Il ricordo della vedova di Antonio Montinaro scuote la presentazione della giornata del ricordo della strage di Capaci. «Il 23 maggio per noi è iniziato e non è mai finito: quella bomba è entrata a casa mia e non ne è mai uscita», dice Tina Montinaro (nel riquadro con Antonio), moglie di uno tre poliziotti morti nella strage di Capaci. Quel giorno di 25 anni fa in quell’attentato persero la vita, oltre al capo scorta, il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Vito Schifani e Rocco Dicillo. Alla Fiera del Libro di Milano, nello spazio dedicato alla rivista PoliziaModerna, mensile ufficiale della Polizia di Stato, la donna lancia l’iniziativa “La memoria in marcia” organizzata dall’associazione “Quarto Savona Quindici” di cui è presidente e che ricorda la sigla radio di quella macchina blindata su cui viaggiava il capo scorta e i due colleghi. «A me manca ancora e sicuramente più ai miei figli, a cui gli è stata tolta la possibilità di conoscerlo, ma oggi nelle strade di Palermo si sentono dire sei figlio di quel Montinaro ed è una forma di orgoglio. Non abbiamo un cognome pesante ma importante», racconta la donna che non ama essere chiamata vedova.
L’auto della scorta saltata in aria a Capaci per testimoniare la lotta alla magia
La scorta erano ragazzi giovani e dobbiamo ricordare i loro nomi: «Guai a chiamare l’auto diventata un simbolo di reazione e di lotta alla mafia un rottame perché per me e per i miei figli c’è la tomba di mio marito; ci sono i suoi ultimi pensieri e il suo sangue», racconta. Quella bomba lungo l’autostrada vicino Palermo le restituì solo una bara: «Ho riconosciuto mio marito perché si mangiava le unghie e aveva le dita incrociate quando viaggiava in autostrada». L’auto diventata testimonianza di sacrificio è posizionata all’ingresso della scuola di polizia a Peschiera del Garda, a ricordare il sacrificio di uomini in divisa. Da qui partirà il 1 maggio e, lungo un percorso itinerante, farà tappa a Sarzana, Pistoia, Riccione, Monte San Giusto (Macerata), Napoli, Vibo Valentia e Locri (di recente teatro di alcune scritte contro i poliziotti) per raggiungere Palermo il 23 maggio, data della ricorrenza della strage di Capaci. Un’iniziativa resa positiva “grazie alla Polizia di Stato che non mi ha mai fatto sentire sola. Mio marito – racconta Tina Montinaro – mi ha insegnato e dato tanto, soprattutto il coraggio e camminare sempre a testa alta. E poi non mandavo giù che quando si ricordano le vittime si dice “la scorta”: erano ragazzi giovani e la memoria deve farci ricordare i nomi, la memoria significa anche impegno”.