Il pentito di mafia Leonardo Messina, 37 anni, uomo d’onore dal 1982, capo-decina e vice-rappresentante della famiglia mafiose di San Cataldo in provincia di Caltanissetta, exbraccio destro di Pippo «Piddu» Madonia, arrestato il 16 aprile 1992, «collaboratore di giustizia» dal 30 giugno di quest’anno, era anche un collaboratore del Sisde.
Conosceva e informava gli 007 dal 1986-87, e nella scorsa primavera ha tentato di avvisare il suo «contatto» del Sisde di una riunione a cui avrebbe partecipato il vertice di Cosa Nostra, i capi più importanti intorno allo stesso tavolo per decidere la strategia e le stragi mafiose.
Ma l’uomo del Sisde non andò all’appuntamento. «E io mica potevo andare a cercarlo in caserma.
Se fosse venuto molte cose in Sicilia non sarebbero successe, magistrati e poliziotti non sarebbero morti», ha detto ieri Messina durante l’audizione davanti alla commissione parlamentare enti-mafia, durata oltre sei ore.
Un lungo racconto in cui il pentito che con le sue rivelazioni ha fatto scattare i mandati di cattura per l’omicidio Lima e 1’«operazione Leopardo» ha parlato delle mutazioni interne alla mafia, della nuova strategia politica di Cosa Nostra, dei superlatitanti, dei rapporti con la massoneria. Ecco i passi principali della prima parte della sua deposizione. Rapporti con il Sisde. «Ho avuto i primi contatti con il Sisde verso il 1986-87, volevo uscire da Cosa Nostra ma non era possibile.
Avevo paura di rimanere, dentro l’organizzazione, avevo perso molte persone che vivevano intorno a mei Ero diventato amico di gente pulita che mi aveva portato ad avere il contatto con il Sisde. In quel periodo volevano notizie sul terrorismo, io non tradivo Cosa Nostra.
Andavano in giro con un prezziario dei latitanti: Totò Riina 800 milioni, Pino Scarpuzzedda 600 milioni, Pippo Madonia 400 milioni, ma io avevo paura di dirgli i posti dov’erano, perché sarebbe stato come morire…
Conosceva e informava gli 007 dal 1986-87, e nella scorsa primavera ha tentato di avvisare il suo «contatto» del Sisde di una riunione a cui avrebbe partecipato il vertice di Cosa Nostra, i capi più importanti intorno allo stesso tavolo per decidere la strategia e le stragi mafiose.
Ma l’uomo del Sisde non andò all’appuntamento. «E io mica potevo andare a cercarlo in caserma.
Se fosse venuto molte cose in Sicilia non sarebbero successe, magistrati e poliziotti non sarebbero morti», ha detto ieri Messina durante l’audizione davanti alla commissione parlamentare enti-mafia, durata oltre sei ore.
Un lungo racconto in cui il pentito che con le sue rivelazioni ha fatto scattare i mandati di cattura per l’omicidio Lima e 1’«operazione Leopardo» ha parlato delle mutazioni interne alla mafia, della nuova strategia politica di Cosa Nostra, dei superlatitanti, dei rapporti con la massoneria. Ecco i passi principali della prima parte della sua deposizione. Rapporti con il Sisde. «Ho avuto i primi contatti con il Sisde verso il 1986-87, volevo uscire da Cosa Nostra ma non era possibile.
Avevo paura di rimanere, dentro l’organizzazione, avevo perso molte persone che vivevano intorno a mei Ero diventato amico di gente pulita che mi aveva portato ad avere il contatto con il Sisde. In quel periodo volevano notizie sul terrorismo, io non tradivo Cosa Nostra.
Andavano in giro con un prezziario dei latitanti: Totò Riina 800 milioni, Pino Scarpuzzedda 600 milioni, Pippo Madonia 400 milioni, ma io avevo paura di dirgli i posti dov’erano, perché sarebbe stato come morire…
Nella primavera scorsa, in provincia di Enna, si sono riuniti i rappresentanti dell’organizzazione della Sicilia, e io volevo farli prendere tutti perché avevo capito che mi avrebbero fatto fuori, volevo “spidugliare” (risolvere, ndr) tutto in una volta sola.
