ARCHIVIO 🟧 23 gennaio 1999 Annullati due ergastoli ma per i PM non è una sconfitta e Scarantino è credibile

 

23 gennaio 1999 SENTENZA processo d’appello “Borsellino Uno”

Due colpevoli in meno per Borsellino Cancellati in appello gli ergastoli di Scotto e Orofino Venute meno le certezze dell’accusa, nel processo d’appello alle assise di Caltanissetta per la strage di via D’Amelio a Palermo, due dei quattro imputati sono sfuggiti all’ergastolo, inflitto loro il 28 gennaio di tre anni fa in primo grado.

 

Le reazioni
 
  • GIOVANNI TINEBRA, capo della procura di Caltanissetta, questa sentenza della corte d’assise d’appello non rappresenta un sconfitta per la procura. Le dichiarazioni di Scarantino non hanno nulla a che vedere con le posizioni processuali di Scotto e Orofino».
    Da parte nostra non c’è stato nessun errore
 
  • LUCA TESCAROLI  PM – A Scarantino noi crediamo ancora”
 
  • ANNAMARIA PALMA PM «molto sorpresa del verdetto, che non condivido. Ma non finisce qui.”
 

«Fiducia in Scarantino»

«La sentenza sembra mettere in discussione la sua attendibilità Le sue accuse hanno però sempre avuto riscontri»

Il PM per noi è un pentito valido.

Luca Tescaroli, la sentenza della corte d’assise d’appello di Caltanissetta ha scardinato l’impianto accusatorio che si basava, in gran parte, sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. Si tratta di una sconfitta per la vostra Procura e per le inchieste antimafia? «Esprimendo una valutazione a caldo sulla sentenza si ha la sensazione che l’attendibilità di Scarantino sia stata in effetti messa in discussione ma bisogna attendere le motivazioni della corte d’appello, per valutare con maggiore serenità il verdetto.
Le dirò tuttavia una cosa: per il nostro ufficio le dichiarazioni del pentito, nei casi in cui saranno riscontrate, continueranno ad essere utilizzate».
Lei insomma conferma che per voi Scarantino è ancora un collaboratore di giustizia attendibile? «Le risponderò con un esempio del recente passato: anche Giovanni Brusca prima di iniziare la sua “vera collaborazione” con la giustizia ha cercato di portare avanti un suo piano di destabilizzazione, cercando di far cadere in trappola i magistrati di Palermo.
Adesso, però, le sue dichiarazioni, nelle parti in cui vengono riscontrate, sono utilizzate dalle varie procure e le sue accuse rappresentano in molti casi i pilastri di numerose inchieste giudiziarie.
Brusca, dunque, non è stato scartato solo perché aveva cercato di depistare i magistrati, anzi è stato portato avanti, anche da noi, proseguendo un lavoro di indagini che si è basato su una linea d’azione imposta dal nostro ufficio».
Ma Brusca non ha mai detto di essere stato indotto dagli investigatori a mentire come invece ha raccontato Scarantino durante una deposizione nell’aula bunker di Como. Che cosa replica? «Pensiamo che Scarantino sia stato indotto a fare quelle dichiarazioni. Siamo convinti che qualcuno lo abbia costretto a ritrattare, a fare marcia indietro.
Nel corso delle indagini abbiamo sempre riscontrato le accuse di questo collaboratore di giustizia, tanto che in primo grado è stato dichiarato attendibile dai giudici della corte d’assise che ha inflitto gli ergastoli».
Adesso però i giudici d’appello hanno ribaltato l’impianto accusatorio. Che cosa ne pensa? «Tutto ciò non fa venire meno le dichiarazioni rese da Vincenzo Scarantino.
Il procuratore generale adesso ha ritenuto opportuno avanzare richieste di condanna e di assoluzioni e i giudici d’appello le hanno accolte.
Noi pm non possiamo faro altro che accettare la decisione della corte». Voi avete utilizzato parecchie dichiarazioni di Scarantino nelle vostre inchieste, cosa che invece non ha fatto la procura di Palermo.

Dopo questo verdetto avete dubbi sulla validità di queste deposizioni? «A Scarantino noi crediamo ancora. Come per tutti gli altri collaboratori di giustizia, ogni dichiarazione deve essere minuziosamente verificata prima di approdare in dibattimento. Attenendoci a queste regole, continueremo ad utilizzarlo senza ombra di dubbio nelle varie inchieste di cui si occupa la procura di Caltanissetta».
In questo processo, forse, era il caso di approfondire meglio le accuse mosse da Scarantino ad alcuni degli imputati della strage di via d’Amelio? «Ribadisco che è stato fatto tutto quello che era necessario». Lirio Abbate LA STAMPA


«Non è una sconfitta»

 

