22.10.1986 ARCHIVIO 🟧 Un fantasma contro la mafia

 

 

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Un fantasma contro la mafia Palermo, la tragica storia del primo pentito: confessò e venne eliminato da Cosa nostra Leonardo Vitale, negli Anni Settanta rivelò rituali e delitti delle cosche, ma i giudici lo ritennero «pazzo» –
L’istruttoria-bis ora gli dĂ  ragione: Buscetta e Contorno confermano le sue accuse – Ottanta i rinviati a giudizio.
Quella depositata sabato scorso dal giudice Antonino Caponnetto alla cancelleria del tribunale di Palermo non è soltanto una ordinanza-sentenza che rinvia a giudizio 80 imputati dell’istruttoria bis sulla mafia, è anche un documento che deve fare meditare chi, negli Anni Settanta, a Palermo, Indagò sulla criminalitĂ  mafiosa — inquirenti, magistratura — e non seppe cogliere le occasioni che gli si offrivano. Documento insolito: cinque volumi per un totale di 1400 pagine che si aprono, dopo il lungo elenco degli imputati, con la presentazione di un personaggio, un pentito ante lltteram, e con il riconoscimento di suol meriti, prima mai riconosciuti.
Quel personaggio. Leonardo Vitale, giĂ  mafioso, è morto, ucciso dalla stessa mafia. Scrive il giudice: «E’ augurabile che, almeno dopo morto, trovi il credito che meritava e che merita*. E ancora, a sottolineare la cecitĂ , le colpe degli inquirenti di allora: «a differenza della giustizia statuale, la mafia ha percepito l’importanza delle propalazioni di Vitale Leonardo e, nel momento piĂą opportuno, lo ha inevitabilmente punito per avere violato la legge dell’omertà». Un personaggio al quale si doveva credere, dunque, mentre invece non si è creduto, ritardando di anni la giustizia. E perchĂ© non s’è creduto?
Se lo chiedono anche i giudici tra le righe della loro ordinanza (Antonino Caponnetto è stato affiancato da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello, Giacomo Conte e Ignazio De Francisco.
E’ nel 1973 che Leonardo Vitale, questo «modesto uomo d’onore, travagliato da una crisi di coscienza-, si presenta in questura e rivela tutto quanto è a sua conoscenza sulla mafia, sui propri e gli altrui misfatti. Dice cose che dieci anni dopo Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e altri confermeranno integralmente. Ma quelle rivelazioni non vengono accolte. Vitale, tratto in arresto dalla Mobile palermitana 11 17 ottobre ’72 perchĂ© ritenuto coinvolto nel sequestro a scopo di estorsione dell’ing. Luciano Cassina, viene scarcerato per mancanza di sufficienti indizi il 30 settembre. Nel marzo ’73, eccolo in preda a crisi di coscienza: gì presenta spontaneamente alla Mobile e svela tutto ciò che sa su Cosa Nostra di cui ammette di far parte, autoaccusandosi di alcuni omicidi commessi in correitĂ  con numerosi personaggi.
Annota il giudice: «Le confessioni ebbero esito sconfortante: gran parte delle persone da lui accusate venivano prosciolte mentre lui stesso, dichiarato seminfermo di mente, era pressochĂ© l’unico ad essere condannato».
Che cosa aveva raccontato? Una lunga serie di pagine di reati, come l’uccisione, su commissione di suo zio Giovanbattista Vitale, di un certo Vincenzo Mannino, reo di avere acquisito delle «gabelle» senza avere chiesto 11 permesso.
Suo zio, rappresentante, nell’ambito della mafia, della famiglia Altarello. lo aveva messo alla prova chiedendogli alcuni atti di violenza, tra cui lo studio delle abitudini del Mannino e poi la sua uccisione.
Poi, dopo il superamento di queste prove, c’era stata la cerimonia del giuramento, in un casolare isolato, alla presenza dello zio Giovanbattista, di Salvatore Inzerillo e di altri.
Secondo un preciso rito gli avevano punto un dito con una spina di arancio amaro, lui stesso aveva bruciato una immagine sacra e aveva baciato tutti sulla bocca.
Così era entrato a far parte della famiglia di Altarello di Baida di Cosa Nostra e da questo momento aveva incominciato a conoscere i componenti della propria e di altre famiglie e ad operare come membro effettivo dell’organizzazione.