Allora ho detto ad una persona di far venire il capitano, che gli avrei dato quello che voleva.
“Digli di venire a prendere il caffè da te” gli dissi, ma la risposta dell’ufficiale fu: “Ci dici al boss che dico io quando si devono fissare gli appuntamenti”.
Se fosse venuto molte cose non sarebbero successe in Sicilia… Il nome dell’ufficiale è verbalizzato».
I latitanti. «Pino Greco detto “Scarpuzzedda” è morto, gliel’ho detto io al Sisde.
Bernardo Provenzano ho i miei dubbi che sia vivo.
Salvatore Riina invece è vivo e dal novembre dell’anno scorso è stato nominato capo della mafia mondiale. Lo so perché in quell’occasione partecipai ad una grande festa in cui vennero regalate scarpe a tutti.
Si sposta su e giù dalla Sicilia come faceva Pippo Madonia, ma solo con una macchina, non con sei o sette come dicono.
Dopo l’omicidio di Gioacchino Ribisi (1990, ndr), Riina fu fermato ad un posto di blocco lungo lo scorrimento veloce Licata-Agrigento, ma lo hanno lasciato andare perché non lo conoscono».
La nuova mafia. «Dopo aver fatto un colpo di Stato all’interno dell’organizzazione i corleonesi (che non sono solo quelli di Corleone, ma una corrente presente in tutte le province), responsabili di tutto ciò che è accaduto in Sicilia dal 1982, stanno riorganizzando Cosa Nostra, si stanno facendo un vestito nuovo.
Cosa Nostra come era conosciuta è destinata a scomparire, si stanno affiliando uomini nuovi destinati a rimanere segreti, sconosciuti. Prima hanno eliminato tutti i vecchi capi servendosi dei giovani come me, poi hanno cominciato ad eliminare i giovani che alzavano la testa (Mariolino Prestifilippo, Pucciò, ecc.).
Si devono spogliare degli afilali ti tradizionali, e in un certo senso con gli arresti noi gli stiamo facendo un favore, perché gli uomini d’onore di tradizione sono un peso per la nuova Cosa Nostra, una struttura parallela completamente segreta». Rapporti con i politici e la massoneria.
«Sono cambiati. Prima ci si levava il cappello davanti ai politici, si invitavano ai battesimi ed era un onore se venivano. Adesso il rapporto coi politici non è più un’amicizia, ma un’imposizione che devono subire, anche perché sono diventati più simili a noi, per esempio nel modo di gestire gli appalti.
Ci sono rapporti nuovi anche per quanto riguarda le forze politiche. Adesso Cosa Nostra è tornata a coltivare il sogno di comandare su un territorio indipendente, e per fare questo si sta rivolgendo a formazioni politiche nuove, che non vengono dalla Sicilia.
Ma alcuni dei vecchi alleati sono rimasti in contatto. Nel suo progetto separatista Cosa Nostra è aiutata dalla massoneria.
Molti mafiosi vi appartengono, a cominciare da Totò Riina. E’ nella massoneria che si può avere il contatto totale con politici, imprenditori e rappresentanti di poteri diversi da quello punitivo, che appartiene a Cosa Nostra.
Ci sono magistrati molto vicini a Cosa Nostra, da cui abbiamo ottenuto dei favori».
Allora ho detto ad una persona di far venire il capitano, che gli avrei dato quello che voleva.
“Digli di venire a prendere il caffè da te” gli dissi, ma la risposta dell’ufficiale fu: “Ci dici al boss che dico io quando si devono fissare gli appuntamenti”.
Se fosse venuto molte cose non sarebbero successe in Sicilia… Il nome dell’ufficiale è verbalizzato».
I latitanti. «Pino Greco detto “Scarpuzzedda” è morto, gliel’ho detto io al Sisde.
Bernardo Provenzano ho i miei dubbi che sia vivo.
Salvatore Riina invece è vivo e dal novembre dell’anno scorso è stato nominato capo della mafia mondiale. Lo so perché in quell’occasione partecipai ad una grande festa in cui vennero regalate scarpe a tutti.
