E il pentito Marino Mannoia racconta dell’omicidio di Piersanti Mattarella

 

Dalla Sentenza della Corte d’Assise di Palermo Processo Andreotti di primo grado


Secondo la ricostruzione accusatoria del P.M. sussisterebbe una stretta relazione tra l’omicidio del Presidente della Regione Siciliana on. Piersanti Mattarella, avvenuto a Palermo il 6 gennaio del 1980, e due incontri del senatore Andreotti con esponenti di primo piano di Cosa Nostra tra i quali in particolare Stefano Bontate.

L’uccisione di Piersanti Mattarella era stata preceduta alcuni mesi prima da un altro omicidio in pregiudizio di un uomo politico, Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana, assassinato a Palermo il 9 marzo 1979.

La tesi dell’accusa si fonda principalmente sulle dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia il quale, nel corso dell’interrogatorio reso al P.M. in sede di commissione rogatoria internazionale il 3 aprile 1993 negli Stati Uniti, riferiva di essere venuto a conoscenza, perchè rivelatogli da Stefano Bontate, di un primo incontro avvenuto in un periodo imprecisato (primavera – estate del 1979) ed in una riserva di caccia sita in una località imprecisata della Sicilia, tra Giulio Andreotti, Salvo Lima, indicato come uomo d’onore “riservato” della famiglia mafiosa di viale Lazio, i cugini Salvo, Stefano Bontate ed altri esponenti di vertice di Cosa Nostra per discutere del problema Mattarella.

Il Marino Mannoia in particolare (pag.13 e segg.) affermava che:

− sin dal periodo in cui Paolo Bontate, detto Don Paolino, padre di Stefano Bontate, era il rappresentante della famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesu’, i rapporti con gli uomini politici erano mantenuti da lui, da Vincenzo Rimi e da Salamone Antonino;

− lo stesso Paolo Bontate aveva rapporti con Bernardo Mattarella (padre di Piersanti) che era “assai vicino a Cosa Nostra”;

− alla morte di Paolo Bontate, il figlio Stefano aveva intensificato i rapporti con il mondo politico stabilendo “relazioni molto strette” con Rosario Nicoletti e con Salvo Lima;

− attraverso il canale rappresentato dai cugini Antonino e Ignazio Salvo, il Bontate aveva stretto “intimi rapporti” anche con Piersanti Mattarella, mentre altri uomini d’onore, come Salvatore Riina e Giuseppe Calo’ avevano “rapporti di intimità” con lo stesso Lima e con Vito Ciancimino;

− lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico inizio’ a mutare proprio nel periodo immediatamente precedente agli omicidi di Michele Reina (9 marzo 1979) e Piersanti Mattarella (6 gennaio 1980);

− la ragione dell’omicidio di Mattarella risiedeva nel fatto che il predetto “dopo avere intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini Salvo e con Bontate Stefano, ai quali non lesinava i favori, successivamente aveva mutato la propria linea di condotta”;

− e cosi’ il Mattarella era entrato in “violento contrasto” con Rosario Nicoletti ed intendeva “rompere con la mafia” mediante l’avvio di “una azione di rinnovamento del partito della Democrazia Cristiana in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra e dei vari cugini Salvo, ingegner Lo Presti, Maniglia e cosi’ via”;

− il Bontate, cui il Nicoletti aveva riferito, fece informare del mutato atteggiamento di Piersanti Mattarella, anche l’on.Andreotti attraverso l’On.Lima;

− Andreotti quindi era “sceso a Palermo” e si era incontrato con Stefano Bontate, i cugini Salvo, l’On.Lima, Nicoletti, Gaetano Fiore ed altri in una riserva di caccia sita in una località della Sicilia che Marino Mannoia non ricordava;

− si trattava comunque della stessa riserva di caccia in cui anche altre volte si erano recati Stefano Bontate, Gigino Pizzuto, i cugini Salvo e Giuseppe Calderone;

− di tale incontro gli aveva parlato, poco dopo che esso era avvenuto, Stefano Bontate in un periodo compreso tra la primavera e l’estate del 1979, comunque in epoca successiva all’omicidio di Michele Reina;

− in ordine al contenuto dei colloqui ed alle modalità dell’incontro il Bontate si era limitato a confidargli che tutti i presenti si erano lamentati con Andreotti del comportamento di Mattarella e che il Bontate stesso aveva commentato con esso Marino Mannoia usando le parole “staremo a vedere”;

