La Provincia 26 luglio 2024
Il parco di via Foscolo a Crevenna che sarà intitolato alla giovane
Il parco di via Foscolo nella frazione di Crevenna verrà intitolato a Cristina Mazzotti e ai martiri della mafia. Lo ha deciso la giunta comunale su proposta dell’assessore alla legalità Matteo Redaelli, copia della deliberazione verrà inviata alla Prefettura di Como per il nulla osta. Se non ci saranno ostacoli, la targa all’ingresso del giardino pubblico verrà svelata nel corso di una cerimonia in autunno
Nell’estate del 1975, all’età di 18 anni, Cristina venne rapita per conto della ‘ndrangheta davanti alla villa di famiglia a Eupilio, dove trascorreva l’estate; il suo corpo senza vita venne ritrovato settimane più tardi in una discarica in provincia di Novara, le trattative e il pagamento del riscatto non evitarono un epilogo drammatico. La vicenda scosse le coscienze degli italiani e ancor più quelle degli erbesi: la ragazza trascorreva molto tempo in città, dove aveva tanti amici che la ricordano ancora con affetto.
La proposta
«Nel 2022 – ricorda l’assessore Redaelli – in occasione del trentennale delle terribili stragi di mafia l’amministrazione provinciale e il Centro studi sociali contro le mafie invitarono i sindaci a partecipare al “Progetto San Francesco”, ricordando i martiri della libertà e delle legalità intitolando loro una via, piuttosto che un edificio. L’ex sindaco Veronica Airoldi, in una delle ultime riunioni di giunta, accolse la proposta ma non ci fu il tempo di scegliere un luogo per le elezioni imminenti»
Due anni più tardi, i tempi sono maturi.
«Da assessore alla legalità – dice Redaelli – ho ripensato alla vicenda di Cristina Mazzotti, una ragazza che aveva ancora tutta la vita davanti quando è stata uccisa dalla criminalità organizzata. Venne rapita a Eupilio, il paese in cui riposa insieme alla mamma, ma il suo legame con Erba era davvero forte. Da qui la scelta di dedicare il parco di Crevenna, un luogo frequentato da bambini e ragazzi, ai martiri delle mafie e nello specifico a Cristina Mazzotti. In questo modo il suo ricordo non andrà perduto e le nuove generazioni potranno interrogarsi sulla storia di quella giovane ragazza».
«Sono sorpresa»
La notizia ha raggiunto a sorpresa Arianna Mazzotti, nipote di Cristina e presidente della Fondazione Mazzotti che da decenni tiene vivo il ricordo della tragedia con iniziative a favore dell’educazione giovanile. «Proprio in questi giorni – commenta a caldo – sto girando le scuole con progetti dedicati a Cristina. Sono piacevolmente sorpresa dall’iniziativa erbese, non ero stata informata prima dell’adozione della delibera, è davvero una bella notizia».
Il 2024 è un anno importante nella storia del sequestro di Cristina Mazzotti. Il 24 settembre, davanti alla Corte d’Assise di Como, si aprirà il processo nei confronti del boss Giuseppe Morabito, considerato il mandante del rapimento, e dei suoi sodali Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia: dopo tanti anni, altri presunti responsabili potrebbero essere puniti dalla legge.
Luca Meneghel LA PROVINCIA
Cristina Mazzotti, il processo dopo 49 anni: rapita, un tubicino di plastica per respirare, morta di stenti e sepolta in discarica
Como, alla sbarra i quattro che il 1° luglio 1975 la portarono via dagli amici e dal compagno. Venduta a un’altra banda dal boss della ’ndrangheta Morabito e dai tre complici, il riscatto sparì
Eupilio (Como) – Per 27 giorni, Cristina Mazzotti fu tenuta prigioniera in una buca scavata nel terreno della cascina Padreterno, nei pressi diCastelletto Ticino. Distesa in una fossa lunga due metri e mezzo e larga un metro e 65 centimetri, meno di un metro e mezzo di profondità, dovel’aria le arrivava grazie a un tubicino di plastica di cinque centimetri di diametro.
Era il mese di luglio del 1975, e per resistere a queste condizioni, quella ragazza di soli 18 anni, veniva continuamente sedata dai suoi carcerieri, che erano arrivati a somministrarle fino a 200 gocce di Valium al giorno, assieme a numerosi altri farmaci, oltre a qualche yogurt, latte e frutta per alimentarsi. Un mix al quale la diciottenne, sempre più indebolita, al punto da non reggersi in piedi quando tentavano di toglierla da quella buca per mostrare ai familiari che era ancora viva, alla fine non era sopravvissuta.
Il suo corpo ormai senza vita, a inizio agosto era stato trasferito in una cava a Varallino, vicino a Galliate in provincia di Novara, quando la famiglia aveva già pagato un riscatto di un miliardo e 50 milioni di lire, partendo da una richiesta di 5 miliardi. Una carrozzina rossa abbandonata, indicava il punto esatto in cui era stata sepolta, e dove i suoi resti furono ritrovati la sera del 1° settembre 1975. Il giorno dopo, tutta Italia sapeva della sua morte: Cristina Mazzotti era stata la prima donna a essere rapita dall’Anonima sequestri al Nord, ma anche la prima a non fare ritorno a casa.