«TINEBRA: un lavoro senza errori non abbiamo commesso errori, questa sentenza per noi non è una sconfitta». Giovanni Tinebra, procuratore capo di Caltanissetta, usa poche parole per commentare la sentenza d’appello per la strage di via d’Amelio.
Ma l’atmosfera è surriscaldata a palazzo di giustizia anche se la sentenza non si è abbattuta sulla procura come un fulmine a ciel sereno.
E’ dell’ottobre scorso, infatti, la clamorosa ritrattazione di Vincenzo Scarantino, pentito cardine dell’inchiesta, che, presentandosi nell’aula bunker di Como, come se nulla fosse, ha esordito dicendo che aveva raccontato in questi anni a magistrati «un mucchio di bugie». Si capì subito la portata di quelle dichiarazioni che scardinavano non solo l’impianto accusatorio nel processo contro gli assassini del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della scorta, ma metteva a serio rischio tutta la condotta investigativa adottata nelle più importanti inchieste antimafia.
Inchieste che, per quanto riguarda le stragi del ’92, furono affidate ad un gruppo prescelto di poliziotti agli ordini dell’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, attuale questore di Napoli, e coordinate dal sostituto procuratore Ilda Boccassini. Giovanni Tinebra, capo della procura di Caltanissetta, è parco di dichiarazioni, ma una cosa la dice con chiarezza:
«Le dirò soltanto che questa sentenza della corte d’assise d’appello non rappresenta un sconfitta per la procura. Le dichiarazioni di Scarantino non hanno nulla a che vedere con le posizioni processuali di Scotto e Orofino».
C’è un’immagine del processo di primo grado che rimarrà scolpita a lungo nella mente degli italiani: Orofino che sbatte violentemente il capo contro il vetro blindato della gabbia in aula al momento della lettura del verdetto di primo grado che lo condannava all’ergastolo.
Procuratore, non crede che bisogna dare delle risposte? «Le ripeto soltanto che da parte nostra non c’è stato nessun errore».
Giovanni Tinebra non ha voluto commentare le dichiarazioni degli avvocati Pino Scozzola e Vittorio Mammana, difensori di Pietro Scotto e Giuseppe Orofino. «Incomprensibile l’assenza dello Stato nella gestione di questo processo hanno detto i due legali -. Soprattutto, perché non è stata mai disposta alcuna ispezione alla procura per appurare come Scarantino abbia potuto avere la copia degli interrogatori, quasi tutti annotati, mentre la difesa ancor oggi ha copie parziali degli stessi».  
Ma i legali dei due imputati scarcerati: incomprensibile che non sia stata disposta alcuna ispezione
 

Caltanissetta, la stessa accusa aveva chiesto il proscioglimento. Decisiva la ritrattazione di Scarantino
 
 
Due colpevoli in meno per Borsellino Cancellati in appello gli ergastoli di Scotto e Orofino Venute meno le certezze dell’accusa, nel processo d’appello alle assise di Caltanissetta per la strage di via D’Amelio a Palermo, due dei quattro imputati sono sfuggiti all’ergastolo, inflitto loro il 28 gennaio di tre anni fa in primo grado.
Sono il tecnico di telefonia Pietro Scotto e Giuseppe Orofino, titolare dell’autofficina in cui la mafia riempì di tritolo la «500» fatta esplodere nel primo pomeriggio del 19 luglio 1992 in via D’Amelio. Un’esplosione tremenda, segnale di morte in più di mezza città, dove fu udita dalla gente terrorizzata. Il procuratore Paolo Borsellino e cinque dei poliziotti che lo scortavano non ebbero scampo.
Brandelli umani furono recuperati nel raggio di mezzo chilometro.
Dopo Falcone, eliminato il 23 maggio precedente nella strage di Capaci, i boss toglievano di mezzo il suo «gemello», che più di ogni altro assieme a lui aveva esplorato i meandri di Cosa nostra.
Un giorno e mezzo di camera di consiglio, in una sorvegliatissima ala di un albergo, sono bastati alla corte d’assise di appello presieduta da Giovanni Marletta a emettere il verdetto di assoluzione per Orofino e Scotto, come aveva chiesto lo stesso pg Roberto Saieva, riconferma della massima pena per Salvatore Profeta, boss della borgata Santa Maria di Gesù, nonché dei diciotto anni di reclusione comminati in primo grado a suo cognato Vincenzo Scarantino, 31 anni, un pentito campione nel girare e rigirare il bandolo della ma¬ tassa, capace di proporre una verità assolutamente diversa dall’altra, sconfessato dai parenti, spaventati all’idea di finire, per colpa sua, vittime sacrificali di vendette trasversali.
Proprio le ultime ritrattazioni di Scarantino (piccolo trafficante di droga, tacciato di omosessualità, tre figli avuti da una bella moglie che da tempo ha preso le distanze da lui) hanno convinto i giudici ad assolvere Scotto e Orofino, di cui già la pubblica accusa aveva chiesto il proscioglimento.
Con la prima sentenza, emessa dopo 118 udienze, Scotto ebbe l’ergastolo per avere manomesso la rete telefonica in via D’Amelio, consentendo così ai mafiosi di intercettare la telefonate con cui la domenica della strage Borsellino avvertì l’anziana madre e la sorella che nel primo pomeriggio sarebbe andato a trovarle nel loro alloggio in via D’Amelio.
Quanto a Orofino, avrebbe messo a disposizione la sua officina per trasformare una «500» rubata in un ordigno letale.
Tutte donne le componenti della giuria popolare e deserta l’aula in cui il presidente Marletta ha letto il dispositivo della sentenza.
Gli imputati erano collegati in videoconferenza. Tre soltanto. Già, perché Scarantino, non avendo fatto ricorso in appello, non è stato processato e come «pentito» non sta scontando la condanna.
E le sue ritrattazioni? Ha sostenuto che le accuse gli erano state attribuite da magistrati e, poliziotti. Dopo la sentenza, soddisfatti i difensori. L’avvocato Vittorio Mammana (per Orofino) ha detto che «le bugie accertate dei pentiti (oltre a Scarantino, Giuseppe Andriotta, ndr), non consentivano una sentenza di ergastolo».
Annamaria Palma, pubblico nunistero nel primo processo, si è detta invece «molto sorpresa del verdetto, che non condivido». Ma non finisce qui.
Per la strage sono in corso altri due processi frutto di stralci delle indagini rese possibili da successive dichiarazioni di alcuni pentiti. Martedì 1° febbraio, la corte di assise di Caltanissetta entrerà in camera di consiglio per il «via D’Amelio-bis» ( 18 imputati, fra i quali Totò Riina e Pietro Aglieri, cioè il vertice di Cosa nostra) con l’accusa che ha chiesto 12 ergastoli. Nel via D’Amelio-ter, pure in svolgimento, sono 26 gli imputati): fra loro, il capo della mafia di Trapani Mariano Agape, Bernardo Brusca e il figlio Giovanni, Nitto Santapaola già numero uno di Cosa Nostra a Catania. Proprio Giovanni Brusca ieri in aula ha parla di appalti, accordi con politici. «Riina volle fermamente che appoggiassi la “Reale”», ha detto il dichiarante.
In seguito si rese però conto che la società era «infiltrata dai carabinieri». «Secondo me – ha aggiunto c’è un collegamento tra appalti ed eccidio». Ma quando i pm hanno cercato di saperne di più, Brusca si è fermato: «Dietro la “Reale” vi sono stati interessi di Riina e Ciancimino. Di più non voglio dire». Antonio Ravidà Per la strage di via D’Amelio restano 2 condanne e 2 processi in corso Giovanni Brusca: c’è un collegamento tra l’eccidio e gli appalti

