L’articolo 416 bis è stato introdotto nel Codice Penale, tra i delitti contro l’ordine pubblico, con la L. 646/1982, altrimenti nota come “Rognoni-La Torre”, al fine di estendere la punibilità anche alle condotte non rientranti nell’associazione per delinquere ex 416 c.p., perché di per sé lecite o perché non connotate dalla volontà di realizzare singole fattispecie criminose.
Associazione mafiosa: quale bene giuridico tutela il 416 bis? In virtù del rapporto di specialità che intercorre tra gli articoli 416 e 416 bis, il bene giuridico tutelato dalla fattispecie de qua è sicuramente l’ordine pubblico, da intendersi nella sua accezione materiale. Parte della dottrina ha poi sostenuto che possa ritenersi protetto anche il bene della libertà morale dei cittadini, intesa come facoltà di autodeterminazione degli stessi. Inoltre, sono stati individuati altri beni giuridici che la norma tutelerebbe, definiti come “secondari”: la giurisprudenza si è uniformata a tale impostazione, specificando come i suddetti beni siano posti all’interno della fattispecie come alternativi e non cumulativi. Questo in maniera coerente con la finalità perseguita al momento della previsione legislativa, ovvero quella di ampliare la punibilità estendendola anche ad attività in sé formalmente lecite (Cass. pen., n°1793/1993). In particolare, il 416 bis tutelerebbe anche il corretto andamento dell’ordine economico, soprattutto in quanto l’attività di riciclaggio costituirebbe il trait d’union tra l’associazione di tipo mafioso e la finanza. Tutelerebbe, poi, il corretto funzionamento della Pubblica Amministrazione, che risulterebbe leso dall’attività dell’associazione mafiosa diretta ad influenzare la concessione di appalti, autorizzazioni e servizi. Infine, il corretto funzionamento del potere reale rispetto alla volontà dei consociati, ossia il generale ordine democratico, leso da quelle condotte non solo volte ad influenzare le consultazioni democratiche, ma anche l’infiltrazione mafiosa all’interno del sistema pubblico. Pertanto, il reato de quo ha natura plurioffensiva, ed è un reato a pericolo concreto, plurisoggettivo necessario comune, cioè realizzabile da chiunque.
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Quali sono gli elementi costitutivi del reato? La forza di intimidazione. Si discute se questa debba valutarsi a prescindere dalla sua effettiva utilizzazione o meno, in quanto sia dottrina che giurisprudenza risultano divise tra questi due orientamenti. Da un primo punto di vista, infatti, essa non sarebbe una modalità di realizzazione della condotta dei singoli associati, ma un elemento strumentale, legato all’in sé del vincolo associativo; per la giurisprudenza, accessorio rispetto all’attuazione dei fini alternativamente indicati nella fattispecie incriminatrice, che non deve essere necessariamente utilizzato dai singoli associati perché si realizzi la condotta di partecipazione (Cass. pen. n° 13070 e 3492 del 1987). Diversamente, non potendo discostarsi dal tenore letterale della norma, la condizione di assoggettamento ed omertà deve ricollegarsi al concreto avvalersi della forza intimidatrice che deriva dal vincolo; sarebbe quindi necessario che l’associazione abbia conseguito, in concreto, nell’ambiente circostante nel quale essa opera una effettiva capacità di intimidazione e che gli aderenti se ne siano avvalsi in modo effettivo al fine di realizzare il loro programma criminoso (Cass. pen. n°1612/2000). La latitanza sarebbe stata ritenuta un indice sintomatico della forza di intimidazione, per la diffusa sensazione di impunità che rende incombente la sensazione di pericolo in chiunque pensi di ostacolare il raggiungimento dei fini associativi (Cass. pen. n°2324/2000). La condizione di assoggettamento e di omertà. Esse sono le dirette conseguenze dell’effettivo manifestarsi della forza di intimidazione del vincolo associativo, risultano come elementi normativi inscindibili, in modo che la prima sia premessa necessaria della seconda (Cass. pen. n°1524/1986). L’assoggettamento consiste in uno stato di sottomissione o succubanza psicologica che si manifesta nelle potenziali vittime del sodalizio, e non è assolutamente da riferire ai singoli associati, ipotizzando un rapporto di soggezione tra questi e i capi. L’omertà costituisce un elemento tipico della fattispecie e si correla con un rapporto di causa a effetto, alla forza di intimidazione dell’associazione di tipo mafioso. Consiste nel rifiuto di collaborare con gli organi dello Stato. Tale atteggiamento può derivare dalla paura di danni ala propria persona, ma anche dall’attuazione di minacce che possono realizzare danni rilevanti, di modo che sia diffusa la convinzione che la collaborazione con l’autorità giudiziaria non impedirà che si abbiano ritorsioni dannose, per la persona del denunciante, in considerazione della ramificazione dell’associazione, della sia efficienza, della sussistenza di altri soggetti non identificabili forniti del potere di danneggiare chi ha osato contrapporsi (Cass. pen. n° 1612/2000).
