Il generale MORI indagato per le stragi del ‘93: “Sono profondamente disgustato. affronterò e supererò anche questa ennesima angheria“

 

La nota del generale Mario Mori

 

“Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico.
Dopo una violenta persecuzione giudiziaria – portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche.  
Per questo motivo, quei giudici della Cassazione sono stati duramente criticati dal consesso dei lottatori antimafia nella totale indifferenza del CSM che, dinnanzi a questi violenti e volgari attacchi, tace a fronte di questo disegno che ha come unico obiettivo quello di farmi morire sotto processo.

Si tratta, com’è agevole a tutti comprendere, di accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni.
Basti pensare alla circostanza che, a Palermo, mi hanno processato per 11 anni, con l’accusa di aver ‘trattato’ con la mafia e siglato un accordo con Bernardo Provenzano per far cessare le stragi.
La sentenza di condanna, in primo grado a 12 anni, poi spazzata via da quella di appello e di Cassazione, affermava che avrei ‘esortato’ e, quindi, sollecitato i vertici mafiosi a comunicare le condizioni per ritornare alla situazione di pacifica convivenza che si era protratta sino alla conferma delle condanne all’esito del ‘maxi processo’, e, dunque, per non commettere più stragi.

La sentenza di appello, nell’assolvermi, ha riconosciuto che la mia condotta ‘ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi’ e che avevo ‘effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane’.
Per i giudici di Palermo fui mosso esclusivamente ‘da fini solidaristici (la salvaguardia dell’incolumità della collettività nazionale) e di tutela di un interesse generale – e fondamentale – dello Stato’.

Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema. Peraltro, le vicende di cui mi si accusa sono già state ampiamente analizzate nel corso degli ultimi 25 anni dalle magistrature competenti (compresa quella fiorentina) e nei processi in cui sono stato coinvolto, senza che mi sia stato contestato alcunché, tantomeno i gravissimi reati ora ipotizzati dalla Procura di Firenze.
Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine.
Avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le Istituzioni e l’opinione pubblica.
Dopo di che affronterò e supererò anche questa ennesima angheria.
L’atto istruttorio è stato fissato per il prossimo 23 maggio ma verosimilmente verrà rinviato poiché il mio difensore ha comunicato alla Procura di Firenze di non poter essere presente per concomitanti impegni professionali a Palermo
“.  21.5.2024

 

 


Secondo la magistratura Fiorentina, Mori, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico. In particolare, secondo l’accusa Mori era stato “informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”



Accusato di aver “trattato” per le stragi, ora Mori è indagato per non averle impedite

L’ex Ros Mario Mori nel mirino della procura di Firenze commenta: «Combattere mi allunga la vita». Ecco cosa non torna nell’accusa avanzata dai pm

Se prima era stato processato perché, interloquendo con don Vito Ciancimino, autonomamente si è mosso per porre fine alle stragi, ora a Firenze lo vogliono processare perché – apprendendo che ci sarebbero state le stragi continentali del ’93/’94 – non ha fatto nulla per impedirle attraverso «autonome iniziative investigative e/o preventive».

Continua la persecuzione giudiziaria nei confronti dell’ex Ros Mario Mori. Processato tre volte a Palermo, dalla cosiddetta mancata perquisizione del (non) covo di Riina alla (non) trattativa Stato-mafia e alla mancata cattura di Provenzano, è stato puntualmente assolto con formula piena. Parliamo di un ventennio di travaglio giudiziario, dove una certa magistratura ha vissuto in simbiosi con un certo giornalismo che vive di rendita con le stragi di mafia, creando tesi dietrologiche che a tutto è servito, tranne che alla verità dei fatti.

Mario Mori ha 85 anni e rischia di ritrovarsi ad affrontare un altro doloroso processo. A darne la notizia è stato lui stesso, avendo ricevuto l’avviso di garanzia il giorno del suo compleanno. Data a comparire? Il 23 maggio, per pura casualità l’anniversario della strage di Capaci. Ma su quali basi? Vediamole. Partiamo dalla tesi della procura di Firenze. In sostanza, secondo i magistrati inquirenti, l’ex Ros non avrebbe impedito gli attentati stragisti del 1993-1994, pur avendone la possibilità. In che modo? Non avrebbe segnalato o denunciato alle autorità competenti le informazioni ricevute su imminenti attentati.

