ARCHIVIO 🟧 Carnevale “l’ammazza sentenze”

 

PROCESSO A CORRADO CARNEVALE PER CONCORSO ESTERNO IN ASSOCIAZIONE MAFIOSA

 


30.10.2002 Sentenza Corte di cassazione

2001 Sentenza processo Appello

 

 

30.3.1993 I pentiti accusano il «presidente ammazzasentenze»: era la nostra massima garanzia i pentiti accusano il «presidente ammazzasentenze»: era la nostra massima garanzia «Carnevale, la tega di Cosa Nostra» nome del giudice nella lista degli indagati per mafia «Cordata con Lima e Andreotti per annullare i processi»
Adesso toccherà a Corrado Carnevale.
L’inchiesta sulla mafia è diventata un fiume che non si ferma più, una storia incredibile dentro un’altra storia, questa crudele, fatta di morti, di stragi, di soldi.
Sembra il racconto di un film, a sfogliare le pagine di un dossier che svela 15 anni di tragedie, attorno a noi, vicino a noi. Colletti bianchi, giudici, grandi politici, che aiutano e proteggono boss e assassini. E’ inutile chiedersi se sia vero.
Per ora magari potrà sembrarlo. Adesso Corrado Carnevale è nella lista degli indagati per attività mafiose. Però da Palermo hanno spedito a Roma un fascicolo ancora più ampio. Forse si dovrà decidere anche per altri reati. Giudice della Cassazione, ex presidente della prima sezione, «l’Ammazzasentenze», come lo chiamavano i suoi nemici, oppure, pensate un po’, «la massima garanzia», come lo definivano i signori della mafia. Certo, tutto questo non fa accusa. Però, è vero che nel voluminoso dossier inviato al Senato dalla Procura di Palermo, alcune pagine dedicate al giudice lasciano tracce inquietanti. E lui, Corrado Carnevale, da Roma si difende così: «Non penso nulla, perché io quello che ho pensato sul processo penale l’ho fatto scrivere nelle sentenze». Poi, due battute. Una, a chi gli chiedeva se aspettava fiducioso il corso della giustizia: «Non ritengo che debba fare nessun corso». E l’altra sui pentiti: «Io credo nello stato di diritto e nel processo». Di questi tempi, è difficile credere a qualcosa.
Le carte di Palermo, però, lanciano davvero brutte ombre. Parole di pentiti, soprattutto. Ma non solo. Il teorema è sempre lo stesso, avvalorato da confessioni e da strane coincidenze, in qualche caso, come in quello della sentenza per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Una linea Lima-Andreotti-Carnevale: «Vi erano precise garanzie che il maxiprocesso si sarebbe risolto in una cazzata e che tali garanzie provenivano dall’on. Lima, dall’on. Andreotti e dal presidente della Cassazione Carnevale», racconta Leonardo Messina.
Gaspare Mutolo è ancora più dettagliato: «Secondo quanto assicuravano molti esponenti di Cosa Nostra, con il presidente Carnevale non ci sarebbe stato alcun problema per più motivi. Da un lato, secondo quanto riferivano alcuni avvocati che avevano con lui un rapporto di particolare dimestichezza, il presidente Carnevale poteva essere manovrato.
