“Non ci sono soltanto le carte e le bobine di trentadue anni fa nell’atto d’accusa della procura di Caltanissetta contro l’ex pm Gioacchino Natoli, magistrato simbolo della lotta alla mafia a cui oggi viene contestato di aver insabbiato l’inchiesta sui padrini infiltrati nel gruppo Gardini. Ci sono anche delle intercettazioni telefoniche: in questi ultimi mesi, dopo essere stato chiamato in causa in commissione antimafia dall’avvocato Fabio Trizzino (il marito di Lucia Borsellino), Natoli ha contattato alcuni colleghi dell’epoca, qualcuno poi sentito come testimone a Caltanissetta. Proprio questi dialoghi intercettati sono stati citati dal procuratore Salvatore De Luca e dal suo pool nell’elencazione delle “fonti di prova” fatta a Gioacchino Natoli all’inizio del suo interrogatorio, il 5 luglio scorso. Un lungo dettagliato elenco di conversazioni a sostegno delle ipotesi di reato: la calunnia nei confronti dell’allora dirigente dell’ufficio intercettazioni Dino Galati e il favoreggiamento alla mafia. Cosa c’è dunque in quelle intercettazioni che la procura nissena ritiene rilevanti? Forse, il tentativo di concordare con i testimoni dell’epoca una versione unitaria della vicenda? Il giorno dell’interrogatorio, dopo la lunga elencazione delle “fonti di prova”, durata più di un’ora, Gioacchino Natoli ha scelto di avvalersi della facoltà di non rispondere: è il sacrosanto diritto di ogni indagato, ma in questo caso la scelta ha assunto il tono della sorpresa, perché nei giorni precedenti l’ex magistrato aveva annunciato pubblicamente: «Sono stato e sono un uomo delle istituzioni e ho piena fiducia nella giustizia. Darò senz’altro il mio contributo nell’accertamento della verità». Poi, invece, all’uscita dal palazzo di giustizia, arrivò l’annuncio dei legali: «Il dottore Natoli si è avvalso allo stato della facoltà di non rispondere, riservandosi di chiedere alla procura un successivo interrogatorio in cui fornire ogni utile chiarimento». In attesa di quel momento, il difensore di Natoli, l’avvocato Fabrizio Biondo, precisa a “Repubblica” che quelle conversazioni indicate dalla procura «sono semplicemente le telefonate di un uomo perbene che ha cercato di ricostruire vicende di trent’anni fa per potere poi riferire nelle sedi opportune». Natoli ha chiesto infatti di essere ascoltato dalla commissione antimafia per replicare alle accuse dell’avvocato Trizzino. Oggi, l’inchiesta prosegue. Sono state convocate in procura come testimoni le mogli di Natoli e del generale Stefano Screpanti, l’ufficiale che all’epoca condusse le indagini sui boss Buscemi e Bonura, anche lui oggi è indagato (sentito nei giorni scorsi ha offerto la sua versione dei fatti). Le audizioni delle due mogli fanno pensare ad altre intercettazioni ritenute rilevanti dai pm: probabilmente, si tratta di dialoghi in famiglia sulle vicende del 1992 o sull’inchiesta attuale. La vicenda è complessa. La procura di Caltanissetta e i finanzieri del comando provinciale stanno cercando di ricostruire il contesto e i dettagli di quell’indagine su mafia e appalti che tanto stava a cuore a Paolo Borsellino. In questa storia ha fatto capolino anche l’allora procuratore capo di Palermo morto nel 2018, Pietro Giammanco, i pm nisseni lo indicano come «l’istigatore», lui sarebbe stato il regista dell’insabbiamento. Vicenda davvero complessa, adesso anche alla luce delle intercettazioni di Natoli. La difesa insiste: «Quelle telefonate non hanno davvero alcun rilievo, testimoniano soltanto il travaglio di un valoroso rappresentante delle istituzioni che adesso si trova indagato di un’accusa infamante».
Ora, però, una cosa è emersa per certo dall’inchiesta di Caltanissetta: l’indagine su mafia e appalti si arenò. Il dilemma è il seguente: per l’infedeltà di qualcuno, o per incompetenza di chi condusse l’inchiesta? Se dovesse essere la seconda ipotesi, oggi bisognerebbe aiutare al più presto la procura di Caltanissetta a fare luce. Sono passati 32 anni e non sappiamo ancora perché Cosa nostra accelerò la morte di Paolo Borsellino. Perché doveva essere fermato al più presto?”