamoroso colpo di scena la settimana nera dei collaboratori di giustizia. La procura della Repubblica, a conclusione di dieci mesi di indagini, ha fatto arrestare, per il momento per detenzione illegale di armi, Mario Santo Di Matteo, 42 anni e Gioacchino La Barbera di 38, rei confessi per la strage di Capaci. E’ stato anche arrestato (senza permesso teneva in casa una pistola calibro 7,65 e varie munizioni) il padre di Di Matteo, Giuseppe, che ha 72 anni. Mentre i Di Matteo sono stati rinchiusi in carcere in attesa della convalida del gip, la procura ha chiesto al giudice per le indagini preliminari gli arresti domiciliari per La Barbera «perché la sua è una posizione marginale». Dopo l’accusa di detenzione illegale di armi ne verranno fuori altre, più gravi? E’ possibile. In serata in una conferenza stampa il procuratore Gian Carlo Caselli ha annunciato: «I magistrati della procura della Repubblica e gli uomini della Dia hanno lavorato ventre a terra giorno e notte per venire a capo dì questa vicenda». Nell’incontro nella sede palermitana della Dia Caselli è stato affiancato da alcuni dei suoi collaboratori fra i quali l’aggiunto Guido Lo Forte e i sostituti Roberto Scarpinato e Gioacchino Natoli pubblica accusa nel processo a Giulio Andreotti che s’interseca in molte parti con le ultimissime inchieste sui pentiti. Caselli ha ribadito: «Le indagini hanno portato a escludere l’esistenza di un clan dei pentiti e nei comportamenti dei due collaboratori non si configura l’associazione mafiosa. C’è la storia di Di Matteo, al quale è stato ucciso il figlio e quella di La Barbera cui Cosa Nostra ha ammazzato il padre simulando un suicidio». Nel giugno 1994 Girolamo La Barbera fu trovato impiccato nel suo alloggio ad Altofonte, il paese anche dei Di Matteo, e solo in un secondo tempo fu accertato che era stata una vendetta trasversale della mafia che voleva così imporre al pentito di ritrattare. Ancora più atroce, sadica, è stata la vendetta trasversale subita da Mario Santo Di Matteo detto «mezza nasca», per il suo naso schiacciato. Giovanni Brusca fece rapire suo figlio Giuseppe, 11 anni, che fu tenuto in ostaggio un anno e mezzo e infine strangolato e sciolto nell’acido. Brusca ha poi confessato che diede l’ordine di uccidere il piccolo lo stesso giorno in cui fu condannato all’ergastolo nel gennaio del 1996. E a nulla erano valsi i disperati appelli del nonno del bambino: «Piuttosto ammazzate me» aveva detto a emissari di Cosa Nostra che insistevano perché convincesse il figlio a fare marcia indietro in cambio della liberazione del ragazzino. Giorni fa, deponendo nell’aula bunker di Firenze nel processo per l’omicidio del bambino, Giovanni Brusca ha sostenuto che il vecchio Di Matteo aveva proposto di barattare la vita del nipote con quella del figlio. Ma l’indomani Giuseppe Senior aveva chiarito: «No, avevo offerto la mia vita per salvare mio nipote». Di Mario Santo Di Matteo si era parlato a lungo nel giugno del 1994, quando, già pentito e incluso nel programma di protezione, si era allontanato da Terni dov’era protetto e per un giorno e mezzo non aveva più dato sue notizie. Era scattato l’allarme. Poi lui era tornato. Si disse che in quelle ore aveva avuto colloqui riservati con esponenti mafiosi nel tentativo risultato vano di far liberare il piccolo. «Sono sbalordita, non so cosa pensare» ha commentato ieri dopo gli arresti Franca Castellese, la moglie di Mario Santo Di Matteo e ha aggiunto: «Per me queste sono tutte vicende nuove». Antonio Ravidà La moglie: non c’è niente di quello che si dice e la gente deve rispettare di più un pentito che un mafioso che fa uccidere i bambini Una famiglia che è stata costretta a scegliere tra il sangue e la piovra La disillusione del vecchio Giuseppe quando seppe della morte del nipote. LA STAMPA 20 ottobre 1997