2013 ARCHIVIO 🟧 Al processo Borsellino quater il mistero del ‘caramellaio’ Campesi

 

AUDIO DEPOSIZIONE AL PROCESSO BORSELLINO QUATER

 

21.5.2013 (Adnkronos) – “Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io.
Mi si presento’ e mi disse di essere un esperto si sicurezza, non un agente segreto.
Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva.
E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”.
Il nome di Roberto Campesi, ex uomo della scorta del giudice Giuseppe Ayala, personaggio molto controverso e misterioso, spunta all’improvviso nel corso del processo Borsellino quater, in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta.
Il suo nome e’ stato fatto anche in una delle ultime udienze da Roberto Farinella, ex caposcorta di Ayala.
Campesi si aggirava tra le macerie di via D’Amelio subito dopo la strage con esponenti delle forze dell’ordine.
Fu riconosciuto in fotografia dall’ax agente di scorta in aula a Caltanissetta nel processo per la strage di via D’Amelio quell’udienza Farinella spiego’ di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna.
Campesi rimase invece nella scorta del magistrato e cinque anni piu’ tardi venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ‘94 ritenuto prestanome dei boss Graviano.
In passato Campesi aveva un negozio di caramelle, da ui il nome ‘il caramellaio’.


11.5.2013 Ayala e il caramellaio di scorta

C’era un uomo in via D’Amelio il pomeriggio del 19 luglio 1992 che si aggirava assieme ad alcuni esponenti delle forze dell’ordine e che qualche giorno dopo la strage prese servizio nella scorta del giudice Giuseppe Ayala. Quell’uomo, che non era né un carabiniere, né un militare, di mestiere faceva il commerciante di caramelle: si chiama Roberto Campesi, e a riconoscerlo in fotografia, ieri mattina in aula a Caltanissetta nel processo per la strage di via D’Amelio, è stato l’appuntato dei carabinieri in pensione Rosario Farinella, ex capo-scorta di Ayala, che ha smentito la versione del giudice sui movimenti attorno alla borsa del magistrato ucciso da cui sparì, probabilmente quel pomeriggio, l’agenda rossa.
Fu Ayala a volerlo nella scorta, ha detto ieri Farinella, e quando il suo caposcorta gli fece presente che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna, Farinella fu sollevato dall’incarico e trasferito ad altro servizio.
Campesi rimase invece nella scorta del magistrato e cinque anni più tardi venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ‘94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano. In quell’occasione Campesi si sarebbe fatto consegnare 160 milioni con la promessa di organizzare una campagna di stampa in favore di Ienna, con l’aiuto dei deputati Tiziana Maiolo e Vittorio Sgarbi che hanno negato di conoscerlo.
Nell’udienza di ieri Farinella ha più volte smentito la versione fornita dal giudice Ayala e dal giornalista Felice Cavallaro, sostenendo di avere preso lui la borsa di Borsellino e di averla consegnata, su indicazione di Ayala, a una persona “che Ayala conosceva”
“È una persona che conosco io – mi disse Ayala – ma non ricordo se disse che era un ufficiale o un ispettore. Non era però il capitano Arcangioli”.
L’ex caposcorta ha detto di essere stato in via D’Amelio con Ayala “in auto” (e non a piedi, come aveva sostenuto il giudice), e di non ricordare la presenza sul luogo dell’esplosione del giornalista Cavallaro (che però non conosceva, ndr). Si riprende il 6 maggio con la deposizione del tenente Carmelo Canale e del magistrato amico di Borsellino Diego Cavaliero. Giuseppe Lo Bianco (Il Fatto Quotidiano)


