1992-1993 ARCHIVIO 🟧 Sulle tracce di Riina l’ìnafferrabile

 
2.9.1992 Sulle tracce di Riina l’ìnafferrabile Corleone, trovati in casa di un parente carte e libretto di lavoro del boss Carabinieri e soldati assieme nell’operazione.
Poi cala il riserbo su eventuali nuove piste. Un rastrellamento di carabinieri e soldati ieri a Corleone assediata tra l’alba e la tarda mattinata, ha consentito di trovare una flebile traccia del capo assoluto della mafia siciliana, Salvatore Riina, ricercato da oltre 25 anni. Durante la perquisizione dell’alloggio di uno dei familiari del superlatitante, è spuntato fuori tra vecchie carte e vecchie fotografie, il libretto di lavoro di Riina. Copertina azzurra, dieci pagine, timbrato regolarmente all’Ufficio del lavoro («ma in data anteriore a 25 anni fa» ha precisato un ufficiale) e intestato a Riina Salvatore bracciante agricolo.
Sì, bracciante come quelli che allora e oggi si guadagnano da vivere sgobbando in campagna, un mestiere che in verità, che si ricordi a Corleone, Riina fece ben poco perché abbastanza presto intraprese la «carriera» del mafioso seguendo l’allora capo Luciano Liggio che per anni, come adesso lui, diede scacco alle forze di polizia.
La battuta a Corleone è stata compiuta da 200 tra carabinieri del gruppo «Palermo 2» compresi quelli della locale compagnia, negli Anni 50 comandata da Carlo Alberto Dalla Chiesa allora capitano, e soldati del battaglione Tarquinia in forza al contingente di 7000 uomini inviato dal governo in Sicilia dopo la strage del 19 luglio in via D’Amelio. «Di più non è possibile dire», ha tagliato corto uno degli ufficiali del gruppo «Palermo 2» che hanno partecipato all’irruzione armi in pugno nell’alloggio del congiunto del numero uno di Cosa Nostra. Così i carabinieri non hanno reso noti i nomi del proprietario dell’appartamento né altri particolari sulla scoperta del libretto di lavoro, anche se è evidente dato lo spiegamento di forze che speravano di avere dal blitz ben altri esiti. Forse si tratta di un cugino, ma pure sul rapporto di parentela gli inquirenti per il momento preferiscono tener la bocca chiusa.
E se questa non è la prima operazione che dopo l’eliminazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme con Francesca Morvillo e gli otto agenti delle loro scorte Te forze dell’ordine realizzano a Corleone con grande spiegamento di uomini e mezzi, il rinvenimento del libretto di lavoro di Riina non è neppure la prima traccia che il «padrino» si è lasciata dietro.
Due mesi fa il suo avvocato, Cristoforo Fileccia, con una dichiarazione improvvisa e imprevista, specie da lui che con i giornalisti è di pochissime parole, fece sapere di avere incontrato spesso fino a qualche tempo fa il suo cliente che si trova in Sicilia. Una dichiarazione interpretata da molti, e primi fra tutti dagli inquirenti, come un messaggio per far sapere che Riina è qui, dunque è in grado di esercitare ancora pienamente il comando.
Un messaggio, secondo i più, rivolto ad amici come a nemici del boss.
Altri segnali su Riina risalgono ad anni fa. Rapporti dei carabinieri indicano in una casa di cura privata di Palermo il luogo dove sono nati i tre figli del capo della mafia, e nei primi Anni 70, in un alloggio del rione San Lorenzo.il tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, ucciso poi in un agguato nel bosco Ficuzza a 8 chilometri da Corleone il 20 agosto del 1977, trovò gli inviti per le nozze tra Riina e Antonietta Bagarella, la maestrina della mafia pure lei corleonese, sorella di Leoluca Bagarella, ora in soggiorno obbligato a Roma.
Nozze celebrate, neanche a dirlo, da padre Agostino Coppola, il prete della mafia che anni fa, dopo aver abbandonato la tonaca, si è a sua volta sposato dopo essere stato condannato per l’Anonima sequestri a suo tempo diretta da Luciano Liggio in Lombardia. Antonio Ravidà Grande spiegamento di forze’ per il blitz, ma la primula rossa è sfuggita ancora alla cattura Resta ignoto il nome di chi vive nell’alloggio perquisito II boss latitante Tota Riina ritenuto il capo dei capi della mafia e ricercato in Sicilia dove, secondo il suo legale, vive attualmente Un carabiniere mostra il libretto di Salvatore Riina «bracciante agricolo» 2.9.1992 LA STAMPA
 