− alcuni mesi dopo era stato deciso concordemente da tutta la commissione di Cosa Nostra l’omicidio di Piersanti Mattarella, materialmente eseguito, secondo quanto rivelatogli dal Bontate, da Salvatore Federico, Francesco Davi’, Antonino Rotolo, Santino Inzerillo ed altri;

− dopo l’omicidio Mattarella vi era stato un secondo incontro di Stefano Bontate con Giulio Andreotti, svoltosi a Palermo in una villetta intestata ad “un Inzerillo, zio di Salvatore”, cui esso Marino Mannoia aveva stavolta personalmente assistito: “…L’onorevole Salvatore Lima era un uomo d’onore della antica famiglia di Matteo Citarda di viale Lazio. Egli quindi, anche per tale qualità e non soltanto per l’importante ruolo svolto nell’ambito della Democrazia Cristiana palermitana e nazionale, intratteneva stretti rapporti con i piu’ importanti esponenti di Cosa Nostra.

La sua qualità di uomo d’onore fu sempre tenuta “riservata”, e cioè accessibile soltanto a pochissimi esponenti dell’organizzazione. Per meglio comprendere le ragioni di questo omicidio (la commissione rogatoria era stata effettuata nell’ambito delle indagini sull’omicidio di Salvo Lima: n.d.e.), bisogna conoscere quale fosse la natura dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico fin dal periodo in cui era rappresentante della famiglia di Santa Maria di Gesu’ Bontate Paolo, detto “Don Paolino”, padre di Stefano. A quell’epoca i rapporti con gli uomini politici erano tenuti principalmente da Bontate Paolino, Rimi Vincenzo e Salamone Antonino.

………

Già Paolino Bontate, ad esempio, intrattenne rapporti con Mattarella Bernardo, il quale era assai vicino a Cosa Nostra, anche se non ricordo se fosse un uomo d’onore. I rapporti con il mondo politico furono intensificati da Bontate Stefano, dopo che egli divenne rappresentante prendendo il posto del padre.

……

Ritornando ai rapporti instaurati con il mondo politico da Bontate Stefano, ho appreso da lui stesso che egli dapprima stabili’ relazioni assai strette con l’onorevole Rosario Nicoletti (che disponeva di una villa adiacente al fondo Magliocco), e – attraverso il canale del vecchio Matteo Citarda e di Albanese Giuseppe – con l’onorevole Salvatore Lima, che come ho detto era appunto uomo d’onore della famiglia del Citarda.

Successivamente sfruttando il canale rappresentato dai cugini Salvo Antonino e Salvo Ignazio (uomini d’onore della famiglia di Salemi, essi pure “riservati”), il Bontate instauro’ intimi rapporti anche con Mattarella Piersanti. Escludo comunque che quest’ultimo fosse un uomo d’onore, poichè altrimenti l’avrei appreso da Bontate Stefano, il quale, come ho detto, non mi tacque mai i suoi rapporti con il Mattarella.

Questi rapporti con i detti uomini politici erano intrattenuti non soltanto da Bontate Stefano, ma anche da altri esponenti di Cosa Nostra, quali ad esempio Riina Salvatore e Calo’ Giuseppe.

In particolare, Riina, Calo’ ed altri esponenti di Cosa Nostra vicini a Riina avevano rapporti di “intimità” con l’onorevole Lima e con Ciancimino Vito.

………

Lo stato dei rapporti tra Cosa Nostra ed il mondo politico comincio’ a mutare nel periodo immediatamente precedente gli omicidi di Michele Reina e di Piersanti Mattarella.

………

La ragione di questo delitto risiede nel fatto che Mattarella Piersanti – dopo avere intrattenuto rapporti amichevoli con i cugini Salvo e con Bontate Stefano, ai quali non lesinava i favori – successivamente aveva mutato la propria linea di condotta. Egli, entrando in violento contrasto ad esempio con l’onorevole Rosario Nicoletti, voleva rompere con la mafia, dare “uno schiaffo” a tutte le amicizie mafiose e intendeva intraprendere una azione di rinnovamento del partito della Democrazia Cristiana in Sicilia, andando contro gli interessi di Cosa Nostra e dei vari cugini Salvo, ingegner Lo Presti, Maniglia e cosi’ via.