NOVEMBRE 2020
Nei giorni scorsi il Giornale di Sicilia ha dato la notizia: Roberto Campesi, un tempo addetto alla sicurezza dell’ex pm Giuseppe Ayala, sedicente ex carabiniere dei gruppi speciali, sedicente collaboratore dei servizi segreti, il quale aveva intessuto con lui e con altri esponenti delle forze dell’ordine rapporti di frequentazione e di asserita collaborazione, è stato arrestato per esecuzione pena di un cumulo di condanne. Il dato sarebbe emerso nel corso di un processo che si sta svolgendo davanti al giudice monocratico del Tribunale di Termini Imerese, Luigi Bonaqua, dove lo stesso Campesi è imputato con l’accusa di tenere illecitamente “segni distintivi, contrassegni o documenti di identificazione in uso ai corpi di polizia”.
Il 4 maggio 2013, infatti, fu trovato in possesso, all’interno della propria auto, di un lampeggiante in uso alle forze dell’ordine.
Campesi si è difeso dicendo di collaborare con l’Arma dei carabinieri “dal lontano 1982”. “Con il mio lavoro – ha detto davanti al giudice – ho contribuito a far arrestare il latitante Salvatore Miceli, che è stato il massimo esponente del narcotraffico internazionale. Ecco perché quando nell’83 ho smesso di fare il carabiniere ho consegnato la paletta, ma mi hanno consentito di tenere in dotazione il lampeggiante. Lo metto sempre dentro la macchina, mai sulla tettoia. E comunque uso il veicolo soprattutto per fini istituzionali, come ai funerali del senatore Andreotti e della madre del commissario Manfredi Borsellino”. Al di là dei fatti di questo processo, su cui il giudice si dovrà esprimere, vale la pena ricordare la figura di Campesi, personaggio molto controverso e misterioso, noto come “il caramellaio” in quanto aveva in passato un negozio di caramelle.
Rimase per diverso tempo nella scorta di Ayala e nel 1997 venne arrestato con l’accusa di millantato credito e truffa nei confronti dei figli di Gianni Ienna, un imprenditore arrestato per mafia nel ’94 ritenuto un prestanome dei boss Graviano.
Poi ci furono altri processi per calunnia, conclusi con assoluzioni. Con questa accusa finì nell’occhio degli inquirenti per quel che disse contro Arnaldo La Barbera, allora capo della Squadra mobile, sostando che non avesse dato un’adeguata scorta a Giovanni Falcone. Il consulente informatico Gioacchino Genchi, oggi avvocato, lo definì al processo Borsellino quater come un “cazzaro”. Sempre al Borsellino quater anche Giuseppe Ayalaparlò di lui: Roberto Campesi era nella mia scorta ma non lo misi io. Mi si presentò e mi disse di essere un esperto si sicurezza, non un agente segreto. Mi disse che era un grande amico di Antonio Montinaro, agente di scorta morto con Giovanni Falcone e di essere Presidente della Fondazione Montinaro, anche se poi ho scoperto che non esisteva. E lo misi in contatto con i miei responsabili della sicurezza. Purtroppo sono caduto in un grande trappolone”. Il suo nome venne fatto anche da Roberto Farinella, ex caposcorta di Ayala. Campesi si aggirava tra le macerie di via D’Amelio subito dopo la strage con esponenti delle forze dell’ordine. Fu riconosciuto in fotografia dall’ex agente di scorta in aula a Caltanissetta nel processo per la strage di via D’Amelio. In quell’udienza Farinella spiegò di essere stato allontanato dalla scorta dopo avere fatto notare che la presenza di un civile in una scorta armata di un magistrato antimafia era quantomeno inopportuna. Campesi rimase invece nella scorta del magistrato. AD

24.8.1993 «La polizia non ha protetto Falcone»

«La polizia non ha protetto Falcone» Denuncia a Palermo. Roberto Campesi, presidente della Fondazione intitolata ad Antonino Montinaro, uno dei poliziotti della scorta di Falcone, ha rivolto gravissime accuse alla polizia.
In particolare al questore Arnaldo La Barbera che dirige il Nucleo speciale della polizia che indaga sulle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio. «Le bugie di Stato sono ancora presenti», ha detto, fra l’altro, Campesi.
E ha anche parlato di «funzionari di polizia che, con il loro fare, hanno premuto i pulsanti per le stragi Falcone e Borsellino». Anna Falcone, sorella del giudice, gli ha replicato: «Se è come dice lei, è giusto che s’indaghi su La Barbera, ma noi vogliamo certezze e non chiacchiere da caffè». La signora Falcone ha quindi chiesto: «Ma lei perché non denuncia queste cose ai giudici?». Secondo Campesi, La Barbera non avrebbe protetto abbastanza Falcone. LA STAMPA

30.7.1993 Veleni tra i magistrati per la biografia di Falcone

Veleni tra i magistrati per la biografia di Falcone Geraci: non ero suo nemico. Ma l’autore conferma Veleni tra i magistrati per la biografia di Falcone ROMA. Nuovi veleni dividono il fronte antimafia. Due querele, una presentata dal giudice Vincenzo Geraci e l’altra da Roberto Campesi, presidente della Fondazione Montinaro, aprono antiche e nuove ferite. Il magistrato Vincenzo Geraci ha citato in giudizio l’editrice Rizzoli e il giornalista Francesco La Licata, autore del libro «Storia di Giovanni Falcone», per come nel libro stesso si racconta il ruolo di Geraci, allora componente del Csm, nella vicenda della candidatura di Falcone all’organo di autogoverno della Magistratura. Un ruolo, è scritto nel libro, di «avversario». Replica La Licata: «Sono contento di questa querela. Almeno così un tribunale, anche se civile, dirà se Geraci è stato amico di Falcone, come lui sostiene, oppure no, come del resto hanno sostenuto in tanti, da Maria Falcone a Fernanda Con¬ tri, allora componente del Csm e attualmente ministro degli Affari Sociali». Roberto Campesi ha invece querelato il regista Giuseppe Ferrara, che sta realizzando un film sulla vita di Falcone. Pochi giorni fa Ferrara ha presentato a Palermo alcuni spezzoni del suo film. «In quell’occasione – dice Roberto Campesi – Ferrara mi ha definito un “caramellaio”, insultando me e soprattutto la Fondazione che rappresento. Una Fondazione nata con uno scopo preciso. Denunciare le inefficienze dello Stato, la sua latitanza, le sue responsabilità nei confronti di chi lotta, pagando di persona, contro la mafia. Alle mie critiche civili al suo film, al mio disaccordo, lui ha reagito insultandomi pubblicamente. Per questo ho deciso di querelarlo. Perché ha offeso la Fondazione che rappresento», [r. cri