Per altro verso, poi, per arrivare al dottore Carnevale vi era il canale politico, ben distinto dal primo.
Questo canale era rappresentato dal senatore Andreotti, il quale avrebbe dovuto interessarlo per il buon esito del maxiprocesso. Si diceva, infatti, che Andreotti aveva uno speciale rapporto personale con Carnevale».
Così, nelle carceri, in attesa del maxiprocesso, raccontano i pentiti «gli uomini d’onore erano fiduciosi e tranquilli». Il presidente della prima sezione, precisa Mutolo, «aveva già annullato numerose sentenze di condanna nei confronti di appartenenti alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra, e aveva trovato la formula per annullare cercando il pelo nell’uovo la sentenza di condanna per l’omicidio di Basile, nonostante l’esistenza di prove giudicate schiaccianti dagli uomini d’onore di Cosa Nostra».
Quella volta furono condannati Vincenzo Puccio, Armando Bonanno, Giuseppe Madonia. E la sezione di Carnevale dichiarò la nullità del giudizio davvero per un cavillo: perché i difensori dei tre imputati non avevano ricevuto l’avviso del giorno fissato per l’estrazione dei giudici popolari. Il fatto è, spiegano i magistrati, che «secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione fino a quel momento dominante, quella omissione costituiva una semplice irregolarità e non determinava affatto la nullità del processo».
Queste informazioni, dice Gaspare Mutolo, gli venivano da Giuseppe Bono, Salvatore Montalto, Giacomo Giuseppe Gambi- no, Giuseppe Leggio, Leoluca Bagarella. Quest’ultimo gli disse, nel carcere di Spoleto, che l’ordinanza di rinvio a giudizio del giudice Falcone per il maxiprocesso «sarebbe stata annullata per vizi di forma, per cui il processo sarebbe tornato in istruzione con l’effetto anche di demolire la figura professionale di Falcone». Invece, le cose non andarono così. «A partire dalla seconda metà del 1991 erano accaduti dei fatti assolutamente imprevisti. A causa del decreto Martelli i mafiosi agli arresti domiciliari erano tornati in carcere. E proprio allora Cambino disse a Mutolo che tutto sarebbe andato male, al contrario di quello che si sapeva fino a poco prima».
Secondo Gambino, Carnevale, «che costituiva per Cosa Nostra la massima garanzia, era stato costretto a rinunciare a presiedere la Corte, soprattutto a causa delle pressioni di Falcone che con l’appoggio di Martelli voleva salvare il suo processo». E difatti il processo è «una mazzata», come commentano i mafiosi.
Falcone e Martelli hanno vinto. E pensare che fino a poco prima, molti uomini di Cosa Nostra se ne stavano tranquilli, perché, racconta Messina, «se le cose fossero andate male, sarebbe intervenuta la Cassazione ad annullare tutto». Pierangelo Sapegno «Riuscì anche a far assolvere i killer del capitano Basile» ‘ Il pentito Leonardo Messina che accusa Corrado Carnevale II luogo dove venne assassinato dalla mafia il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. LA STAMPA