Le indagini svolte nelle settimane successive, avevano portato a scoprire la banda, composta anche da due donne, Loredana Petroncini, compagna di Giuliano Angelini, e Rosa Cristiano, ma senza mai trovare i soldi del riscatto. Un altro aspetto era rimasto irrisolto per anni: i nomi dei quattro uominiche la sera tra il 30 giugno e il 1° luglio 1975 bloccarono la Mini Cooper su cui Cristina viaggiava con due amici – Carlo Galli ed Emanuela Luisari – obbligandola a scendere e a seguirli dopo essere stata incappucciata, per poi cederla alla banda che l’ha tenuta prigioniera. A chiudere questa parentesi sono arrivate, trent’anni dopo, le nuove tecniche di indagine, grazie alle quali mercoledì, 25 settembre, davanti alla Corte d’Assise di Como, si aprirà il processo ai quattro ultimi imputati, ritenuti esecutori materiali del sequestro di persona.
Sono il boss della ‘ndrangheta Giuseppe Morabito, 80 anni residente nel Varesotto. Assieme a lui sono imputati Demetrio Latella, 70 anni, Giuseppe Calabrò, 74 anni e Antonio Talia, 73 anni: secondo la Procura di Milano, in concorso con le altre 13 persone già condannate in passato, “presero parte attiva e portarono a compimento la fase esecutiva del sequestro”, che si era concluso con un omicidio volontario in concorso aggravato dalla crudeltà.
Nel 2008, 33 anni dopo il rapimento, c’era stata la prima riapertura delle indagini, grazie a una impronta digitale repertata sulla carrozzeria dell’auto, rimasta isolata e a disposizione dei nuovi ritrovati scientifici. Esattamente quando la banca dati elettronica dell’ufficio centrale di Roma della Polizia Scientifica, in cui ogni giorno confluiscono centinaia di impronte digitali di persone che vengono arrestate, dopo migliaia di interrogazioni, aveva messo in relazione quell’impronta con un nome, quello di Demetrio Latella detto Luciano. Il primo processo iniziato il 22 novembre 1976 davanti alla Corte d’Assise di Novara, si era concluso con 8 ergastoli, confermati in Appello pochi mesi dopo, e con altre condanne a pene variabili. Ora rimane quest’ultimo capitolo.
Cristina Mazzotti rapita e uccisa a soli 18 anni. Dopo quasi mezzo secolo l’anonima calabrese è sotto processo
La ragazza fu sequestrata il primo luglio del 1975 a Eupilio. A distanza di quasi 50 anni a giudizio ci sono Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito
Eupilio (Como) – Quarantotto anni dopo. Una sorella strappata alla famiglia, agli affetti, a tutte le promesse che può fare la vita. Cristina Mazzotti ha diciotto anni quando viene sequestrata, la notte del primo luglio del 1975, mentre sta rientrando nella villa di famiglia, a Eupilio, nel Comasco, in compagnia del fidanzato e di un’amica. La famiglia versa un riscatto di un miliardo e 50 milioni di vecchie lire. Il primo settembre una telefonata anonima fa ritrovare il corpo senza vita in una discarica a Galliate (Novara). In tribunale a Milano è iniziata l’udienza preliminare che, fra ideatori ed esecutori, vede imputate quattro persone. Marina Mazzottiè la sorella maggiore di Cristina.
Signora Mazzotti, prima ancora di chiederle cosa si attende, le chiediamo se si attendeva la riapertura del caso.
“Un avvocato ha contattato mia nipote, vice presidente della Fondazione Cristina Mazzotti, e l’ha avvertita di questi personaggi. Da lì abbiamo iniziato a seguire. Siamo parti civili. Ormai, dopo il processo fatto all’epoca, non pensavamo che ci sarebbero stati nuovi sviluppi. Mai avremmo pensato che tutto ricominciasse”.
Aspettative?
“Vogliamo giustizia. Hanno fatto danni a tutta la nostra famiglia, non solo ai miei genitori, ai noi fratelli, ma anche agli zii, ai cugini. Eravamo e siamo una famiglia molto unita. Abbiamo sofferto tutti insieme. Sono passati tanti anni. Questi uomini erano giovani come lo eravamo noi, ma è giusto che paghino per quello che hanno commesso. Il nostro modo di vedere la vita, la nostra indole, sono sempre rivolti al perdono, ma per questo no. Anni fa lo ha chiesto uno del gruppo di quelli condannati. Con mio fratello Vittorio abbiamo deciso di no. Pensiamo che si debba fare giustizia anche se è trascorso tanto tempo. Bisogna credere nella giustizia. Io ci credo. Noi crediamo nella giustizia”.
Quarantotto anni. Quasi mezzo secolo. Come lo ha vissuto?