Rosario Nicoletti riferi’ a Bontate, attraverso l’onorevole Lima, del nuovo atteggiamento di Mattarella fu informato anche l’onorevole Giulio Andreotti. Andreotti scese a Palermo, e si incontro’ con Bontate Stefano, i cugini Salvo, l’onorevole Lima, l’onorevole Nicoletti, Fiore Gaetano ed altri. L’incontro avvenne in una riserva di caccia sita in una località della Sicilia che non ricordo. Si trattava pero’ della stessa riserva di caccia in cui altre volte si erano recati Bontate Stefano, i cugini Salvo, Calderone Giuseppe e Pizzuto Gigino.

Ho appreso di questo incontro dallo stesso Bontate Stefano, il quale me ne parlo’ poco tempo dopo che si era svolto, in periodo tra la primavera e l’estate del 1979 e comunque in epoca sicuramente posteriore all’omicidio di Michele Reina.

Il Bontate non mi disse quale fosse stato in dettaglio il tenore dei colloqui intercorsi tra i presenti, nè quale fosse stato l’atteggiamento assunto dall’onorevole Andreotti. Egli mi disse soltanto che tutti quanti si erano lamentati con Andreotti del comportamento di Mattarella, e aggiunse poi: “Staremo a vedere”. Alcuni mesi dopo fu deciso l’omicidio del Mattarella.

La decisione fu presa da tutti i componenti della commissione provinciale di Palermo, e su cio’ erano perfettamente concordi il Riina, il Calo’, l’Inzerillo ed il Bontate. Erano perfettamente d’accordo, anche se formalmente estranei alla decisione, i cugini Salvo Antonino e Salvo Ignazio.

………

Per quanto riguarda l’esecuzione materiale dell’omicidio, io sapevo che sarebbe stato commesso, ma non vi ho preso parte. Ho appreso pero’ dal Bontate che parteciparono Federico Salvatore (il quale era a bordo di un’autovettura), Davi’ Francesco (uomo d’onore di una famiglia che in questo momento non ricordo, e di mestiere pasticcere), Rotolo Antonino, Inzerillo Santino ed altri che in questo momento non ricordo.

………

Alcuni mesi dopo l’omicidio del Mattarella, io mi recai con Bontate Stefano e Federico Salvatore in una villetta, intestata (almeno cosi’ mi sembra di ricordare) ad un Inzerillo zio di Salvatore.”

Le dichiarazioni di Francesco Marino Mannoia in ordine a questo secondo incontro, cui egli aveva personalmente partecipato, saranno successivamente riprese ed esaminate in maniera piu’ analitica.

Soffermando quindi l’attenzione sulle dichiarazioni “de relato” relative al primo incontro – la fonte esclusiva delle conoscenze del Marino Mannoia è Stefano Bontate – giova subito evidenziare che il collaborante, assai generico sull’epoca del fatto – collocata tra la primavera e l’estate del 1979, dopo l’omicidio di Michele Reina – inizialmente non è stato in condizione soprattutto di precisare il luogo ove detto incontro si sarebbe svolto essendosi limitato ad affermare che Andreotti “scese a Palermo” e che la riunione avvenne in una “riserva di caccia sita in una località della Sicilia” che egli tuttavia non ricordava, aggiungendo comunque che si trattava “della stessa riserva di caccia in cui altre volte si erano recati Bontate Stefano, i cugini Salvo, Calderone Giuseppe e Pizzuto Gigino”.

Proprio la genericità dei riferimenti del Marino Mannoia sul luogo dell’incontro aveva indotto il P.M. ad estendere i suoi accertamenti a tutte le riserve di caccia esistenti in Sicilia frequentate da esponenti di Cosa Nostra producendo anche ampia documentazione (cfr. doc. nn. 1993, 1994 e 217 della lista depositata dal P.M. il 7 maggio 1996).

Orbene, Francesco Marino Mannoia al dibattimento (novembre del 1996) è riuscito a ricordare ben due particolari di quella conversazione con Bontate, risalente al 1979, che tre anni e mezzo prima (aprile del 1993) non rammentava, e cioè due dati essenziali proprio per la localizzazione del luogo del presunto incontro, suscitando le inevitabili contestazioni della difesa sull’inspiegabile ritorno di questo ricordo dei frammenti di una episodica confidenza di oltre 17 anni prima: la proprietà della riserva di caccia e la zona ove la stessa insisteva.