3.2.1993 Carnevale Martelli: il Csm lo sospenda

 
Ritengo che l’obiettiva gravità dei fatti contestati al dottor Carnevale, che acquista tanto maggior rilievo in ragione delle alte funzioni ad esso confidate, non gli consenta di continuare ad esercitare le funzioni giurisdizionali nelle condizioni richieste dal prestigio dell’ordine giudiziario.
Chiedo, pertanto, che il dottor Carnevale sia sospeso dalle funzioni e dallo stipendio». Firmato: il ministro Claudio Martelli. Per il Guardasigilli, adesso, il caso del «giudice ammazzasentenze» Corrado Carnevale, è chiuso. La parola passa alla sezione disciplinare del Csm, che dovrà valutare la richiesta del ministro. L’alto magistrato, che da qualche mese non è più presidente della prima sezione penale della Cassazione, è stato rinviato a giudizio per lo scandalo della Flotta Lauro, e per il ministro Martelli non può più esercitare nemmeno le funzioni attuali, quelle di presidente della seconda sezione civile della corte suprema. LA STAMPA 
 

22.6.1989 Tutti contro Carnevale

Anche alcuni membri del Csm chiedono un procedimento disciplinare. Al presidente di Cassazione non si rimproverano i processi antimafia annullati, ma le accuse ai giudici •
Avrebbe detto: «Sono impreparati e lavorano poco» – Duro documento dei consiglieri «verdi», critiche dall’Associazione magistrati.
Per Corrado Carnevale, presidente della prima sezione penale della Cassazione, definito da numerosi avversari il giudice -ammazza-sentenze». si prospettano tempi duri Più che le decine di ergastoli annullati a imputati In odore di mafia o le polemiche derivate dalla sue clamorose ma formalmente irreprensibili decisioni, contro l’alto magistrato sembra si vadano ritorcendo alcune dichiarazioni da lui rilasciate in tempi recenti.
Carnevale non perde occasione per sparare a zero contro colleghi tacciandoli di incapacità professionale, di scarsa applicazione sul lavoro, di Incultura.
E ora sia il sindacato del giudici, sia il coordinamento antimafia di Palermo, sia il pel chiedono spiegazioni del suo operato. Cosi come diversi consiglieri del CSM che hanno chiesto al vicepresidente Cesare Mirabelli di mettere al primo punto dell’ordine del giorno del prossimo plenum la discussione sul caso Carnevale. Contro l’alto magistrato, insomma, si è costituito un fronte vasto che attraversa trasversalmente le forze politiche oltre alle varie correnti in cui è divisa la magistratura. Ma che cosa ha fatto, o piuttosto ha detto, il giudice aramazza-sentenze? Parlando ad Agrigentoil 21 maggio scorso Carnevale avrebbe affermato, secondo le cronache riportate dai giornali, che i magistrati italiani si rifiutano di leggere la Costituzione. E pertanto non sanno che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. A loro non piace lavorare-.
L’affermazione, avrebbe ancora precisato, trova poche eccezioni come ad esempio i giudici della pima sezione penale della Cassazione che io presiedo.
Noi non abbiamo lavoro arretrato.Oltre che scansafatiche, i giudici, secondo Carnevale, sarebbero anche impreparati e motiverebbero le sentenze con argomenti che non stanno su nemmeno con le stampelle. -Affermazioni inaccettabili per la loro genericità ed Idonee —secondo I consiglieri «verdi» di palazzo del Marescialli — a diffondere allarme e sfiducia ingiustificati nell’opinione pubblica-. Un’accusa grave che potrebbe portare anche al procedimento disciplinare contro l’alto magistrato. Ma questo è solo l’ultimo atto di un’azione anti-Carnevale che prende le mosse proprio all’indomani delle dichiarazioni contestategli A muoversi per primi sono stati 11 consigliere di Unità per la Costituzione» (la corrente di centro-sinistra). Nino Abbate, e i rappresentanti di «Magistratura indipendente» (centrodestra) .
Un esposto al Csm Ai presentato anche dal coordinamento antimafia di Palermo mentre alcuni parlamentari comunisti presentavano un’interrogazione al ministro Vassalli Ieri al coro delle proteste si univa anche la giunta esecutiva dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato del giudici che stigmatizzava in una nota il comportamento del presidente di Cassazione.
Sempre ieri durante il plenum del Csm, in cui si discuteva del caso del procuratore di Napoli Sant’Elia, coinvolto nell’inefficienza degli uffici giudiziari partenopei il comunista Brutti, membro laico del Csm, chiedeva ufficialmente al vicepresidente Mira belli di dare carattere d’urgenza alla discussione su Carnevale. La questione è già affidata alla prima commissione che dovrà verificare se il presidente di Cassazione ha perduto con le sue dichiarazioni la credibilità indispensabile per continuare nelle sue funzioni e se vi sono quindi gli estremi per un suo trasferimento d’ufficio. Ma i consiglieri verdi» del Movimento per la giustizia» in seno al Csm hanno gli suggerito al ministro Vassalli in un durissimo comunicato se non è 11 caso che contro Carnevale si apra anche un procedimento disciplinare. Ancora più esplicito Franco Ippolito, segretario di -Magistratura democratica», la corrente più a sinistra in seno all’Anni. -Le dichiarazioni di Carnevale — dice — si commentano da sole. Quando ci si colloca su un pulpito troppo alto, prima o poi si rischia il tonfo-. Ruggero Conti LA STAMPA
 

26.1.2021 Carnevale, il giudice “ammazzasentenze” che rispettava il diritto

 

Carnevale è stato accusato di aver influenzato il suo collegio per favorire la mafia, assolto dopo 10 anni definitivamente perché “il fatto non sussiste”

 