“Proteggendo mia madre. Mio fratello e io abbiamo fatto ogni possibile sforzo. Non le abbiamo detto di quella domanda di perdono. L’abbiamo sempre protetta come una bambina. Aveva sofferto in modo indicibile. In casa evitavamo di parlare dell’accaduto. I figli miei e quelli di mio fratello non sapevano nulla. Mio padre, prima di morire, ci aveva raccomandato: ‘Allevate i vostri figli nell’amore del prossimo’. Mia nipote ha saputo di Cristina da un’altra bambina di Eupilio. Allora con mio fratello abbiamo deciso che era il momento di raccontare qualcosa. I ragazzi sono andati a informarsi, hanno consultato i giornali dell’epoca. Ancora oggi, che ha quarantadue anni, mia figlia me lo dice: ‘Mamma, non me ne hai mai parlato’”.
Come vi arrivò la notizia del sequestro?
“Ero in Argentina con mio padre. Mi ha chiamato in ufficio. Piangeva. Ho pensato a mia mamma, a un incidente. La mattina dopo abbiamo preso il primo aereo. Ero incinta e non avevo ancora informato mio padre. L’ha saputo in aeroporto quando ho presentato i vari certificati sanitari. Siamo arrivati a Eupilio. È iniziato il calvario. I rapitori non ci telefonano a casa. Chiamavano un amico di mia sorella e mio fratello andava da questo ragazzo. Gli amici ci si sono stretti attorno, hanno fatto scudo attorno a mio padre. Abbiamo ricevuto grandi manifestazioni di affetto. A pagare il riscatto sono andati mio zio e un amico di papà. È nata allora mia nipote Arianna. L’amo moltissimo perché è arrivata in un periodo di grande tristezza. È una nipote speciale”.
Come ricorda Cristina?
“Aveva undici anni meno di mio fratello e otto meno di me. Era la nostra bambina, la piccolina di casa. L’abbiamo tirata grande un po’ tutti. Molto intelligente e molto diligente. Molto più diligente di mio fratello e di me”.
Il vostro ultimo incontro.
“Abbiamo passato il Natale del 1974 tutti insieme in Argentina. Cristina era venuta con Manuela, l’amica che era con lei anche quella sera”.
Se fosse vissuta oggi che donna sarebbe?
“Avrebbe fatto una certa carriera nel lavoro. Avrebbe la sua famiglia. Amava i bambini. Era felice quando noi aspettavamo i nostri”.
La sente vicina?
“Sempre. Tante volte le dico: ‘Guarda giù, dammi una mano’. Lo dico a lei e a mio padre: ‘Ho bisogno di voi. Guardate giù’”.
Cristina vive nella Fondazione che porta il suo nome.
“L’aveva voluta mio padre. Per i giovani. Per quelli in difficoltà, per quelli che hanno avuto esperienze negative. Per aiutarli a inserirsi nella società. Per dare una speranza. Siamo esseri umani, certe cose non si perdonano Però, se tutti pensassero come mio padre, che nel momento di maggiore tristezza pensò a risolvere il problema alla radice e a mettere il proprio granello con la Fondazione, il mondo sarebbe più giusto. Mia nipote Arianna onora il messaggio di mio padre portando avanti la Fondazione”. IL GIORNO 24.10.2023
Dopo 50 anni in 4 a processo per Cristina Mazzotti, la prima donna rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta al Nord
Dopo 50 anni dalla morte di Cristina Mazzotti, la prima donna rapita e uccisa dalla ‘ndrangheta nel Nord Italia, è stato aperto un nuovo processo dove ci sono 4 imputati che sono stati rinviati a giudizio.
Rinviate quattro persone a giudizio
La giudice dell’udienza preliminare di Milano, Angela Minerva, ha deciso di rinviare a giudizio Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito: tutti e quattro sono accusati di sequestro e omicidio. L’inizio del dibattimento è previsto per il 24 settembre 2024 e avverrà davanti alla Corte d’Assise di Como. Il fratello e il sorella della 18enne sono parti civili. La giovane, infatti, è stata rapita mentre rientrava nella villa di famiglia. Il giorno successivo, al padre – che era un imprenditore di cereali – sono stati chiesti cinque miliardi di lire di riscatto. Dopo solo un mese, l’uomo è riuscito a mettere da parte un miliardo e cinquanta milioni che ha lasciato in un appartamento di Appiano Gentile. La ragazza però è stata uccisa durante la detenzione a Castelletto Ticino. E infatti, a due mesi dalla sparizione, è stato indicato ai carabinieri di scavare in un discarica di Galliate, in provincia di Novara, dove è stato trovato il cadavere. Le indagini sono state riaperte dopo 48 anni grazie al libro “I soldi della P2” scritto dall’avvocato Fabio Repici – che assiste il fratello di Cristina Mazzotti – e ad Antonella Beccaria e Mario Vaudano. La Procura ha avviato il caso proprio grazie alla documentazione che è stata utilizzata per la realizzazione del libro. Ilaria Quattrone