E che si sia trattato di una occasionale ed isolata confidenza, risalente al 1979, è confermato dal fatto che Francesco Marino Mannoia non ha mai riferito di essere tornato sull’argomento con Stefano Bontate il quale pertanto gli parlo’ di quell’incontro soltanto in quell’unica riferita occasione.

Nel corso delle udienze del 4 e 5 novembre 1996 egli dunque ha riferito per la prima volta che la riserva di caccia di cui aveva parlato era di proprietà dei Costanzo e si trovava nel “catanese”.

Rispondendo alle domande del P.M., Francesco Marino Mannoia ha infatti dichiarato (udienza del 4 novembre 1996 pag.61):

Pm Scarpinato: Signor Mannoia, affrontiamo un altro argomento. Lei, sa quali sono state le motivazioni dell’omicidio dell’Onorevole Piersanti Mattarella? Cosa sa su questo omicidio?

Mannoia F.: le motivazioni dell’omicidio, dell’Onorevole Mattarella?

Pm Scarpinato: sì.

Mannoia F.: le motivazioni sono state quelle che in un primo tempo l’Onorevole Mattarella, purtroppo, non lesinava favori a Bontade, ai Salvo, in un secondo tempo, voleva scrollarsi di dosso queste amicizie scomode, e aveva manifestato chiaramente, al Nicoletti le sue intenzioni di scrollarsi di dosso questa amicizia. Successivamente, addirittura, il Nicoletti riferì al Bontade, che Mattarella era andato a lamentarsi a ROMA, per, appunto, per scrollarsi di dosso queste amicizie. Voleva… voleva portare un rinnovamento, voleva

cambiare, diciamo, tutto il sistema della democrazia, portare un rinnovamento, appunto, scrollandosi di dosso queste amicizie.

Pm Scarpinato: Mattarella quindi, se ho capito bene, si era rivolto a ROMA? Sa a chi si era rivolto a ROMA?

Mannoia F.: no, questo io non lo so.

Pm Scarpinato: andiamo avanti. E quindi cosa succede?

Mannoia F.: allora da lì, naturalmente, è scaturito il bisogno di informare, di riunirsi tutta la commissione, per esaminare questo atteggiamento del… del Mattarella. Riunita la commissione, diciamo, decisero di, diciamo, si decise di far venire il Senatore Andreotti a Palermo. Quando io dico a Palermo, intendo in Sicilia.

Pm Scarpinato: e sa se il Senatore Andreotti venne in Sicilia?

Mannoia F.: io appresi da Stefano Bontade, verso la primavera, estate del ’79, che vi fu un incontro, in una tenuta di caccia, una tenuta di caccia, la stessa tenuta di caccia, il quale Stefano Bontade insieme ai cugini Salvo e a Pippo… a Giuseppe Calderone, si recava spesso. Fu un incontro fra Stefano Bontade, l’Onorevole Andreotti, Salvo Lima, Nicoletti, Gaetano Fiore ed altri, fra i quali altri uomini d’onore.

Pm Scarpinato: a questo incontro erano presenti i cugini Salvo? A questo incontro nella riserva di caccia.

Mannoia F.: sì. Sì, erano presenti l’Onorevole Lima, Nicoletti, i cugini Salvo, Stefano e Gaetano Fiore, ed altri uomini d’onore.

Pm Scarpinato: lei sa di chi era questa riserva di caccia?

Mannoia F.: è la stessa riserva di caccia che il Bontade mi ha invitato diverse volte ad andarci, per provare i cani, andare a caccia, ma io non ero appassionato di caccia e quindi non ci sono mai andato. Lui spesso ci si recava anche con Gigino Pizzuto, e con i cugini Salvo, era la riserva di caccia dei Costanzo.

Pm Scarpinato: dei Costanzo. E i Costanzo sa chi sono?

Mannoia F.: i Costanzo sono degli imprenditori catanesi che sono… erano nelle mani di… di Pippo Calò e di Pippo CALDERONE e anche buoni rapporti con Stefano Bontade.

Pm Scarpinato: ho capito. Senta, quand’è che lei apprende, intanto da chi, apprende di questo incontro nella riserva di caccia e quando lo apprende.

Mannoia F.: io apprendo di questo incontro alla riserva di caccia, successivamente, dopo, lo stesso giorno, l’indomani. Io vorrei, purtroppo è passato molto tempo, e vorrei essere più preciso possibile per quanto concerne sia i miei ricordi, soprattutto i miei ricordi, e soprattutto quello che io già ho dichiarato.