Le dichiarazioni del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri sui giudici che “scarcerano nelle fasi successive” ha fatto ritornare alla mente il clima che si respirava negli anni 80, quando salì agli onori delle cronache il giudice della corte di Cassazione Corrado Carnevale. Ispirando la sua azione a uno dei capisaldi dello Stato di diritto, la presunzione d’innocenza, ben riassunta nella massima: meglio un colpevole fuori, che un innocente dentro, Corrado Carnevale, ora 90enne, non è mai stato simpatico a molti dei sui ex colleghi. Senza peli sulla lingua criticò anche il pool antimafia dove c’era Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, perché li definiva “sceriffi”.
Una cosa è certa. Non traspare da nessuna parte che Falcone e Borsellino ritenessero “colluso” con la mafia Corrado Carnevale. Non fecero mai nessuna insinuazione di questo tenore. Ma, nello stesso tempo, non nascosero che, a causa della sua proverbiale estrema puntigliosità, lo ritenevano un problema per l’esito del maxiprocesso costruito sul cosiddetto teorema Buscetta.
Viceversa, non c’è da stupirsi se i mafiosi riposero le speranze in Carnevale. Oramai è storia che grazie a una idea di Falcone, l’ex ministro della giustizia Martelli attuò la rotazione del collegio giudicante, impedendo nei fatti al giudice Carnevale di presiedere la prima sezione della corte di Cassazione. Fu in quel momento che Falcone, agli occhi di Totò Riina, divenne un nemico da annientare. Corrado Carnevale non ha mai aderito ad alcuna corrente Corrado Carnevale è una persona che non ha mai aderito ad alcuna corrente della magistratura, e ciò è sconveniente per chi è desideroso di fare carriera. Fino al 1985, la carriera di Carnevale conosce un crescendo impressionante: in pochi anni brucia tutte le tappe e i record della magistratura. Dal 1986 in poi, a seguito della sentenza emessa dalla I sezione penale del Cassazione da lui presieduta nel cosiddetto processo Chinnici (rinviò alla Corte la sentenza per una nuova valutazione), inizia l’attacco e l’isolamento ai suoi danni.
Sui giornali nasce il mito del giudice “ammazzasentenze”. Il primo avviso di garanzia lo riceve dall’allora capo della procura di Palermo Gian Carlo Caselli e dall’allora procuratore Antonio Ingroia, il 23 aprile 1993.
L’inchiesta dura dieci anni, fino all’assoluzione del 30 ottobre 2002. Ma per capire bene di che cosa stiamo parlando, dobbiamo analizzare le sentenze.
Le uniche che cancellano anni e anni di maldicenze e accuse, riportando il tutto alla giusta dimensione dei fatti. E c’è voluta sempre la Cassazione a sentenziare che Corrado Carnevale non influenzò i giudici del suo collegio per favorire la mafia.
Dopo dieci anni la sentenza definitiva di assoluzione La Corte suprema ha scritto nero su bianco che la decisione del giudice di secondo grado è «assolutamente carente nella individuazione di elementi che possano ritenersi davvero idonei a dimostrare che le deliberazioni della I. Cassazione, oggetto di contestazione, non furono espressione della volontà collegiale formatasi liberamente attraverso l’apporto di volontà individuali determinatesi autonomamente, indipendentemente da influenze e condizionamenti altrui, bensì il risultato del comportamento dell’imputato, illecito in quanto volto a favorire l’associazione criminale Cosa Nostra». Per questo la sentenza di condanna viene annullata dalla Cassazione. Un annullamento senza rinvio, poiché le lacune non possono essere colmate in un eventuale giudizio di rinvio.
«Tanto si ricava – si legge nelle motivazioni della sentenza di Cassazione – dalla completa e minuziosa disamina degli atti compiuta in sede di merito, in cui si è indagato su ogni circostanza che a tal fine sembra rilevante. Indagine che tuttavia ha proposto o elementi inutilizzabili, o elementi già disattesi, o elementi non dotati di alcuna, rilevante significazione». In sostanza la sentenza viene annullata senza rinvio perché il fatto ascritto a Carnevale non sussiste. Magistrati, stampa e indignazione popolare. 
Fine di un incubo, ma le stimmate rimangono, perché – come disse Carnevale stesso in una intervista apparsa tre anni fa nel numero di marzo della rivista della Camera penale di Roma “CentoUndici”, firmata da Valerio Spigarelli e Giuliano Dominici,- «facevo il lavoro dell’anatomopatologo, quello che fa l’analisi sul cadavere». Interessante sempre la sua testimonianza che fa comprendere il clima nel quale operavano i magistrati, il ruolo della stampa che cavalcava certi processi e l’inevitabile indignazione popolare. Corrado Carnevale racconta della lettura del ricorso contro l’ordine di cattura nei confronti di un famoso personaggio dell’epoca per omicidio. La lesse parola per parola davanti al collegio e alla fine il più anziano disse: «È acqua fresca». Allora Carnevale rispose: «Annulliamo!». I suoi colleghi però controbatterono: «E che vogliamo andare un’altra volta a finire sui giornali?». Un aneddoto che fa capire come la pressione politica e mediatica cercava di influenzare l’esito dei processi. L’ex giudice Carnevale se n’è infischiava, pagandone pure le conseguenze. Altri un po’ meno. E oggi, invece? I giudici hanno la forza di decidere sui grandi processi senza farsi influenzare dai mass media con tanto di pressione politica? La storia insegna che ci sono, esistono tuttora. Anche a rischio di finire potenzialmente alla gogna e ricevere insinuazioni di collusione dai propri colleghi. Nel nostro Paese i giudici vanno bene se condannano, ma non se assolvono. 26 gennaio, 2021 • IL DUBBIO


