Il vizio della memoria: Quando Falcone disse (mai smentito) “ne ho i co… pieni di…”

 

A 28 anni dalla strage di Capaci, quelle cose che andrebbero ricordate per ricordare Falcone ma che tanti suoi ex colleghi e altri potenti non ricorderanno

 

Ricordare Giovanni Falcone (e con lui la moglie Francesca Morvillo, gli uomini della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani; i 23 feriti, tra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Gaspare Cervello, Angelo Corbo, e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza), credo significhi anche non smarrire la memoria che:

a) fu il Consiglio Superiore della Magistratura a maggioranza (compresi due su tre aderenti a Magistratura Democratica) a preferire Antonino Meli a Falcone;

b) che furono i suoi colleghi magistrati, a maggioranza, a bocciarlo quando si candidò al CSM;

c) che furono Leoluca Orlando, Carmine Mancuso e Alfredo Galasso, rappresentanti dell’allora “Rete”, a denunciarlo al CSM, accusandolo di tener chiusi nei suoi cassetti le verità sui delitti eccellenti a Palermo;

d) che fu Alfredo Galasso ad accusarlo di essere “fuggito” da Palermo e “disertare” la lotta alla mafia andando a dirigere l’ufficio Affari Penali del ministero di Giustizia a Roma;

e) che furono i suoi colleghi magistrati a sostenere in un pubblico documento che la Direzione Nazionale Antimafia, ideata e proposta da Falcone (e che Falcone avrebbe dovuto guidare, se nel frattempo non fosse stato ucciso) era pericolosa;

f) che fu Alessandro Pizzorusso (membro “laico” del CSM designato dall’allora  PCI) a scrivere su “l’Unità” che Falcone era inaffidabile in quanto aveva accettato l’incarico di responsabile degli Affari Penali che gli aveva offerto l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli;

g) che fu il CSM a preferire Agostino Cordova a Falcone per la Direzione Nazionale Antimafia, e solo la caparbietà di Claudio Martelli impedì che Cordova venisse insediato;

h) che Falcone si dichiarò, esplicitamente, per la separazione delle carriere del giudice e del pubblico ministero; per l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale; per la responsabilità anche civile del magistrato per dolo o colpa grave; e questo lo rese inviso a tanti suoi colleghi;

i) che Falcone al giornalista Luca Rossi, che poi lo pubblica nel libro I disarmati (mai smentito), dice:

“…Il fatto è che il sedere di Falcone ha fatto comodo a tutti. Anche a quelli che volevano cavalcare la lotta antimafia. In questo condivido una critica dei conservatori. L’antimafia è stata più parlata che agita. Per me, invece, meno si parla, meglio è. Ne ho i coglioni pieni di gente che giostra con il mio culo. La molla che comprime, la differenza: lo dicono loro, non io. Non siamo un’epopea, non siamo superuomini e altri lo sono molto meno di me. Sciascia aveva perfettamente ragione: non mi riferisco agli esempi che faceva in concreto, ma più in generale. Questi personaggi, prima si lamentano perché ho fatto carriera, poi se mi presento per il posto di procuratore, cominciano a vedere chissà quali manovre. Gente che occupa i quattro quinti del suo tempo a discutere in corridoio; se lavorassero, sarebbe meglio. Nel momento in cui non t’impegni, hai il tempo di criticare: guarda che cazzate fa quello, guarda quello che è passato al PCI e via dicendo. Basta, questo non è serio. Lo so di essere estremamente impopolare, ma la verità è questa…”.

Sono davvero tante le cose che andrebbero ricordate per ricordare Falcone. E non saranno invece ricordate.

Valter Vecellio 23 maggio 2020 LA VOCE DI NEW YORK