Non solo. Secondo i magistrati, non avrebbe intrapreso iniziative investigative o preventive per fermare gli attentati. E dove e quando avrebbe appreso questa notizia? Sempre secondo la procura di Firenze, Mori avrebbe ricevuto tali informazioni per due volte. Una ad agosto del 1992: dal maresciallo Roberto Tempesta, tramite la fonte Paolo Bellini, avrebbe saputo che Cosa Nostra progettava di attaccare il patrimonio artistico italiano, in particolare la torre di Pisa. Poi il 25 giugno 1993: durante un colloquio investigativo a Carinola, Angelo Siino gli avrebbe riferito, basandosi su informazioni di Antonino Gioè, Gaetano Sangiorgi e Massimo Berruti, che Cosa Nostra aveva in programma attentati nel Nord Italia.

Cosa non torna? Per comprendere il motivo per il quale Mori non avrebbe impedito le stragi continentali dobbiamo aspettare la tesi della procura. Ma vista la narrazione dominante che dura da trent’anni (e sostenuta da alcune tesi processuali e ricostruzioni un po’ contorte di alcuni giudici), possiamo ipotizzare che sicuramente parta dall’idea che un gruppo superiore alla mafia, composto da donne bionde, servizi deviati e gladiatori, abbia eterodiretto Cosa Nostra per far salire Berlusconi al governo. Quindi Mori sarebbe uno dei componenti di questa entità: la famosa teoria del terzo livello che in realtà Falcone e Borsellino consideravano una sciocchezza.

Peccato che tutta questa tesi crolli miseramente, visto che il progetto terroristico mafioso è stato deliberato dalla commissione presieduta da Totò Riina nel 1991. Anno in cui la Prima Repubblica era ben consolidata, ancora non era scoppiata Tangentopoli e la discesa in campo non era ancora nell’anticamera del cervello di Berlusconi stesso. Dopo le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, Totò Riina viene catturato dai Ros guidati da Mori. A quel punto, Leoluca Bagarella, i fratelli Graviano e Messina Denaro decisero di portare a compimento la linea stragista. Seguirono l’attentato a Roma contro Maurizio Costanzo il 14 maggio del 1993 (ricordiamo che Gaspare Spatuzza stesso, innanzi al pm Stefano Luciani, disse che i sopralluoghi per l’attentato erano avvenuti nel ’91), la strage di via dei Georgofili a Firenze tra il 26 e il 27 maggio, la strage di via Palestro a Milano, e contemporaneamente gli attentati a San Giorgio al Velabro e a San Giovanni in Laterano a Roma tra il 27 e il 28 luglio 1993. Dopo una pausa di alcuni mesi, nel 1994, dallo stesso gruppo criminale fu organizzato l’attentato, fallito, davanti allo stadio Olimpico di Roma.

Ma veniamo alle notizie che Mori avrebbe appreso. La questione del maresciallo Tempesta è ben conosciuta e già vagliata dai processi di Palermo e di Firenze stessa. Si sfiora un Ibidem. Tutto nasce dall’iniziativa del terrorista nero Paolo Bellini, una strana figura di informatore della polizia e avventuriero, che all’epoca si muoveva anche nel mondo dei traffici di opere d’arte. Offrì al maresciallo Tempesta, del nucleo tutela patrimonio artistico dei Ros, la sua disponibilità a infiltrarsi in Cosa Nostra per portare notizie utili agli investigatori, approfittando dell’amicizia che costui in passato aveva stretto col mafioso Antonio Gioè (stretto sodale di Giovanni Brusca e Gioacchino La Barbera), durante la loro comune detenzione nel carcere di Sciacca.

Bellini, col consenso di Tempesta, fece ricorso alla trovata di recarsi in Sicilia per proporre a Gioè uno scambio tra alcuni quadri importanti trafugati in una galleria di Modena e la concessione di benefici carcerari ad appartenenti a Cosa Nostra. Gioè, attraverso Brusca, presentò a Bellini una lista di cinque detenuti del gotha di Cosa Nostra sottoposti al 41 bis o comunque in difficoltà, rispetto ai quali Bellini si impegnò a ottenere un alleggerimento del trattamento detentivo. Tempesta, incalzato da Bellini, volle rimettere la questione a Mori, ma la trattativa si arenò: l’ex Ros tergiversò e in sostanza non volle occuparsene, e dal canto suo Bellini, temendo di rischiare troppo, e effettivamente sospettato da Gioè e dal suo gruppo di agire da infiltrato, uscì di scena dileguandosi. Punto, nient’altro.

Che Bellini segnalò la Torre di Pisa come simbolo da colpire è storia nota. Peccato che, come sappiamo, non fu colpita, e ben altre città vennero colpite e già adocchiate nel ’91. Basti pensare a Maurizio Avola che già in quell’anno, fece un sopralluogo a Firenze. Sarebbe interessante, a questo punto, leggere le intercettazioni di via Ughetti, dove sono stati captati i dialoghi tra Gioè e La Barbera. Sappiamo che sono risalenti a febbraio del ’93. Gioè verrà arrestato subito dopo per evitare che fossero realizzati alcuni attentati già pianificati, così come risulterebbe dalle conversazioni intercettate dalla procura di Palermo. Parliamo al condizionale perché non sono mai state depositate tutte. Sarebbe a questo punto interessante poterle leggere per intero, visto che quelle sì che potevano essere utili per prevenire le stragi continentali. Per ora rimarrà un mistero.