Si sposta su e giù dalla Sicilia come faceva Pippo Madonia, ma solo con una macchina, non con sei o sette come dicono.
Dopo l’omicidio di Gioacchino Ribisi (1990, ndr), Riina fu fermato ad un posto di blocco lungo lo scorrimento veloce Licata-Agrigento, ma lo hanno lasciato andare perché non lo conoscono».
La nuova mafia. «Dopo aver fatto un colpo di Stato all’interno dell’organizzazione i corleonesi (che non sono solo quelli di Corleone, ma una corrente presente in tutte le province), responsabili di tutto ciò che è accaduto in Sicilia dal 1982, stanno riorganizzando Cosa Nostra, si stanno facendo un vestito nuovo.
Cosa Nostra come era conosciuta è destinata a scomparire, si stanno affiliando uomini nuovi destinati a rimanere segreti, sconosciuti. Prima hanno eliminato tutti i vecchi capi servendosi dei giovani come me, poi hanno cominciato ad eliminare i giovani che alzavano la testa (Mariolino Prestifilippo, Pucciò, ecc.).
Si devono spogliare degli afilali ti tradizionali, e in un certo senso con gli arresti noi gli stiamo facendo un favore, perché gli uomini d’onore di tradizione sono un peso per la nuova Cosa Nostra, una struttura parallela completamente segreta». Rapporti con i politici e la massoneria.
«Sono cambiati. Prima ci si levava il cappello davanti ai politici, si invitavano ai battesimi ed era un onore se venivano. Adesso il rapporto coi politici non è più un’amicizia, ma un’imposizione che devono subire, anche perché sono diventati più simili a noi, per esempio nel modo di gestire gli appalti.
Ci sono rapporti nuovi anche per quanto riguarda le forze politiche. Adesso Cosa Nostra è tornata a coltivare il sogno di comandare su un territorio indipendente, e per fare questo si sta rivolgendo a formazioni politiche nuove, che non vengono dalla Sicilia.
Ma alcuni dei vecchi alleati sono rimasti in contatto. Nel suo progetto separatista Cosa Nostra è aiutata dalla massoneria.
Molti mafiosi vi appartengono, a cominciare da Totò Riina. E’ nella massoneria che si può avere il contatto totale con politici, imprenditori e rappresentanti di poteri diversi da quello punitivo, che appartiene a Cosa Nostra.
Ci sono magistrati molto vicini a Cosa Nostra, da cui abbiamo ottenuto dei favori».
Una sola mafia. «La struttura nazionale di Cosa Nostra è unitaria, ad essa fa capo tutto: camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita sono solo dei nomignoli. Mi sono stati presentati dei camorristi come uomini d’onore, ho conosciuto il rappresentante regionale della Lombardia.
Esiste una commissione nazionale, con i rappresentanti delle varie regioni: Lombardia, Calabria, Piemonte, Puglia, ecc.».
Le armi. «Molte delle armi usate dall’organizzazione escono dai centri Nato.
Si può avere tutto, giubbotti anti-proiettile, bazooka. Quando l’ho detto la prima volta si sono messi a ridere, poi hanno trovato cinque bazooka.
In Belgio, in Svizzera, si compra con grande facilita, a qualunque prezzo. Un kalashnikov può costare da un 1 milione e 800 mila lire a 2 milioni e 300 mila, con due caricatori e trecento colpi. Ogni famiglia ha le sue armi, ma a volte vengono anche scambiate.». Giovanni Bianconi LA STAMPA
Esiste una commissione nazionale, con i rappresentanti delle varie regioni: Lombardia, Calabria, Piemonte, Puglia, ecc.».
Le armi. «Molte delle armi usate dall’organizzazione escono dai centri Nato.
Si può avere tutto, giubbotti anti-proiettile, bazooka. Quando l’ho detto la prima volta si sono messi a ridere, poi hanno trovato cinque bazooka.
In Belgio, in Svizzera, si compra con grande facilita, a qualunque prezzo. Un kalashnikov può costare da un 1 milione e 800 mila lire a 2 milioni e 300 mila, con due caricatori e trecento colpi. Ogni famiglia ha le sue armi, ma a volte vengono anche scambiate.». Giovanni Bianconi LA STAMPA