2.8.1988 «Volete dimenticare i nostri morti»

 

«Volete dimenticare i nostri morti » Polemica tra gli agenti: un gruppo di iscritti abbandona il Siulp e costituisce un nuovo sindacato di polizia «Volete dimenticare i nostri morti » I dimissionari: «Certi dirigenti hanno fatto passare come carrieristi i colleghi assassinati dalla mafia» – Alla base delle divisioni sarebbe lo scontro tra la componente comunista e quella del psi – Risalgono al ’79 le tensioni in questura . PALERMO — Faida dopo ‘falda si va-avanti, ormai, in un clima incandescente. I segnali di pace di Roma non fanno breccia a Palermo: l’ultima spaccatura riguarda il sindacato di polizia, il Siulp. Evidentemente le polemiche che hanno investito la squadra mobile hanno avuto ripercussioni anche in sede sindacale, e così, mentre il capo della mobile, Antonino Nicchi, saluta, mentre il vicequestore Saverio Montavano va in ferie diplomatiche, nasce un nuovo sindacato. Si chiama ‘Azione democratica per l’unità» e comprenderebbe un centinaio di transfughi del Siulp. “Un centinaio?», replicano ì dirigenti siulpini. “Non è vero, sono si è no quattro e sappiamo perfettamente a chi fanno capo». L’allusione è ancora una volta al coordinamento antimafia, protagonista, nel passato, di altre polemiche come quella con lo scrittore Leonardo Sciascia a proposito dei cosiddetti prò-. fessionìsti della lotta allamafia: . ■. ■ In sostanza, la tesi di Salvatore Carrera, segretario provinciale del Siulp (vicino ai socialisti) è che i transfughi sono gli scontenti manovrati dal coordinamento e dal partito comunista. Scontenti di che? Per esempio del comunicato che il sindacato ha diffuso in occasione dell’ultima vicenda che ha visto protagonisti il procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, e il consigliere istruttore di Palermo, Antonino Meli. Ai «ribelli» non è piaciuto affatto che il Siulp si sia schierato apertamente con Meli e che siano state usate frasi come: “Basta coi Cassarà», “Basta coi Giuliano». In effetti, ai più è apparsa infelice la sortita del sindacato, anche se gli autori del comunicato si sono affrettati a precisare che era, quello, un modo per incitare i poliziotti a scrollarsi dal peso del passato per ricostruire una nuova polizia. L’opinione più diffusa, comunque, è che anche nel Siulp abbiano prevalso le logiche delle divisioni politiche, da una parte l’anima socialista, dall’altra quella comunista con le vesti del coordinamento antimafia. L’accusa che viene mossa ad «Azione democratica» è questa: ‘Non rappresentano nessuno. Tant’è che sono ancora anonimi. Non firmano neppure i comunicati». Dall’altra parte replicano: ‘Certi dirigenti del sindacato si sono permessi di vanificare il sacrificio di poliziotti onesti e preparati come Boris Giuliano e Ninni Cassarà, mistificandoli come carrieristi e proponendo di collocarli nel dimenticatoio». E’, questo, l’ultimo atto di una faida che alla squadra mobile di Palermo si trascina sin dal 1979, anno in cui fu uc¬ ciso il dirigente Boris Giuliano. Da allora quell’ufficio non ha avuto più pace. ” – Tutti quelli che si sono avvicendati sulla poltrona che fu di Giuliano sono finiti al centro di polemiche o di accuse di inefficienza. A cominciare da quel Giuseppe Impallomeni, arrivato a Palermo per ricostruire l’«organismo decapitato» e travolto, invece, dallo scandalo della P2. E come dimenticare il periodo in cui la questura fu retta da Vincenzo Immordino? La tensione raggiunse punte mai registrate. Il clima di sospetto trionfava, fino ad indurre il questore ad organizzare i blitz servendosi di funzionari estemi alla mobile e dopo aver «consegnato» i titolari in una caserma. Per tenerli buoni tra quelle mura, Immordino si era inventato il pericolo di una sommossa all’Ucciardone. E mentre i «consegnati» aspettavano notizie, Paler¬ mo veniva messa a soqquadro da poliziotti calabresi e napoletani.” Anche Immordino finì nell’occhio del ciclone quando da un rapporto di polizia scomparve il nome di Michele Sindona. Gli anni successivi non furono migliori: l’omicidio Cassarà, la morte del commissario Montana, la rivolta dei poliziotti contro il ministro Scalfaro. E poi l’esplosione del caso Marino, il giovane morto durante un interrogatorio in questura. I trasferimenti, gli arresti, l’azzeramento dell’apparato investigativo. Nessuno è ancora riuscito a trovare una soluzione per questa squadra mobile «malata». Si cerca un capo che abbia carisma, un uomo in grado di ricomporre le faide. Ma non è solo questione di carisma: secondo i giudici che hanno lanciato il grido d’allarme è anche una questione di professionalità. f. LA STAMPA