AUDIO UDIENZA
(dall’inviata Elvira Terranova)- I pm che si occuparono delle indagini sulla strage di via D’Amelio e che non compresero le falsità dell’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino “non agirono con leggerezza”, “ma con grave colpa” nella “valutazione degli elementi di prova”. Non solo. Lo stesso Scarantino che, dopo il 2014 iniziò a fare “marcia indietro” sulle accuse ai magistrati con una “ritrosia significativa”, “non fu insufflato dai tre poliziotti” che oggi sono imputati per concorso in calunnia aggravata nel processo sul depistaggio sulla strage Borsellino. E’ il contrattacco della difesa di due dei tre poliziotti alla sbarra davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta. Nell’ultima udienza, prima della sentenza, prevista con ogni probabilità per il 4 giugno, dopo le repliche eventuali, l’avvocato Giuseppe Seminara, difensore di Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, parla del ruolo svolto dai magistrati che coordinarono l’inchiesta, negli anni, accusando il “fallimento del sistema” perché “è mancata la diga della valutazione della prova”.
“E’ mancato il rispetto della giurisdizione da parte dei pubblici ministeri. Che, in tante occasioni, hanno omesso di vagliare gli elementi di prova come avrebbero dovuto. E questa non è la leggerezza a cui ha fatto cenno il Procuratore generale, questa è una grave colpa”, accusa. Gli imputati sono l’ex dirigente di Polizia Mario Bo e i due poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Al termine della sua requisitoria il procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D’Anna, aveva chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere per Bo e 9 anni e mezzo a testa per gli altri due. Il tribunale di Caltanissetta, in primo grado, il 12 luglio 2022, aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Bo e Mattei, mentre Ribaudo venne assolto. L’avvocato, nel suo intervento, parla dei pm che gestirono dopo le stragi l’allora collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino che poi si rivelò falso, facendo condannare otto innocenti all’ergastolo, ma anche del falso collaboratore Salvatore Candura.
“E questa grave colpa la rivediamo in tantissimi atti portati avanti dai pubblici ministeri – dice il legale – Non mi si interpreti negativamente, non significa che ci sia stata una responsabilità da parte dei pm, ma che in quei momenti, per le ragioni storiche, per il particolare dramma che viveva l’Italia, evidentemente c’era questa necessità di procedere attraverso il canale unico che si era palesato e che, a nostro avviso, ha una ricostruzione che si lega a un elemento”. E fa riferimento al furto della 126 usata per la strage. Era stato un altro falso collaboratore, come Salvatore Candura, che aveva mentito raccontando di essere stato lui a rubare la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo ed utilizzata per compiere la strage di via D’Amelio, in cui il 19 luglio 1992 morirono il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Una delle bugie sulle quali era stato costruito “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana”, impedendo – ancora oggi – l’accertamento pieno della verità. Salvatore Candura confessando il furto mai commesso aveva patteggiato la pena nel 1994, era stato poi inevitabilmente assolto nel 2017 dopo la sentenza di revisione del processo sulla strage.
‘Dai magistrati comportamenti irrituali e superficiali’
“Quindi- spiega l’avvocato Giuseppe Seminara – Se non avessero pensato che la macchina potesse essere rubata da uno fuori dal mandamento, probabilmente oggi non saremmo qua. La convinzione che l’auto doveva essere rubata da qualcuno dello stesso mandamento ha evidentemente fuorviato le indagini. Poi, vi sono stati comportamenti irrituali, leggeri, superficiali, speculativi, da parte di tanti soggetti intervenuti nella attività, che inizia con l’attività della Polizia giudiziaria, sempre su controllo della magistratura e finisce nella valutazione della prova del processo d’appello Borsellino-bis”.
L’avvocato Giuseppe Seminara nel corso dell’arringa aggiunge: “E’ un processo di fallimento di sistema, perché le responsabilità singole dei singoli soggetti sono responsabilità che è difficile o impossibile pesare”. Poi il legale aggiunge: “Che vi sia stata una attività precedente è cosa diversa circa la prova che Vincenzo Scarantino sia stato diretto, insufflato, sia stato riempito da parte di La Barbera o di chi apparteneva al gruppo investigativo e sia poi arrivato alle dichiarazione del 24 giugno del 1994 nel carcere di Pianosa. Ma qualcuno ha mai guardato il verbale del 24 giugno?”. “E’ una cosa incredibile, non riesco a capire. Scarantino in quell’interrogatorio si accusa di 6 omicidi, e non c’è nessuno che si pone il problema dei sei omicidi? Vengono trasmessi gli atti alla Procura di Palermo, che si fa una grossa risata. Qualcuno si è fatto la domanda: ‘Dove sono finiti questi omicidi?’. Se io ho un collaboratore che mi parla di sei omicidi e poi tutto questo svanisce, io ho un collaboratore che deve essere messo fortemente in discussione rispetto al suo apporto conoscitivo”.