Pm Scarpinato: e…

Mannoia F.: io, io ho credu… credo di ricordare che in quella riunione, vi erano anche i Salvo. Spero di non avere ricordato male.

Pm Scarpinato: io le ho chiesto, chi è che le ha raccontato di questa riunione?

Mannoia F.: personalmente Stefano Bontade.

Pm Scarpinato: ecco, quanto tempo dopo che si era verificata questa riunione nella riserva di caccia, Stefano Bontade ne parlò a lei?

Mannoia F.: pochissimo tempo dopo.

Pm Scarpinato: cosa intende per pochissimo?

Mannoia F.: pochissimo, intendo lo stesso giorno o l’indomani.

Pm Scarpinato: ecco, vuole riferire al Tribunale, facendo il massimo sforzo di ricostruzione della memoria, che cosa le disse esattamente Stefano Bontade? Che cosa era accaduto nel corso di quella riunione? Che cosa era stato detto ad Andreotti e che cosa Andreotti aveva detto agli altri?

Mannoia F.: in quella riunione avevano… avevano manifestato naturalmente, dopo che specialmente si era saputo, Stefano fu informato dal Nicoletti che il… l’Onorevole, diciamo, Pio La Torre e l’Onorevole Mattarella si era andato a lamentare a ROMA, appunto, volevano che, diciamo, l’Onorevole

Andreotti, intervenisse su questa situazione, perché il Bontade nonostante era una persona, diciamo, che non trascurava niente, non era certamente un sanguinario, non voleva fare cose di cui certamente non era gradito. E allora, in quella occasione, chiesero appunto, all’Onorevole Andreotti di volere intervenire su quella situazione, tanto che lui mi disse, con una… con una frase abbastanza un po’, diciamo, alterato, dice: “staremo a vedere”.

Pm Scarpinato: chi glielo disse “staremo a vedere”?

Mannoia F.: Stefano Bontade.

Pm Scarpin: ho capito. Senta…

Presidente: ma, scusi Pubblico Ministero. Insomma che cosa avrebbe dovuto fare l’Onorevole Andreotti?

Mannoia F.: l’Ono… diciamo, l’Onorevole… la riunione è avvenuta per, diciamo, far presente all’Onorevole Andreotti, il comportamento del… del…

Presidente: del Mattarella.

Mannoia F.: …del Mattarella. E quindi, stare a vedere cosa sarebbe accaduto, se avrebbe intervenuto per fare cambiare questo modo di comportarsi del Mattarella.

Pm Scarpinato: questa riunione nella riserva di caccia, avvenne prima o dopo dell’omicidio di Michele REINA che avvenne nel marzo del ’79?

Mannoia F.: dopo.

Pm Scarpin: dopo.

Mannoia F.: siamo nel.. primavera-estate del ’79.

Pm Scarpinato: ecco, dopo questa riunione nella riserva di caccia, che cosa accade? Lei ha detto che Stefano Bontade le disse: “staremo a vedere”. E che cosa accade dopo?

Mannoia F.: dopo, dopo qualche mese, io so che, sempre da Stefano Bontade, che no… la situazione, diciamo, precipitò, nel senso che hanno riunito la commissione e deliberato definitivamente la decisione di eliminare Mattarella.

Pm Scarpinato: lei sa all’interno, se all’interno della commissione vi furono voci discordanti oppure se fu una decisione unanime?

Mannoia F.: la decisione fu unanime, però il Bontade non era felice per questa scelta.

Pm Scarpinato: perché non era felice?

Mannoia F.: il Bontade era di un altro stampo, un altro… un’altra natura, anche se lui era criminale come tutti… tutti noi. E, lui, avrebbe voluto che la cosa si potesse cercare di risolvere magari, con il tempo diversamente, ma i fatti di quel momento hanno portato a questa decisione unanime, appunto, a de… a deliberare l’eliminazione del Mattarella.

Pm Scarpinato: senta, Stefano Bontade le disse se in ordine alla decisione di uccidere Piersanti Mattarella, i cugini Salvo avevano espresso una loro opinione? Avevano espresso la loro volontà?

Mannoia F.: no, i cugini Salvo, non hanno avuto certamente un ruolo, né all’interno della commissione, e all’esterno io non lo so, diciamo, che posizione hanno preso.

Presidente: quindi la commissione era presieduta in quel periodo da Badalamenti allora?

Mannoia F.: sì.