8.1.1993 Nell’entroterra caccia a Toto Riina

Il boss mafioso potrebbe aver trascorso parte della sua latitanza in Liguria Nell’entroterra caccia a Tale Riina presunto covo in una villa delfinalese dove due settimane fa i carabinieri hanno fatto irruzione
Un nascondiglio che probabilmente è anche servito per occultare armìro droga. Indagini incorso FINALE LIGURE. Totò Riina, considerato il capo della cupola mafiosa, latitante da quasi trent’anni, accusato di essere il mandante di decine di delitti e il boss indiscusso dei corleonesi, potrebbe aver trascorso parte della sua latitanza in Riviera. E’ qualche cosa di più di un’ipotesi.
Un paio di settimane fa, infatti, i carabinieri della compagnia di Albenga hanno avuto una segnalazione precisa e dettagliata di un possibile covo ligure del capomafia.
Le indagini sono scattate immediatamente nella massima segretezza e con tutti gli accorgimenti per non compromettere la delicata e pericolosa operazione.
Una volta individuato il presunto covo, una villetta nell’entroterra (il posto esatto continua a rimanere segretissimo ma si suppone sia sulle alture finalesi), i carabinieri hanno fatto irruzione, ma di Totò Riina non c’era ormai nessuna traccia.
Un «covo freddo» secondo il linguaggio tecnico, un nascondiglio cioè usato e abbandonato da qualche tempo. E che possa essere stato usato proprio dal boss dei corleonesi, magari per sfuggire alla stretta di polizia decisa in Sicilia dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, è una possibilità ancora al vaglio degli investigatori.
Di certo c’è il fatto che nella villetta, di proprietà di una famiglia siciliana (nei loro confronti non è scattato nessun provvedimento giudiziario in quanto non sono stati ravvisati reati), c’era una botola nascosta che portava ad una cantina dove, tra bottiglie e generi alimentari, c’era anche una brandina.
Dalla cantina, inoltre, parte uno stretto corridoio che sbuca, nascosto dai rovi, a poche decine di metri dall’autostrada. L’ideale per una fuga precipitosa o per raggiungere, senza essere visto, il nascondiglio sotterraneo. Gli investigatori non escludono altre possibilità.
Il covo, sempre che sia dimostrato appartenga alla malavita organizzata, potrebbe essere servito per nascondere ostaggi di qual- che sequestro.
La mafia siciliana difficilmente si occupa di rapimenti, ma potrebbero esserci legami di collaborazione con altre organizzazioni criminali. Non solo.
Il nascondiglio potrebbe essere servito per occultare armi o droga. Proprio nell’entroterra finalese, a Vezzi Portio, due anni fa era stata in¬ dividuata un’armeria della mafia e diverse persone erano finite in carcere. Tutte ipotesi che sono ora al vaglio di carabinieri e magistrati. Nonostante l’incertezza dovuta ai tanti lati oscuri che avvolgono l’episodio, la segnalazione della presenza di Totò Riina in Riviera ha messo in allarme le forze dell’ordine.
A preoccupare è soprattutto il calibro del personaggio. Se il boss dei corleonesi ha davvero scelto di nascondersi per qualche tempo in Liguria significa che nel Ponente ha una rete di persone su cui può contare con fiducia.
Difficilmente si sarebbe nascosto in un territorio che non conosce senza avere la certezza di avere le spalle coperte.
Un campanello d’allarme che dimostra come l’infiltrazione mafiosa in Riviera (ma anche n’drangheta calabrese viste le ultime operazioni dei carabinieri tra Reggio Calabria, Palmi, Ventimiglia e Albenga) non sia più solo un’ipotesi ma qualcosa di più consistente e pericoloso, [s. p.j I boss Salvatore «Totò» Riina