23.5.2022 Strage di Capaci, memorie e veleni: “Falcone esaltato oltre i suoi meriti”

Parla Corrado Carnevale, ex presidente della prima sezione penale della Cassazione definito “ammazza sentenze”. Processato per concorso esterno in associazione mafiosa e assolto con formula piena, dice: “Rifarei tutto”. Maria Falcone: “Le sue parole sono una medaglia per noi…”

“Giovanni Falcone era considerato il magistrato antimafia per eccellenza. Non credo che fosse l’unico. Né l’unico né il più importante”. Così all’AdnKronos, nel giorno del trentesimo anniversario della strage di Capaci, l’ex presidente della prima sezione penale della Cassazione Corrado Carnevale. Carnevale è la toga che per anni ha avuto la fama di “ammazza sentenze”, per avere ribaltato diverse sentenze di condanna ed è anche stato processato per concorso esterno in associazione mafiosa, venendo assolto con formula piena. “Falcone – sottolinea l’ex giudice Carnevale – inizialmente è stato amato, poi quando si accorsero che forse il suo entusiasmo, la sua campagna ideologica non erano tutte disinteressate ma ispirate dal desiderio di fare carriera, allora nell’ambiente cominciò a decadere nella considerazione almeno di una parte dell’opinione pubblica. Era inevitabile che questa sua campagna ideologica gli portasse dei nemici, anche se non credo che Falcone avesse tutti questi nemici di cui si parla.
Aveva i suoi esaltatori e i suoi critici, come accade per qualunque persona. Ma quello che vorrei dire è che Falcone è stato esaltato al di là dei suoi meriti effettivi”.
Secondo i detrattori di Carnevale, il boss Totò Riina era convinto che le condanne emesse al “Maxiprocesso” sarebbero state ribaltate proprio dal giudice Carnevale in Cassazione. In realtà non fu Carnevale a giudicare in quell’occasione, perché venne decisa una rotazione nell’assegnazione dei processi di mafia facendo in modo che non finissero sempre alla prima sezione presieduta da Carnevale.
“Io ho sempre cercato di avere una stella polare – insiste Corrado Carnevale parlando con l’AdnKronos -, quella di applicare la legge, che non può non essere applicata a tutti i cittadini, quindi anche Falcone aveva gli stessi diritti che avevano gli altri cittadini. Se in un ordinamento democratico non esiste l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, veramente c’è da restare trasecolati. E io ho sempre sostenuto questo, che ogni cittadino, anche il peggiore dei mafiosi, davanti al giudice ha gli stessi diritti e gli stessi doveri di ogni altro”. E nelle parole del giudice Carnevale non c’è alcun barlume di ripensamento: “Rifarei senz’altro tutto quello che ho fatto da presidente di sezione di Cassazione – chiosa -, non sono un ‘pentito'”.
A Carnevale replica, a distanza, Maria Falcone, la sorella del giudice. “In una giornata in cui da tutto il mondo sono stati tributati a Giovanni riconoscenza e affetto, parole simili pronunciate da una persona del genere per noi equivalgono a una medaglia”, dice. “L’ex giudice Carnevale – aggiunge Maria Falcone – non ha ancora imparato a tacere. Ricordiamo tutti le sue sgradevoli e ingiuriose parole nei confronti di Giovanni intercettate dagli inquirenti. Ricordiamo quando lo definiva ‘un cretino’. Ma al di là degli insulti di un uomo che passerà alla storia solo come ‘ammazza sentenze’, resta il fatto che grazie al lavoro di mio fratello sono finiti in carcere con condanne definitive centinaia di mafiosi come mai prima. Lui può vantare solo assoluzioni e scarcerazioni”. TODAY


23.5.2022 Giovanni Falcone e quel monitoraggio su “l’ammazzasentenze” che garantì il successo del maxiprocesso

 

