Angelo Corbo, racconta la sua vicenda umana e professionale, di agente di scorta di Giovanni Falcone e sopravvissuto alla strage di Capaci. Lo fa a distanza di tempo per riprendere quel filo della memoria che sbiadiva fino a perdersi e porre dinanzi a noi squarci improvvisi su alcuni aspetti ancora oscuri della strage di Capaci e della protezione di Giovanni Falcone.
Angelo è riuscito ad emergere dal suo nascondiglio, dallo spazio protetto del suo lavoro e dei legami forti della sua famiglia che lo hanno sostenuto in tutti questi anni.
Vi si era rifugiato pagando il caro prezzo degli incubi e delle paure e confidando nella smemoratezza degli uomini, anche e soprattutto di quelli delle Istituzioni che, prima, si erano scordati del suo trasferimento a Firenze e, poi, della sua stessa esistenza.
Leggere la sua testimonianza aiuta a decifrare il lavoro faticoso degli agenti di scorta, la necessità di una preparazione professionale sempre al passo con i tempi, proprio per garantire al meglio l’incolumità di chi è sottoposto quotidianamente al rischio per il semplice motivo di compiere il proprio dovere, e offre un contributo prezioso a fare chiarezza sulle modalità con cui le grandi scelte si riverberano sulle vicende quotidiane di chi opera in contesti mafiosi.
Scorrendo il testo, è molto forte l’impressione che l’esperienza di ogni giorno potrebbe essere molto utile per comprendere e contrastare meglio le organizzazioni criminali, mentre chi decide sembra muoversi secondo altre logiche, legate molto spesso, negli ultimi tempi, alle cosiddette economie, termine con cui si mascherano semplicemente dei tagli alle risorse per opporsi alla mafia.
Le sue parole restituiscono alcuni tratti della vicenda con una luce nuova.
Ne indichiamo solo due perché sono quelli più ricorrenti nel racconto: se vi era la convinzione che il pericolo per Giovanni Falcone fosse attenuato tanto da rinunciare alla scorta specifica per lui, dopo l’attentato di Capaci possiamo legittimamente chiederci su quali elementi era fondata tale convinzione, chi ne erano gli autori e come giudicarli?
Ancora: mentre si sottolinea quanto sia importante, oltre la preparazione e la professionalità degli uomini della scorta, il loro affiatamento, come si giustifica la composizione di quella del 23 maggio?
A questi interrogativi che ci suggerisce il racconto di Angelo e che mantengono intatta la loro forza e urgenza, perché non hanno avuto risposta plausibile a distanza di anni, si aggiunge, ad inquietarci, il ricordo del primo soccorritore.
Dopo essere arrivato sul luogo dell’attentato e aver scattato alcune foto gli è stato sottratto il rullino da due “agenti di Polizia”.
Dei due sorprende innanzitutto la celerità con cui sono giunti sul teatro dell’attentato, molto prima dell’intervento di Polizia e Carabinieri, e sorprende che la loro preoccupazione di entrare in possesso di un documento utile alle indagini non abbia avuto seguito con la consegna agli investigatori.
I modi bruschi per appropriarsene e la scomparsa del rullino accrescono ombre e ipotesi che gravano anche questo passaggio cruciale della nostra storia.
I mafiosi autori della strage e i complici fuggono dopo il terribile boato, come ci ricordano i pentiti, e quindi occorre cercare in altre direzioni per dare un volto ai due e tornano in mente le parole del pentito Gioacchino La Barbera, che vi erano uomini estranei alla mafia nei preparativi all’attentato. Qualcuno che era sul luogo e cercava qualcosa fra le rovine dell’esplosione e non gradiva essere ripreso!
il racconto di ANGELO CORBO, sopravvissuto alla strage di Capaci
Strage di Capaci – Riconosciuto lo status di Vittima del terrorismo
Venezia 23 giugno 2016
COMUNICATO STAMPA
Strage di Capaci, riconosciuto al Poliziotto sopravvissuto, Angelo Corbo, lo status di Vittima del terrorismo. Fervicredo: “Finalmente risolta una grave e incomprensibile ingiustizia. Ora equità anche per gli altri superstiti e le famiglie degli altri Agenti deceduti” Una strage di stampo mafioso con finalità terroristiche.