“Dopo l’interrogatorio del 14 febbraio del 2014 c’è stata da parte di Vincenzo Scarantino una sorta di regressione, una ritrosia significativa nei confronti dei magistrati”. Il legale di Ribaudo e Mattei fa riferimento all’interrogatorio reso da Scarantino, il falso pentito che fece condannare con le sue accuse, rivelate calunniose, otto innocenti per la strage di via D’Amelio. Durante un interrogatorio, reso il 14 febbraio 2014 Scarantino aveva accusato anche l’ex Procuratore Giovanni Tinebra, deceduto nel 2017. “Una volta dissi al dottor Tinebra- aveva detto – che non sapevo niente (delle stragi ndr). E lui mi rispose: ‘Stia tranquillo, questa cosa lei la deve prendere come se fosse un lavoro. Un lavoro vero’. Stavo male, andavo a casa, piangevo e me la prendevo con mia moglie”. Ma negli interrogatori successivi aveva cambiato versione. E oggi l’avvocato Seminara parla di “regressione”, mentre “nei confronti dei poliziotti c’è stata una progressione di accuse”. Nel 2019, in aula, al processo di primo grado sul depistaggio, a Caltanissetta, Scarantino aveva detto: “Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Carmelo Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage. Io ho sbagliato una cosa sola: ho fatto vincere i poliziotti, di fare peccare la mia lingua e non ho messo la museruola…”. In passato, tra una ritrattazione e l’altra, aveva detto di aver accusato dei mafiosi imputati perché “sollecitato” dai pm Antonino Di Matteo, Annamaria Palma e Carmelo Petralia ma anche da Giovanni Tinebra. Negli anni successivi, la retromarcia.
‘Dopo il 2014 regressione di accuse di Scarantino sui pm’
“Il 14 febbraio 2014 abbiamo un picco, un ‘Everest’ – dice oggi l’avvocato Giuseppe Seminara – sulle accuse ai magistrati. Da quel giorno assistiamo a una continua regressione”. Appunto, una “ritrosia significativa sui pm”. Poi ribadisce: “Non vi è stata assolutamente la possibilità di insufflare Vincenzo Scarantino, che la dottoressa Ilda Boccassini definiva un ‘fiume in piena’, che effettivamente parlava di 6 omicidi e di altri fatti. Se tutti questi elementi sono reali qual è la posizione di Scarantino? Lui dice ‘Io sono colpevole’ e che appartiene ” a un “ambito di mafia”, come riferiva lo stesso ai magistrati”. Quella di oggi è stata l’ultima udienza. Il Presidente della Corte d’Appello Giovanbattista Tona ha rinviato il processo al prossimo 4 giugno per le eventuali repliche e controrepliche di Pg e difesa. Lo stesso giorno potrebbe essere emessa la sentenza d’appello.
**Depistaggio Borsellino: difesa poliziotti, ‘impossibile insufflare ex pentito Scarantino’**
Caltanissetta, 14 mag. (Adnkronos) – “Non vi è stata assolutamente la possibilità di insufflare Vincenzo Scarantino, che la dottoressa Ilda Boccassini definiva un ‘fiume in piena’, che effettivamente parlava di 6 omicidi e di altri fatti. Se tutti questi elementi sono reali qual è la posizione di Scarantino? Lui dice ‘Io sono colpevole’ e che appartiene ” a un “ambito di mafia”, come riferiva lo stesso ai magistrati”. Lo ha detto l’avvocato Giuseppe Seminara, legale di due dei tre poliziotti imputati per il depistaggio sulla strage di via D’Amelio proseguendo la sua arringa difensiva. E il dottore Arnaldo La Barbera, l’ex dirigente della Squadra mobile, “gli diceva: ‘le mie indagini dicono sei colpevole'”. I tre poliziotti, Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e Mario Bo sono accusati di aver costruito a tavolino il falso pentito Vincenzo Scarantino, imbeccandolo e costringendolo ad accusare dell’attentato persone ad esso estranee.
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Caltanissetta, depistaggio Borsellino: iniziata ultima udienza del processo di appello, sentenza prevista il 4 giugno
E’ iniziata davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta, presieduta da Giovanbattista Tona, l’ultima udienza del processo d’appello per il depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta. A prendere la parola è ancora una volta l’avvocato Giuseppe Seminara che difende due dei tre poliziotti imputati, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei.
Il terzo imputato, oggi assente, è l’ex dirigente di Polizia Mario Bo. Sono tutti accusati di calunnia aggravata per aver costruito, secondo la Procura generale, a tavolino falsi pentiti, inducendoli a mentire, per depistare le indagini sulla strage di via D’Amelio. Al termine della sua requisitoria il procuratore generale di Caltanissetta, Fabio D’Anna, aveva chiesto 11 anni e 10 mesi di carcere per Bo e 9 anni e mezzo a testa per gli altri due. Il tribunale di Caltanissetta, in primo grado, il 12 luglio 2022, aveva dichiarato prescritte le accuse contestate a Bo e Mattei, mentre Ribaudo venne assolto.
Nelle ultime udienze dedicate alle arringhe difensive, l’avvocato Seminara aveva iniziato il suo intervento citando le vittime della strage Borsellino: “A 30 anni dalla strage di via D’Amelio questa difesa ritiene doveroso rinnovare il proprio cordoglio per le vittime di quel terribile eccidio e per i loro familiari”, aveva detto. Aggiungendo: “Ci è stato detto di non fare un processo ai morti, dal procuratore Tinebra al dottore La Barbera, ma si perde di vista un’altra cosa: manca la possibilità di avere il loro contributo che per noi sarebbe stato di grandissimo aiuto. Perché avrebbe consentito di contrastare molti dei passi che hanno riguardato i collaboratori di giustizia del processo di primo grado”. Oggi l’avvocato Seminara si soffermerà sulla posizione di Michele Ribaudo. Nella prossima udienza, fissata per il 4 giugno, dovrebbe essere emessa la sentenza d’appello. IL FATTO NISSENO