16.1.1993 ARCHIVIO 🟧 MANFREDI BORSELLINO: «Ma per mio padre è troppo tardi»

 

 
L’amara soddisfazione di Manfredi Borsellino hanno accolto la notizia dell’arresto di Riina con un animo diverso da quello di tanti altri? Tutti coloro che, come in un lungo calvario, hanno dovuto seguire bare, piangere parenti ed amici, assistere a funzioni e a discorsi ufficiali in tutti questi anni. E tra di essi è Manfredi Borsellino, figlio del giudice che fu vittima di uno degli ultimi feroci attentati messi a segno in Sicilia. «Certo – ha commentato -, siamo entusiasti per questo risultato.
Anche se dentro di noi c’è tanta rabbia: l’arresto è arrivato tardi e soltanto ora che nostro padre non c’e più». Sentimenti contrastanti oscillano tra la soddisfazione per una vittoria della giustizia e il dolore impotente per una vita che, forse, poteva essere salvata. «E’ comunque un risultato importante – ha aggiunto Manfredi Borsellino -, un risultato che papà ha atteso per tanto tempo. Anche se, scher- zosamente, in famiglia ci diceva sempre: soltanto dopo la mia morte si riuscirà a rendere concreto il lavoro fatto». Il figlio del magistrato, ucciso con gli agenti della scorta da un’autobomba in via D’Amelio, ha seguito, di ora in ora, gli sviluppi dell’arresto di Totò Riina in casa, davanti al televisore, accanto alla madre Agnese ed alle due sorelle, Lucia e Fiammetta. E non ha potuto tacere un’ultima, penosa, riflessione: «E’ tremendo pensare che forse troppe persone hanno impedito che questo arresto avvenisse prima. Oggi è tardi, almeno per mio padre. Chissà quante vite andranno ancora perse prima di giungere ad altri risultati analoghi».
Le uccisero il marito tredici anni fa.
Una ferita che il tempo non ha cancellato. Rita Bertoli, vedova del procuratore della repubblica di Palermo, Gaetano Costa, si rallegra per il duro colpo dato alla «piovra», ma non si fa illusioni: «L’arresto di Riina è certamente una buona notizia, anche se la strada da fare per sconfiggere la mafia è ancora molto lunga». Una convinzione che Rita Bertoli ha maturato sin da quel giorno in cui vide il cadavere insaguinato del marito: «Non credo, comunque, che la mente delle stragi possa essere uno come Riina che in gio- ventù era un guardiano di pecore, un semianalfabeta. Secondo me, insomma, non è lui il vero capo della mafia in Sicilia. Anche ai tempi di don Calogero Vizzini, mitico boss degli Anni 60, si sapeva in realtà chi fosse il vero “puparo”». «Una cosa bella, un ottimo risultato». Marcello, il figlio maggiore di Salvo Lima, l’ex sindaco di Palermo ammazza¬ to lo scorso aprile, non nasconde la soddisfazione: «Sono contento. La morte di mio padre ed il nostro dolore non possono certo essere mitigati, ma almeno si può pensare che siano serviti a qualcosa». C’è stato, ieri, anche chi ha voluto scendere in piazza, per dire che l’arresto del boss dei boss è un fatto che riguarda tutta la nazione. Un gruppo di persone, in prevalenza donne e giovani, si è radunato in prossimità dell’ingresso principale del comando della regione dei carabinieri, in corso Vittorio Emanuele, a Palermo, per testimoniare la gratitudine all’arma per l’operazione portata a termine. I manifestanti hanno portato in giro cartelli che hanno «indossato» a sandwich, con la scritta «I siciliani non si piegheranno al terrorismo mafioso. Lotteranno fino alla morte, fino alla liberazione della Sicilia. Grazie carabinieri». [d. dan.]  La STAMPA