Poi c’è la questione di Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” arrestato grazie al dossier mafia-appalti redatto dai Ros. Nel giugno del ’93 avrebbe detto a Mori che la mafia stava preparando attentati al Nord. All’epoca non era ancora un pentito, quindi parliamo di colloqui informali e molto probabilmente non c’è alcun verbale. Quindi difficile poter verificare con i riscontri. Abbiamo un esempio. Siino, dialogando con l’ex Ros Giuseppe De Donno, avrebbe accusato di corruzione alcuni magistrati di Palermo per quanto riguarda la gestione del dossier mafia-appalti. Quando Siino divenne collaboratore si rimangiò tutto: era la sua parola contro quella dell’allora Ros Giuseppe De Donno, visto che erano colloqui informali e quindi non verbalizzati.

Ma poniamo che fosse vero quello che dicono gli inquirenti fiorentini. Parlare di attentati al Nord era generico, quale azione preventiva poteva fare Mori? Ma tutto questo è ancora da chiarire attraverso un lungo lavoro di archivio. Dopo 32 anni non ci si può più fare affidamento alla memoria. Dovranno essere le carte a parlare. Nel contempo, raggiunto telefonicamente da Il Dubbio, Mori dice di non aver paura di nulla, anzi: «Combattere di nuovo mi rinvigorisce e allunga la vita». 21 maggio, 2024 •IL DUBBIO Damiano Aliprandi 


Stragi del ’93, indagato il generale Mario Mori: “Non agì per impedire le bombe nonostante fosse stato informato”. Lui: “Accuse surreali”

Il generale dei Carabinieri Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde (i servizi segreti civili), è indagato a Firenze nel fascicolo sulle presunte complicità esterne delle stragi mafiose del 1993. A renderlo noto è lui stesso con un comunicato: “Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto dalla Procura della Repubblica di Firenze un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. L’atto istruttorio”, specifica la nota, “è stato fissato per il prossimo 23 maggio ma verosimilmente verrà rinviato, poiché il mio difensore ha comunicato di non poter essere presente”. L’indagine in corso nel capoluogo toscano, coordinata dai procuratori aggiunti Luca Turco e Luca Tescaroli, ha l’obiettivo di individuare i presunti ispiratori politici delle bombe mafiose di via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e san Giovanni in Laterano e san Giorgio al Velabro nella Capitale. Nel procedimento, già archiviato e riaperto più volte, è indagato il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e, fino alla sua morte, lo era anche l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: l’ipotesi dei pm è che le stragi servissero a diffondere il panico nella popolazione, indebolendo il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi e favorendo la nascita del progetto politico dell’uomo di Arcore e del suo braccio destro.

In questo contesto, nel capo d’accusa redatto dai pm fiorentini si legge che Mori, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico. In particolare, secondo l’accusa Mori era stato “informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”. Mori è stato già imputato e assolto in via definitiva (dopo una condanna a 12 anni in primo grado) nel processo sulla Trattativa Stato-mafia, in cui era accusato di violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato per aver trasmesso (insieme agli alti ufficiali Giuseppe De Donno e Antonio Subranni) ai governi in carica la minaccia di Cosa nostra: altre stragi e altri omicidi eccellenti se non fossero state allegerite le condizioni carcerarie dei detenuti appartenenti ai clan. L’ex capo del Ros è stato assolto con sentenza passata in giudicato anche in due processi in cui era imputato di favoreggiamento a due boss mafiosi: quello sulla ritardata perquisizione del covo di Totò Riina dopo il suo arresto nel 1993 e quello sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995.

“Quelle a mio carico, com’è agevole a tutti comprendere, sono accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni”, commenta il generale a proposito dell’indagine di Firenze. “Dopo una violenta persecuzione giudiziaria che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di cinque pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche“, attacca, in riferimento alle motivazioni della Cassazione sul processo Trattativa. “Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine”, aggiunge. “Avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le istituzioni e l’opinione pubblica. Dopodiché affronterò e supererò anche questa ennesima angheria”, conclude.   di F. Q.| 21 Maggio 2024


Stragi mafiose del ’93, indagato a Firenze il generale Mario Mori

La contestazione dei pm

I magistrati, ha fatto sapere Mori, gli contestano che “pur avendone l’obbligo giuridico, non avrebbe impedito mediante doverose segnalazioni e denunce all’autorità giudiziaria, cioè con l’adozione di autonome iniziative investigative e preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto anticipazioni” e poi effettivamente messi in atto a Firenze, Roma e Milano, oltre che il fallito attentato allo stadio Olimpico. Stando a quanto deciso dai pm di Firenze, quindi, Mori pur sapendo degli imminenti attentati non avrebbe fatto nulla per fermarli. Secondo l’accusa ad informare il generale sarebbe stato “prima nell’agosto 1992, il maresciallo Roberto Tempesta informato dall’esponente della destra eversiva  Paolo Bellini che gli avrebbe anticipato le bombe al patrimonio storico, artistico e monumentale e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche il pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, che gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”, hanno sottolineato i pm.

