Le giornate di Paolo Borsellino sono pressoché tutte identiche: sveglia alle ore cinque, arrivo in procura alle ore sette.
Permanenza in ufficio fino alle ore ventuno, rientro a casa, quindi cena e ancora lavoro fino a notte fonda. Questi ritmi così sostenuti si spiegano con una frase che Paolo è solito ripetere ai suoi familiari in quei giorni.
Il giudice è convinto che il prossimo obiettivo della mafia sarà lui: egli è l’erede naturale di Giovanni Falcone. Un rapporto dei ROS degli ultimi giorni di giugno segnala l’arrivo a Palermo di un carico di materiale esplosivo; Paolo ha pochi dubbi: il tritolo è per lui e il tempo che ha a disposizione per scoprire la verità sulla strage di Capaci è poco. La morte di Francesca lo ha sconvolto non solamente perché era una sua cara amica, ma anche perché egli vuole evitare che in un possibile attentato contro di lui possano essere coinvolti la moglie, i figli o gli uomini della scorta, che considera come figli adottivi. Per questo motivo Borsellino viola le più elementari norme di sicurezza: la mattina esce di casa da solo, senza scorta, facendo sempre il solito percorso per andare a comprare le sigarette e il giornale; inoltre, inizia a viaggiare da solo sulla sua Fiat Croma blindata, mentre gli uomini della scorta sono stipati dentro l’altra auto blindata. Così facendo il giudice vuole mandare un chiaro segnale ai suoi assassini: se lo vogliono colpire possono farlo quando lui è solo, la mattina a piedi o mentre si sposta in auto per andare in procura o per rientrare a casa la sera. (Paolo Borsellino un eroe semplice di Roberto Rossetti)
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione
E’ stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era lui? Per amore! La sua vita è stata un atto d’amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra
qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria cui apparteniamo.
(G. Lo Bianco-S.Rizza, L’agenda rossa di Paolo Borsellino)
Porta in spalla la bara di Giovanni Falcone, gli restano ancora cinquantacinque giorni.
Una pioggia violenta lava Palermo, il carro funebre è già scomparso fra i vicoli che scendono verso il mare. Anche il becchino ha fretta di seppellire il morto. È solo, adesso è solo come non lo è stato mai. Neanche quando la sua vita è cambiata in una notte di maggio di tanti anni prima, il capitano di Monreale steso a terra e lui precipitato in un incubo. Dicono che è l’erede, l’ultimo testimone. Ora è diventato anche il bersaglio. Ha poco tempo. Vuole parlare. Non lo fanno parlare. Vuole indagare. Non lo fanno indagare.
Si scopre abbandonato, mandato allo sbaraglio da gente di Roma che nell’ombra sta trattando la resa. Sono in molti a tremare per i suoi segreti. Forse aspettano un miracolo o un’altra bomba. Uomo di legge e di coraggio, siciliano di fibra forte, fino all’ultimo non si rassegna. Ha rabbia e orgoglio per non piegarsi nemmeno ai nemici più invisibili.
Si getta nel vuoto Paolo Borsellino, magistrato di Palermo, assassinato dall’esplosivo mafioso e dal cinismo di un’Italia canaglia che l’ha visto morire senza fare nulla. Tradito e venduto. Va incontro al suo destino accarezzando i figli, tenta disperatamente di sopravvivere fino a quella domenica afosa di mezza estate. Il 19 luglio del 1992. L’agenda rossa che ha sempre con sé non si troverà mai. (Attilio Bolzoni)
Ci sapeva fare con i mafiosi pentiti
Paolo Borsellino, così come Giovanni Falcone. Alcuni sostengono che una delle cause del delitto sia stata proprio l’essere vicino a scoprire i mandanti e gli esecutori della strage di Capaci. Voleva continuare a difendere Giovanni Falcone come aveva fatto quando l’amico era vivo. In ogni caso, Paolo Borsellino aveva certamente il senso di andare incontro alla sua morte. Avrebbe potuto cambiare strada, ne avrebbe avuto motivo più che in
passato. Rimase per fedeltà a un’amicizia. Il 23 giugno del 1992, a Palermo, nella monumentale basilica di san Domenico, Borsellino tenne uno splendido discorso in memoria dell’amico Falcone, le sue parole, rievocate oggi, hanno ancora un timbro umano inconfondibile.
Parlando di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino ci parlava di se stesso:
Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore! la sua vita è stata un atto d’amore verso la sua città, verso la terra che lo ha generato. Perché se l’amore è soprattutto
ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore la patria cui apparteniamo (da l’agenda rossa di Paolo Borsellino)
Borsellino e Falcone sono stati testimoni -è questo il significato del termine <>- di una fede nella giustizia e di una speranza di redenzione che sole, al di là di ogni responsabilità dello Stato, possono cambiare la Sicilia e sconfiggere la mafia. (dal libro di Vincenzo Ceruso -UOMINI CONTRO LA MAFIA)