Capaci, 23 maggio 1992. Trent’anni fa. Cosa nostra, a quei tempi la mafia più temibile e feroce, polverizza con una carica esplosiva potentissima un lungo tratto di autostrada mentre vi transitavano le auto di Giovanni Falcone e della scorta. In questo «attentatuni» (così nel gergo dei criminali) oltre a Falcone e alla moglie, Francesca Morvillo, vengono uccisi i poliziotti Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Falcone, oggi da tutti giustamente celebrato come un eroe, in realtà diventa tale soltanto dopo morto. In vita era stato aggredito pesantemente con infami campagne di delegittimazione/diffamazione che erano riuscite a distruggere il suo metodo di lavoro antimafia – vincente – e a dissolvere il pool di magistrati palermitani che lo applicava. Umiliazione dopo umiliazione (un percorso iniziato quando il pool cominciò a occuparsi non solo di «malacarne», ma anche di imputati eccellenti come Ciancimino padre, i cugini Salvo e i Cavalieri del lavoro di Catania, oltre che del golpe Borghese), Falcone fu costretto a lasciare Palermo per riparare a Roma, presso il ministero di Grazia e giustizia (1991).
Eppure, per le persone oneste era stato il campione indiscusso dell’antimafia in quanto motore principale del maxiprocesso. Un capolavoro investigativo giudiziario, una svolta di portata rivoluzionaria nella storia giudiziaria e non solo del nostro Paese. Maxi, il processo, non perché, come è stato malignamente detto, Falcone, Borsellino e gli altri del pool volessero finire sotto i riflettori. Maxi perché maxi era stata l’impunità di cui Cosa nostra aveva goduto per decenni e decenni, posto che secondo ogni sorta di notabili, persino procuratori generali, la mafia neppure esisteva. Il maxiprocesso segna la fine del mito della invulnerabilità di Cosa nostra. Si dimostra, nel rispetto delle regole, che Falcone aveva ragione quando diceva che la mafia è una vicenda umana come tutte le altre, e come ogni altra ha un inizio, uno sviluppo e può avere anche una fine. 

Al ministero, Falcone, tenace e coraggioso come altri mai, non si dimise certo dall’antimafia ma continuò ad occuparsene. Tra l’altro con un intervento non molto conosciuto ma decisivo per l’esito finale del maxi, vale a dire un monitoraggio (rientrava tra le sue competenze) sulle pronunce della prima sezione della Cassazione penale, alla quale venivano assegnati in pratica tutti i processi di mafia di una certa importanza. Preoccupava la nomea di «ammazzasentenze» che aleggiava sul presidente della sezione, Corrado Carnevale. I risultati del monitoraggio evidenziarono una serie di decisioni – talora motivate con minuscoli e discutibilissimi vizi di forma – che potevano corrispondere a tale nomea. Emerse inoltre che Carnevale aveva creato, all’interno della sua sezione, un gruppo di consiglieri “fedeli”, accomunati dall’adesione a un orientamento giurisprudenziale radicale, sedicente quanto astrattamente garantista, assumendo quindi una posizione egemonica che gli consentiva di determinare l’esito delle decisioni. Altre anomalie furono rilevate con riferimento alla costante ricorrenza, in un ingente numero di processi, di un ristrettissimo numero di legali.
Sta di fatto che, quando il maxiprocesso approdò in Cassazione, il primo presidente Antonio Brancaccio introdusse la novità di un sistema di rotazione, assegnando così il maxi non a Carnevale ma ad Arnaldo Valente. Nomen omen? Una coincidenza? Sia come sia, alla rotazione fece seguito una sentenza (30 gennaio 1992) che confermò l’impianto accusatorio e quindi le pesanti condanne comminate nel maxi. Era la prima volta che venivano condannati in Cassazione, in via definitiva ed irreversibile, mafiosi di ogni ordine e grado.
Una vera disfatta per il vertice di Cosa nostra, che si era speso nel garantire l’annullamento delle condanne. Un traumatico “passaggio di fase” rispetto all’ormai consolidato rapporto di scambio tra Cosa nostra ed esponenti del mondo politico. Una grave perdita di faccia e di credibilità, con la prospettiva che la stagione dei «processi aggiustati» e dell’impunità fosse finita.
Cosa nostra reagì con una feroce rappresaglia, contro gli amici che l’avevano tradita e contro i suoi irriducibili nemici, i «responsabili» del maxiprocesso, colpiti con la strage di Capaci e neanche due mesi dopo con quella di via d’Amelio, dove furono massacrati Paolo Borsellino e gli agenti che erano con lui. Le due stragi, per il nostro Paese, sono state come l’abbattimento delle Twin Towers in Usa (Andrea Camilleri).
Quanto a Corrado Carnevale, la procura di Palermo (che ho diretto dopo le stragi del ’92 avendo chiesto al Csm di esservi trasferito da Torino) ha avviato un’indagine contestando il reato di concorso esterno in associazione mafiosa fino al 1992. Il processo (come spesso accade quando si tratta di imputati eccellenti) ha un iter altalenante: assoluzione in primo grado, condanna in appello a sei anni di reclusione. Per condannare, la Corte di appello considera fondamentali, tra l’altro, le testimonianze di tre magistrati della sezione di Carnevale, ravvisandovi «formidabili elementi di riscontro individualizzante a carico dell’imputato». Ma la Cassazione decide che tali testimonianze non sono processualmente utilizzabili, per cui annulla la condanna e rimanda tutto alla Corte d’appello, creando le premesse per una inevitabile assoluzione. Poco importa che una successiva sentenza della Cassazione abbia completamente ribaltato le cose stabilendo che «l’obbligo di denunzia che grava sul pubblico ufficiale (compresi i componenti di un collegio giudicante) fa venir meno il vincolo del segreto». Poco importa perché intanto, per Carnevale, i giochi erano irreversibilmente fatti. Parentesi: nel fascicolo/schedatura previsto nella riforma Cartabia, a chi spetterebbero – nella vicenda ora riassunta – i punti a favore e a chi invece quelli di demerito?  L’ESPRESSO