Ecco come viene definito nelle pronunce giudiziarie il tragico eccidio che a Capaci, il 23 maggio del 1992, spazzò via un tratto dell’autostrada siciliana A29 e con esso le vite dei Magistrati Giovanni Falcone e sua moglie Francesca Morvillo, e degli Agenti della Polizia di Stato Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo, Vito Schifani, sconvolgendo per sempre anche le vite dei superstiti scampati miracolosamente alla morte, l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, e gli altri Agenti di scorta Angelo Corbo, Paolo Capuzza e Gaspare Cervello.
Una strage che si inserì in un ampio progetto di vera e propria “guerra allo Stato”; una strage che nella sentenza del cosiddetto “Capaci-bis” (n°2006/2008 rgnr – n° 674/2014 r.g. gip stralcio 1220/2009) il Giudice ha ascritto “ad un disegno criminoso connotato anche da fini terroristici”, e che non a caso, dunque, ha portato ad attribuire ai morti lo status di Vittime di terrorismo sia pur a seguito di un’azione commessa dalla criminalità organizzata.
Sono state così “inquadrate” le Vittime che facevano capo al Ministero della Giustizia, e quindi i due magistrati e conseguentemente le loro famiglie, nonché l’autista giudiziario dei coniugi Falcone, ma gli altri no.
Non i Poliziotti sopravvissuti né i familiari di quelli deceduti.
Quelle che facevano capo al Ministero dell’Interno sono state “inquadrate” come Vittime della Criminalità, così ottenendo un trattamento notevolmente meno favorevole perché, come è noto, le Vittime di terrorismo godono di maggiori benefici.
“Una faccenda che definire incresciosa è davvero un eufemismo – si infuria Mirko Schio, Presidente dell’Associazione Fervicredo (Feriti e Vittime della criminalità e del Dovere) -.
Un’ingiustizia gravissima e inspiegabile che, da oggi, è stata risolta quantomeno nei confronti dell’amico Angelo Corbo, che proprio sulla base delle pronunce giudiziarie che hanno formalmente confermato la finalità terroristica, ha finalmente ottenuto dal Ministero dell’Interno il riconoscimento dello status di Vittima del terrorismo, con tutto quanto ne consegue”.
“E’ una notizia che ci procura moltissima soddisfazione – aggiunge Schio -, e che giustamente Angelo definisce una ‘vittoria morale’, perché davvero troppo ha dovuto ‘combattere’ per avere ciò che gli spettava di diritto e che, ripeto, del tutto inspiegabilmente è stato fin qui negato a lui ed ai colleghi che portavano e portano la divisa.
Per lui oggi si compie un cammino che è stato troppo lungo e troppo tortuoso verso un ristoro che comunque non potrà mai neppure avvicinarsi al risarcimento che lo Stato deve a questi uomini come anche a tutti gli altri che danno la vita o la salute per esso. E di questa sua fatica potranno adesso beneficiare anche gli altri sopravvissuti e le famiglie dei Poliziotti che a Capaci sono rimasti Vittime del Dovere, i quali, seguendo le orme di Angelo, potranno ottenere lo status più ‘favorevole’ se così di può dire parlando di certi argomenti…”. “E però – insiste Schio – non possiamo evitare di rilevare come ancora una volta dobbiamo gioire per la conquista di ciò che in realtà era assolutamente dovuto.
E’ sconcertante che all’interno del medesimo Stato esistano cittadini e Servitori di serie A e di serie B; che un Ministero garantisca un certo riconoscimento e un altro no; che le Istituzioni e le leggi di un Paese che si definisce civile ancora perpetuino una disparità di trattamento assurda fra Vittime della violenza altrui, che si chiami terrorismo o che si chiami criminalità ciò da cui essa promana.
Questa vicenda non fa che riportare prepotentemente alla ribalta, infatti, l’assoluta necessità che a monte venga spazzata via l’assurda disparità di trattamento fra Vittime del terrorismo e Vittime della criminalità e del Dovere che davvero non ha alcun motivo di esistere come insistiamo a sostenere nella nostra interminabile e infaticabile battaglia, ma rappresenta un’onta intollerabile per lo stesso onore dello Stato di fronte ai suoi Servitori in divisa”.
FervicredoAssociazione Onlus