Le finalità. Il 416 bis è caratterizzato da una maggior ampiezza dello scopo perseguito, non limitato alla generica commissione di più delitti, ma che ricomprende anche attività volte all’infiltrazione dei sodalizi criminosi nella politica, nella Pubblica Amministrazione e nel mondo economico. Le finalità devono essere intese in senso alternativo, non cumulativo; inoltre, ai fini della configurabilità del delitto in questione non è necessario che le medesime siano effettivamente e concretamente raggiunte (Cass. pen. n°7627/1996).
Associazione mafiosa: l’elemento oggettivo È un reato di mera condotta e le condotte punibili, analogamente a quanto previsto alla fattispecie generale ex 416, e con esclusione della figura del costitutore, sono la partecipazione, la promozione, la direzione e l’organizzazione. Dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto concordemente che l’articolo de quo preveda una pluralità di figure criminose dotate di carattere alternativo e di intrinseca autonomia. Per quanto concerne quella partecipativa, appurata la costituzione di una struttura dotata di un coefficiente minimo di organizzazione, essa consiste nell’apporto di un contributo non insignificante da parte dell’associato, inserito attivamente all’interno della stessa struttura. In particolare, deve sussistere un contributo apprezzabile e concreto sul piano causale al rafforzamento o alla mera esistenza dell’associazione, indipendentemente da ruolo assunto (Cass. pen. n°6203/1991), purchè diretto al perseguimento delle sue finalità divenute causa comune dell’agire del singolo e della struttura delinquenziale.
Per la descrizione delle condotte di promozione, direzione e organizzazione si rimanda al 416. Non è configurabile il tentativo, così come per il 416. Il reato, essendo a natura permanente, si perfeziona non appena sia raggiunto il minimum di mantenimento della situazione necessaria per la sussistenza del singolo reato, e si consuma quando sia cessata la condotta volontaria di mantenimento.
Elemento soggettivo: il dolo specifico L’elemento soggettivo richiesto è il dolo specifico di voler far parte dell’associazione, con la consapevolezza degli scopi cui l’associazione medesima è finalizzata e dei mezzi intimidatori di cui è solita servirsi. Oggetto del dolo è la prestazione di un contributo utile alla vita del sodalizio, ed alla realizzazione dei suoi scopi: la differenza che intercorre tra il caso di partecipazione e di concorso esterno è che il primo lo fornisce all’interno dell’associazione, il secondo lo presta senza far parte della compagine sociale (Cass. pen. 4342/2004). Il conseguimento del controllo delle attività economiche non è un elemento costitutivo della fattispecie, ma una finalità nell’ambito del dolo specifico, di modo che non è necessario che il controllo venga realmente assunto per la consumazione del reato (Cass. pen. n° 1793/1993). È esclusa la configurabilità del dolo eventuale.
Varie Sono previste alcune circostanze aggravanti
In primis, la detenzione, anche potenziale, di armi: è sufficiente che riguardi alcuni degli associati, essendo di natura oggettive, e quindi estendibile a tutti. È sufficiente la detenzione o l’occultamento, non essendo necessaria l’effettiva utilizzazione delle stesse (Cass. pen. n°2131/1987 e 1896/1987).
In secundis, il finanziamento delle attività economiche con il prezzo, il prodotto e il profitto di delitti. Si vuole punire quelle associazioni che siano state in grado di raggiungere lo scopo criminoso prefissato e che intendano reinvestirne i profitti (G. Spagnolo, cit. 123). Ha natura oggettiva, e quindi a riferita all’associazione complessivamente, non ai singoli associati, che ne rispondono in virtù della mera partecipazione. Infatti, essa si presenta come attributo della specifica associazione, qualificandone la pericolosità alla pari del suo carattere armato, ed è quindi valutabile a carico di ogni componente del sodalizio ex art.59 co. II (Cass. pen. n° 856/1999). La natura di attività economica va identificata come un intervento in strutture produttive dirette a prevalere, nel territorio di insediamento, sulle altre strutture che offrano gli stessi. DIRITTO.IT