Ma sull’inchiesta c’è una fuga di notizie. No, Palermo non dimentica. Alle 16,55 di ieri, a un mese esatto dalla strage di mafia in via D’Amelio, mi applauso di un quarto d’ora ha ricordato il giudice Paolo Borsellino e i cinque giovani poliziotti della sua scorta assassinati con lui, massacrati dal tritolo dei boss: Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Walter Cusina e Claudio Traina.
Intanto la procura di Caltanissetta progetta di unificare le due inchieste sulla strage del 19 luglio e su quella del 23 maggio in autostrada a Capaci in cui perirono Giovanni Falcone la moglie Francesca Morvillo e tre dei poliziotti della scorta che pochi minuti prima li avevano prelevati nell’aeroporto di Punta Raisi al loro arrivo da Roma.
Due stragi destabilizzanti, anche questo pensano i giudici. Fra il 9 e il 10 settembre le due micidiali esplosioni verranno simulate in un poligono militare vicino a Livorno.
Si dà per certo, a questo punto, che Falcone e Borsellino, amici fin da bambini, i due magistrati più esperti rielle vicende di mafia, autentiche memorie storiche dei clan, sono stati eliminati dalle stesse persone.
Il sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Piero Vaccara, uno dei cinque giudici direttamente impegnati nelle indagini, ha lasciato filtrare uno squarcio di speranza e di ottimismo: «Alcuni identikit della strage di Capaci – ha detto senza però aggiungere altro – si sono rivelati positivi.
Sì, qualcosa sta muovendosi». Nelle stesse ore ieri a Caltanissetta la direzione distrettuale antimafia retta dal procuratore Gianni Di Tinebra ha aperto un’inchiesta su una fuga di notizie sulle recenti rivelazioni del «pentito» Leonardo Messina di San Cataldo, un paese a quindici chilometri da Caltanissetta. «Sarebbe stato molto meglio se in giro non se ne fosse parlato» ha affermato uno dei magistrati interessati.
Anche lui si è limitato a questo, non ha voluto più dir nulla ligio al riserbo imposto dalla delicatezza delle indagini. In una Palermo d’agosto semivuota, le commemorazioni nel trigesimo del massacro di Borsellino e dei cinque agenti della scorta non hanno certo coinvolto la gran folla di un mese fa e, prima, di quando si era avuta la mobilitazione eccezionale dei centomila chiamati qui da tutta Italia dai sindacati per la strage di Capaci.
Non più di cinquecento persone si sono radunate alle 16,55 in via D’Amelio dove ancora cinque palazzi sono sventrati. Ma il loro applauso interminabile, gli occhi lucidi di pianto, l’emozione che ha vinto indistintamente tutti hanno reso assai significativo anche questo momento vissuto nella città ferita dalle cosche, insanguinata, ma che non si piega, che non si arrende.
Il sindaco Aldo Rizzo ha detto: «Dobbiamo fare di tutto perché in Sicilia la democrazia possa trionfare».
Da via D’Amelio un corteo organizzato da varie associazioni anche di fuori Sicilia ha raggiunto poi via Notarbartolo dove abitavano i Falcone e dove altri messaggi e altri fiori vengono depositati in continuazione davanti alla magnolia che ormai tutti chiamano l’albero Falcone, a due metri dal portone d’ingresso nell’edificio.
Bambini, giovani, adulti, anziani, alcuni con magliette con stampigliati i volti dei due giudici uccisi hanno sfilato in un cupo silenzio fino all’alloggio di Borsellino in via Cilea.
Fra i cartelli uno che ringraziava Rita, cioè la diciottenne Rita Atria, la ragazza di Partanna in provincia di Trapani che stava collaborando a Roma con l’alto commissariato per la lotta alla mafia, figlia e sorella di due vittime delle cosche, e che pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio si è uccisa lanciandosi da un balcone. «Senza Borsellino, non c’è più speranza» aveva lasciato scritto Rita che aveva reso tutte le dichiarazioni proprio al magistrato poi assassinato. Le manifestazioni per Borsellino e i «suoi» agenti concluse a mezzanotte in piazza Politeama dopo due ore di veglia silenziosa indetta dalle donne del digiuno contro la mafia ieri sono, cominciate di buon mattino, alle 9 con una messa nella chiesa della Madonna dei Rimedi presenti le maggiori autorità cittadine. Il cappellano militare don Claudio Ferretti fra l’altro ha detto: «Non è giusto dimenticare.
C’è bisogno di giustizia, ma bisogna anche darla».
Uscendo dal tempio, il neoprefetto Giorgio Music- ha ribadito la determinazione dello Stato nella guerra contro i mafiosi. «Le cosche vanno aggredite» ha detto il prefetto e il questore Matteo Cinque, anche lui inviato a Palermo dopo la strage di via D’Amelio, ha sottolineato: «Una delle principali strategie è bloccare i patrimoni illeciti», riferendosi alle recenti iniziative della magistratura affidate proprio alla polizia per il sequestro dei beni di cinque presunti mafiósi. La vedova e i tre figli di Borsellino non hanno presenziato alle manifestazioni. Antonio Ravidà