LE BRUSCHE FRENATE

Da quando esiste la mafia, e quindi la lotta alla mafia, assistiamo ad una estenuante altalena di accelerazioni e di brusche frenate. C’è un momento, quello dello sdegno immediatamente successivo al lutto, in cui si registra la punta più alta della reazione all’attacco mafioso.
Poi, via via, arriva la frenata che quasi sempre prende la connotazione di un fallimento processuale. Avvenne così all’indomani della strage di Ciaculli e deU’eccidio di via Lazio. Retate, arresti, interrogatori e processi. Condanne in primo grado, assoluzioni in appello. E i mafiosi tornavano liberi pieni di prestigio accresciuto per il «successo» conseguito.
La stessa cosa sembra stia per accadere una volta esaurita la spinta propulsiva dello sdegno per le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Non conosciamo le motivazioni della sentenza emessa ieri dalla corte d’appello di Caltanissetta. Quando saranno note si potrà entrare nel particolare di una decisione destinata a creare disorientamento, a prescindere dalla fondatezza o meno delle spiegazioni. Cosa può essere accaduto tra l’avvio dell’inchiesta, il giudizio di primo grado e la conclusione in appello?
Forse ciò che avviene sempre: quando si agisce dopo un avvenimento che ha turbato l’opinione pubblica, è più facile fare breccia tra le pieghe del codice.
La credibilità dei collaboratori e dei testi non deve resistere a grandi opposizioni.
In sostanza, l’emergenza gioca a favore della pubblica accusa. Poi, però, col passar del tempo e con l’immancabile normalizzazione dello stato della lotta alla mafia – come si dice – «la musica cambia». Giusto? Sbagliato? E’ sbagliato, certamente, giudicare sull’onda della emotività.
Ma sarebbe problematico se si ritenesse che i processi di mafia si possono affrontare come normali dibattimenti.
E qui una domanda va posta: avevano ragione i giudici di primo grado o questi dell’appello? Fu giudicato, allora, troppo benevolmente il pentito Vincenzo Scarantino, oppure oggi non si è tenuto conto delle pressioni che il collaboratore può aver ricevuto in tanti anni di «limbo»?
Probabilmente la verità sta in mezzo. Ma forse da questa vicenda si deve trarre un insegnamento: i magistrati, gli investigatori devono sfuggire alla tentazione di «adagiarsi» sulle «verità» dei collaboratori.
Gli strumenti, tecnici e normativi, in dotazione ai detective sono tanti e così raffinati da far sperare nell’acquisizione di prove attendibili. Francesco La Licata LA STAMPA
 

23 gennaio 1999 In una nota, l’avv. GIUSEPPE  SCOZZOLA definisce“incomprensibile l’assenza dello Stato nella gestione di questo processo” SEGUE

23 gennaio 1999  VIA D’AMELIO – Ricostruzione della Strage – Dalla Sentenza Appello “Borsellino Uno”  SEGUE


VINCENZO SCARANTINO