E Sua Eccellenza Corrado Carnevale fa liberare più di quaranta boss

 

La Cassazione è l’ultima spiaggia per la mafia di Palermo.

Dopo le pesanti condanne in primo grado e l’«aggiustatina» che il maxi processo ha subito in Appello, tutte le attese degli uomini d’onore si sono concentrate sulla Suprema Corte e nella persona di Carnevale, il presidente della prima sezione penale. Già a inizio del 1991, Carnevale ha rimesso in libertà Michele Greco e 42 boss per decorrenza dei termini di carcerazione. Giovanni Falcone studia una contromossa e il ministro Martelli ordina di riportarli all’Ucciardone dopo appena cinque giorni.
«Il mandato di cattura del governo», commentano i mafiosi con rabbia.
Lo sanno tutti che dietro Martelli c’è Falcone.
Corrado Carnevale disprezza il giudice di Palermo e non ne fa mistero.
Dice: «La Costituzione vuole il magistrato in toga e non in divisa».
Lo sbeffeggia: «C’è chi si è messo in testa di fare l’angelo vendicatore dei mali che affliggono la società». Aspetta pazientemente il maxi processo in Cassazione per farlo a pezzi.
Ma, al ministero, da qualche mese, è partito un monitoraggio sui provvedimenti della prima sezione penale della Suprema Corte. Ne scelgono 12.500. Falcone e i suoi collaboratori li esaminano tutti, uno per uno. Si accorgono che i magistrati di quella sezione giudicano ogni singolo indizio autonomamente senza incrociarlo con gli altri. Una «tecnica valutativa» stravagante e sospetta, che finirebbe per demolire il maxi processo.
Quante sentenze ha invalidato il presidente Carnevale fino a quel momento? Quasi 500.
Ha assolto Licio Gelli dall’accusa di sovversione e banda armata, ha annullato la condanna a Michele Greco per l’omicidio
Chinnici e il processo per la strage dell’Italicus, ha cancellato i provvedimenti di arresto del prete mafioso calabrese don Stilo e del camorrista Giuseppe Misso, ha ordinato un nuovo processo per la strage del rapido 904 Napoli-Milano, ha azzerato 19 ergastoli a Mommo Piromalli e agli affiliati della sua cosca, ha respinto il ricorso di Enzo Tortora che vuole il suo processo lontano da Napoli e al contrario ha trasferito quello sui «fondi neri» dell’Iri da Milano a Roma.
Gli chiedono: «Ma quante sentenze ha ammazzato, presidente?» Risponde: «Per ammazzare qualcosa, bisogna che questo qualcosa sia vivo». Corrado Carnevale si muove nell’ombra per ottenere il maxi processo. Ma non ci riesce, ci va un altro magistrato a presiederlo.
Nelle carceri i boss si sentono perduti. Dal libro “Uomini Soli” di Attilio Bolzoni