Lo zio lo aveva adibito ad acquisizioni di guardianie di cantieri edili siti nel viale della Regione Siciliana e per espletare il suo incarico Leo nardo aveva iniziato a  danneggiamenti a fini estorsivi ai danni di costruttori e di proprietari terrieri con bombe, incendi, ecc.; atti che poi si concludevano con l’acquisizione della guardia nia. cioè le vittime erano in dotte ad accettare il guardia no, s’intende a pagamento, imposto dalla mafia.
La vita di mafia di Leonardo Vitale continua su questa impostazione, ma non con soli incendi, furti, bombe: anche omicidi.
Nella sua confessione fatta nel ’73, dopo il pentimento, Vitale parla di diverse uccisioni, non tutte necessariamente opera sua, ma di altri dei quali indica nome e cognome: l’omicidio di Pietro Di Marco, 11 26 gennaio ’72, ad esempio, ucciso personalmente da Antonino Rotolo su mandato di Giuseppe Calò come punizione per un’offesa; oppure romicidio di Vincenzo Traina, il 17 ottobre ’71, opera di Francesco Grima e altri tre non identificati (doveva essere un sequestro di persona, ma la vittima cercò di fuggire sebbene ferita e fu rincorsa e uccisa a colpi di pistola).
Fa notare il giudice che il racconto del Vitale aveva un impressionante riscontro nell’indagine di polizia che aveva portato al rinvenimento sul luogo del delitto di catene, lucchetti e cappucci.
Quasi tutti 1 personaggi indicati dal Vitale nella fase della sua confessione spontanea come pentito sono poi stati indicati anche da Buscetta e da Contorno, con molta precisione, addirittura con gli stessi soprannomi, tanto che non c’è assolutamente incertezza nell’identificazione dei protagonisti.
Ebbene su quei personaggi non si indagò, non si indagò nemmeno su Vito Ciancimino (l’ex sindaco di Palermo, che pure era stato segnalato come uomo «nelle mani» di taluni potenti mafiosi).
«Tutte le rivelazioni sono state sottovalutate — commenta amaramente il giudice — e passate nel dimenticatoio, benché sorrette da numerosi riscontri e lo stesso Vitale è stato etichettato come pazzo^ e seminfermo di mente-.
«Ma — dice ancora il giudice — l’asserita malattia mentale che lo affliggeva non comportava, come accertato dal perito, nĂ© allucinazioni, nĂ© deliri di persecuzione, nĂ© altre gravi alterazioni psichiche e non escludeva la sua capacitĂ  di ricordare e di raccontare fatti di sua conoscenza-.
L’ordinanza-sentenza riporta alcuni brani di un memoriale scritto di suo pugno dal Vitale all’epoca in cui si era presentato alla Mobile. •Si segnalano — scrive il giudice — perchĂ© si possa valutare il suo pentimento, quando era nella crisi di coscienza per i delitti compiuti e si era rifugiato nelle fede in Dio.. Scriveva Vitale: «lo sono stato preso in giro dalla vita.
La Mafia mi è piovuta addosso con le sue false leggi e coi suoi falsi ideali: combattere i ladri, aiutare i deboli, però uccidere-.
«La massoneria, la Giovane Italia, la camorra napoletana e calabrese, Cosa Nostra mi hanno aperto gli occhi su un mondo fatto di delitti e di tutto guanto c’è di peggio perchĂ© si vive lontano da Dio e dalle leggi divine-.
E ancora: «Bisogna essere mafiosi per avere successo, questo mi hanno insegnato ed io ho obbedito. La mia colpa è di essere nato e vissuto in una famiglia di tradizione mafiosa, in una societĂ  dove tutti sono mafiosi e per questo rispettati, mentre quelli che non lo sono vengono dispressati. Coloro che li rispettano e li proteggono e che si lasciano corrompere o peggio ancora si servono di essi hanno dimenticato che si diventa uomini d’onore seguendo i comandamenti di Dio e non uccidendo-.
Commenta il giudice: «Certamente è possibile che questa crisi sia effetto delle sue alterate condizioni psichiche, ma ciò non sposta di una virgola il giudizio sulle sue dichiarazioni..
Vitale, scarcerato nel giugno ’84, venne ucciso pochi mesi dopo, il 2 dicembre, a colpi di pistola mentre tornava dalla messa domenicale. «Non dovrebbero esservi dubbi circa i mandanti di tale efferato assassinio, specie se si considera che il delitto è stato consumato in un contesto in cui Buscetta, Contorno ed altri pentiti avevano imboccato la strada della collaborazione con la Giustizia-. Remo Lugli LA STAMPA
 
 
 

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