La CASERMA dedicata a PIETRO ERMELINDO LUNGARO

Vice Brigadiere del Corpo degli Agenti di P.S. Pietro Ermelindo Lungaro
Nacque a Monte San Giuliano (TP) l’1 giugno 1910; frequentò la Scuola Allievi Sottufficiali di Casagiove (CE), per poi intraprendere la carriera nel Regio Esercito e transitare successivamente nel Corpo degli Agenti della Pubblica Sicurezza.
Inquadrato col grado di Vice Brigadiere della P.S., nel 1940 fu assegnato a Roma prima al Palazzo “Viminale” e poi alla Caserma dei Servizi Tecnici “San Eusebio”.
Dopo l’8 settembre del 1943 il Vice Brigadiere della P.S. Lungaro, restando al suo posto, seppe avvantaggiarsi della posizione di poliziotto per muoversi agevolmente nella Capitale ed intrecciare contatti con le nascenti formazioni antifasciste, guadagnandosene ben presto la fiducia.
Fa riflettere il fatto che Lungaro, pur di provata fede monarchica, avesse privilegiato non tanto le formazioni di analogo orientamento politico quanto i gruppi di fede opposta, come quello del Partito d’Azione (repubblicano), capeggiato dal Magg. dell’Aeronautica Umberto Grani, che sarà uno dei martiri delle Fosse Ardeatine.
Ciò non deve far sorprendere dal momento che l’adesione ad una “banda” piuttosto che un’altra avveniva, il più delle volte, casualmente e non in base a precisi orientamenti politici, sempre però con l’obiettivo dichiarato di cacciare i Tedeschi e i Fascisti da Roma.
L’arresto del Magg. Grani, con cui il Vice Brigadiere Lungaro era in stretto contatto, fu eseguito dalla Gestapo a seguito della delazione di un infiltrato, tale Tino Tini (alias Mario Albertini).
Il 12 febbraio 1944 le SS tedesche, non avendolo trovato nella sua abitazione, lo arrestarono all’interno della Caserma “San Eusebio”, per poi condurlo nella prigione di Via Tasso.
Si accomiatò dai colleghi dicendo: “Compagni, non vi preoccupate, vi raccomando mia moglie e i miei figli”.
Quasi presago della sorte che lo attendeva, poco tempo prima della sua cattura, soleva ripetere alla moglie, che lo invitava ad essere prudente: “i nostri figli sapranno educarsi da soli”, per poi aggiungere: “…Voi non potete capire cosa significa la parola libertà”.
Fu segregato e torturato lungamente da carnefici spietati, ma seppe mantenere stoicamente il segreto sui nomi e sui nascondigli dei patrioti con cui era in contatto.
Il suo nome figurò, quasi subito, tra i 154 detenuti a disposizione del Comando Tedesco, cui Kappler aggiunse, poi, altre 81 persone da fucilare alla Cave Ardeatiine come rappresaglia all’azione gappista di Vai Rasella del 23 marzo 1944.
Fu uno degli ultimi ad essere soppresso alle Fosse Ardeatine. Ciò si deduce dal numero 39 del sarcofago in cui è deposto, che sta ad indicare che fu tra le prime salme ad essere state dissepolte dall’equipe del prof. Attilio Ascarelli, che attese all’opera di esumazione e di identificazione dei 335 martiri.
I poveri resti dell’eroico Poliziotto furono identificati dalla consorte, grazie ad un anello.
La vedova all’epoca era in attesa del terzo figlio, chiamato poi alla nascita col nome del papà. Al Vice Brigadiere Pietro Ermelindo Lungaro sono state intitolate una Caserma di Polizia a Palermo, un’aula della Scuola di Polizia di Nettuno, una strada a Trapani e ad Erice.
Gli è stata conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare, alla memoria.
“Arrestato per aver svolto attività patriottica, sopportava impavido i rigori di dura prigionia e stoicamente subiva torture. Barbaramente trucidato, immolava la sua giovinezza per le maggiori glorie della Patria e della Libertà.
Fulgido esempio di cosciente ardimento, di fede assoluta nei destini della Patria, di piena