Mori: “Una violenta persecuzione giudiziaria”

“Dopo una violenta persecuzione giudiziaria – portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita”, ha commentato Mori. “Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche”, ha aggiunto il generale.

“A mio carico accuse surreali”

“Quelle a mio carico, com’è agevole a tutti comprendere, sono accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni”, ha fatto sapere ancora Mori. “Basti pensare alla circostanza – ha aggiunto – che, a Palermo, mi hanno processato per 11 anni, con l’accusa di aver ‘trattato’ con la mafia e siglato un accordo con Bernardo Provenzano per far cessare le stragi. La sentenza di condanna, in primo grado a 12 anni, poi spazzata via da quella di appello e di Cassazione, affermava che avrei ‘esortato’ e, quindi, sollecitato i vertici mafiosi a comunicare le condizioni per ritornare alla situazione di pacifica convivenza … che si era protratta sino alla conferma delle condanne all’esito del maxiprocesso’ e, dunque, per non commettere più le stragi”. La sentenza di appello, ha ribadito il generale, “nell’assolvermi, ha riconosciuto che la mia condotta ‘ebbe come finalità precipua ed anzi esclusiva quella di scongiurare il rischio di nuove stragi’ e che avevo ‘effettivamente come obbiettivo quello di porre un argine all’escalation in atto della violenza mafiosa che rendeva più che concreto e attuale il pericolo di nuove stragi e attentati, con il conseguente corredo di danni in termini di distruzioni, sovvertimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e soprattutto vite umane”, ha rimarcato. “Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema”.  

L’ interrogatorio di Mori fissato per l’anniversario di Capaci

“L’atto istruttorio è stato fissato per il prossimo 23 maggio ma verosimilmente verrà rinviato poiché il mio difensore ha comunicato alla Procura di Firenze di non poter essere presente per concomitanti impegni professionali a Palermo”, ha fatto sapere, in conclusione, Mori. L’avviso di garanzia con invito a comparire cadrebbe infatti proprio nel giorno dell’anniversario della strage di Capaci.  


Stragi del 1993, indagato a Firenze il generale Mori. Mantovano: sconcerto per le accuse

 

A renderlo noto è stato lo stesso ufficiale dei Carabinieri, assolto dal processo trattativa stato-Mafia. «Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico» ha detto Mori in una nota.

Il generale Mario Mori è stato iscritto nel registro degli indagati per le stragi mafiose del 1993. A renderlo noto è stato lo stesso ufficiale dei Carabinieri, assolto dal processo trattativa stato-Mafia. «Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto, dalla Procura della Repubblica di Firenze, un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico» ha detto Mori in una nota.

«Dopo una violenta persecuzione giudiziaria – portata avanti con la complicità di certa informazione e durata ben 22 anni – che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di 5 pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche». Così il generale Mario Mori, in una nota, dopo la notizia dell’avviso di garanzia per le stragi mafiose del 1993 della procura di Firenze.

Mori: disgustato da accuse che offendono me e i magistrati seri con cui ho lavorato

«Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi con una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema. Peraltro, le vicende di cui mi si accusa sono già state ampiamente analizzate nel corso degli ultimi 25 anni dalle magistrature competenti (compresa quella fiorentina) e nei processi in cui sono stato coinvolto, senza che mi sia stato contestato alcunché, tantomeno i gravissimi reati ora ipotizzati dalla Procura di Firenze» continua il generale. E conclude: «Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine».

Mantovano: sconcerto per le accuse al generale Mori

«Ho ricevuto a Palazzo Chigi il generale Mario Mori, che conosco da oltre 25 anni, e del quale ho sempre apprezzato la lucidità di analisi e la capacità operativa, nei vari ruoli che ha ricoperto, in particolare alla guida dei Ros dei Carabinieri e del Sisde. Gli ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte, delle quali mi ha messo a parte; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse». Lo ha dichiarato il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, interpellato dall’Ansa sull’incontro di ieri con il generale dei carabinieri Mario Mori. SOLE 24 ORE

Il generale MARIO MORI