1988 ARCHIVIO 🟧 «Ha ragione Falcone». “Fondate le denunce del Procuratore Borsellino”

 
 
 
«Svolta nel «caso Palermo» alla vigilia del plenum del Csm
 L’ispettore inviato dal ministro della Giustizia parla di «pool antimafia smantellato» –
«Il consigliere Meli ha privilegiato la propria discrezionalità al lavoro svolto dai giudici» ROMA —
 
Avevano ragione il procuratore di Marsala Paolo Borsellino e il giudice Giovanni Falcone: il pool antimafia di Palermo è stato di fatto smantellato.
E aveva torto il consigliere istruttore Antonino Meli: prima a negare la realtà, e poi ad alimentare una polemica fuorviante». E’ scritto nella relazione dell’ispettore del ministero di Grazia e Giustizia Vincenzo Rovello sul «caso Palermo», commissionata in luglio dal ministro Vassalli.
Alla vigilia del plenum del Consiglio superiore della magistratura che dovrà riprendere in mano l’incartamento di tutta l’infuocata polemica estiva sullo stato della lotta alla mafia, la battaglia si riaccende.
Falcone non ha ritirato affatto le proprie dimissioni dall’ufficio istruzione. Resta solo in fiduciosa attesa» dell’ultima parola del Csm.
E Meli continua ad inviare lettere: una ai colleghi del pool antimafia, un’altra all’organo di autogoverno dei giudici, nella quale chiede di essere riascoltato.
La relazione dell’inviato di Vassalli a Palermo è un atto d’accusa contro la gestione Meli, iniziata in gennaio all’indomani di una tormentata nomina alla carica di consigliere istruttore.
Dice l’ispettore Rovello che il nuovo capo ha voluto privilegiare la discrezionalità delle proprie scelte» rispetto al buon lavoro che il pool antimafia aveva svolto sotto la gestione del precedente consigliere, Antonino Caponnetto.
Prima Giovanni Falcone aveva un ruolo predominante nella conduzione delle inchieste su Cosa Nostra, ben distribuite nell’ambito del gruppo di magistrati specializzati in questo tipo di indagini.
Nel corso dell’88, invece, quelle inchieste sono state assegnate secondo criteri diversi, senza discutere alcunché insieme ai giudici interessati, e con interpretazioni legislative quanto meno discutibili.
Per l’ispettore del ministero tutto questo ha determinato, di fatto, lo smantellamento del pool antimafia, che a leggere bene fra le righe di una lettera inviata da Meli al Csm viene ammessa dallo stesso consigliere istruttore.
Scriveva infatti Meli il 16 giugno ’88: -Con la partecipazione di un maggior numero di magistrati al gruppo di lavoro chiamato ad occuparsi dei processi del primo tipo (quelli di mafia, ndr), correlativamente riducendosi l’attività di ciascuno nello specifico settore, l’assegnazione anche ad essi di processi del secondo tipo (quelli comuni, ndr) si rende proporzionalmente realizzabile».
Era ciò che denunciavano 1 giudici antimafia: le inchieste su Cosa Nostra affidate a giudici esterni al pool e processi per reati comuni assegnati a quelli del pool.
L’operato di Meli inoltre, sempre secondo il rapporto stilato dall’ispettore Rovello, è andato in direzione opposta a quella raccomandata dal Csm sull’organizzazione del lavoro negli uffici giudiziari di Palermo, e contro i criteri tabellari di utilizzazione dei magistrati approvati dallo stesso organo di autogoverno.
Fondate e veritiere erano dunque le denunce del procuratore Borsellino.
E non vale nemmeno l’accusa, per il giudice di Marsala, di aver detto quelle cose utilizzando un’intervista, peraltro rilasciata — sottolineava Meli — ad un giornalista imputato in procedimento penale pendente davanti a quest’ufficio e nel quale il procuratore di Marsala era stato sentito come teste». Le sue accuse Borsellino le aveva già lanciate in un pubblico convegno ad Agrigento, e solo dopo le ripetè sui giornali.
L’ultima stoccata per Meli riguarda le sue continue smentite circa lo smantellamento del pool antimafia.
In questo modo, sostiene l’ispettore, il consigliere istruttore non ha fatto altro che alimentare la fuorviante polemica» innescata da chi ha dipinto il gruppo di lavoro impegnato nei processi alle cosche come uno strumento per acquistare potere e fare carriera.
Anche questa relazione entrata nel dibattito in seno al Csm sul «caso Palermo», che inizierà martedì pomeriggio e si preannuncia infuocato. Ma il carteggio su quanto accade negli uffici giudiziari del capoluogo siciliano si è arricchito nel frattempo di altre lettere. Una è quella di Giovanni Falcone al vicepresidente del Csm Mirabelli.
Inviata a metà agosto, è la risposta all’invito, formulato dal comitato antimafia del Consiglio, a rimanere al proprio posto. Falcone non è tornato affatto sui propri passi
A Mirabelli ha semplicemente scritto che prima di prendere ogni decisione aspetta ‘fiducioso» l’esito del dibattito, nella speranza che sì possano ricreare nell’ufficio istruzione le condizioni di lavoro» auspicate nel corso della sua audizione al Consiglio.
Falcone smentisce ‘di aver preso le distanze dai colleghi del pool antimafia», e in un’altra lettera ribadisce che quelle esplose a Palermo non sono ‘beghe personali fra giudici», ma veri e propri contrasti» sul modo di condurre i processi antimafia.
Meli invece, in una missiva inviata ai giudici del pool, sostiene di non capire che cosa intende dire il Csm quando nel documento approvato in agosto, parla di disarmonie» fra i magistrati, e che comunque la cosa non lo riguarda. Al Consiglio, poi, ha chiesto di poter venire ad esporre nuovamente le sue ragioni. Giovanni Bianconi 10.9.1988 LA STAMPA
 
 

PAOLO BORSELLINO e il disarmo dell’antimafia

 

 
 
 

GIOVANNI FALCONE