Presidente: era questo il periodo? O no? O non più di Badalamenti?

Pm Scarpin: chi c’era in commissione in questo periodo?

Mannoia F.: no, quando parliamo già di questa riunione, allora…

Presidente: sì.

Mannoia F.: …il capomanda… il capo commissione è Michele… Michele Greco. Gaetano Badalamenti è capo commissione nel periodo dell’Onorevole Aldo Moro.

Pm Scarpinato: senta, per sussidio alla sua memoria, il 3 aprile del 1993, quando lei ha raccontato questo episodio al Pubblico Ministero, nel corso di una commissione rogatoria…

Mannoia F.: no, io, senta, mi scusi Avvocato…

Pm Scarpinato: sì.

Mannoia F.: …erano certamente d’accordo i cugini Salvo, a questa, diciamo, situazione, ma non so quale ruolo abbiano avuto di specifico loro, in questa decisione.

Pm Scarpinato: ho capito. Che i cugini Salvo erano d’accordo, lei lo ha saputo da qualcuno o è una sua deduzione?

Mannoia F.: no, Stefano mani… manifestò chiaramente, diciamo, la… la decisione, la volontà di tutti coloro che hanno deciso questo.

Pm Scarpinato: e le disse espressamente che i cugini Salvo erano d’accordo?

Mannoia F.: sì, ma non hanno avuto ruolo all’interno della commissione…

Pm Scarpinato: certo.

Mannoia F.: …decisionale.

 

Il presidente a quell’incontro fotografato da Letizia Battaglia

A conclusione della campagna elettorale per le elezioni europee del 1979, nelle quali era candidato l’on. Salvo Lima, il 7 giugno 1979 si svolse un comizio al cinema Nazionale di Palermo, con la partecipazione del sen. Andreotti (allora Presidente del Consiglio dei Ministri).

Il sen. Andreotti, che era giunto all’aeroporto di Palermo alle ore 17,18 con un volo aereo proveniente da Roma, tenne presso il cinema Nazionale un discorso di sostegno alla candidatura dell’on. Lima (v. la deposizione resa dal teste Pulizzotto all’udienza del 22 maggio 1996).

Dalla documentazione fotografica acquisita e dalla deposizione resa all’udienza del 20 giugno 1996 dal teste on. Attilio Ruffini (il quale ha riconosciuto diverse persone effigiate nelle fotografie) si evince che al comizio erano presenti, tra gli altri, Vito Ciancimino ed Antonino Salvo.

Antonino Salvo si trovava in piedi, nella platea del cinema (v. documento n. 204, fotografia n.2). Invece Vito Ciancimino si trovava sul palco, vicino al sen. Andreotti, ed esprimeva il proprio consenso al discorso del Presidente del Consiglio sorridendo e plaudendo alle sue parole (v. documento n. 137).

La partecipazione di Antonino Salvo alla manifestazione elettorale esprimeva chiaramente il suo sostegno alla candidatura dell’on. Lima per il Parlamento Europeo.

Dopo il comizio, il sen. Andreotti si recò presso l’Hotel Zagarella, nel territorio di Santa Flavia, dove prese parte, come ospite d’onore, ad un incontro conviviale, cui presenziarono circa trecento persone; in tale occasione era presente anche Antonino Salvo; il banchetto ebbe inizio intorno alle ore 21 e si protrasse per circa 2 ore e 30 minuti (come si evince dalla deposizione resa all’udienza del 10 ottobre 1996 dal teste Vittorio De Martino, che nel 1979 era direttore e gestore dell’albergo).

La presenza del sen. Andreotti, insieme ad Antonino Salvo, nel suddetto albergo, è attestata da due immagini fotografiche tratte da altrettanti negativi consegnati in data 19 novembre 1993 dalla fotografa palermitana Letizia Battaglia a personale della Sezione Anticrimine di Palermo del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri (documento n. 137).

In particolare, la prima fotografia (tratta dal negativo n.14) raffigura il sen. Andreotti, con accanto l’on. Lima, nella hall dell’albergo; immediatamente dietro l’imputato, sulla sinistra, è riconoscibile Antonino Salvo.

Nella seconda fotografia (tratta dal negativo n.23) il sen. Andreotti è ritratto mentre si incammina all’interno dell’albergo, insieme ad Antonino Salvo, all’on. Attilio Ruffini (allora Ministro della Difesa), all’on. Piersanti Mattarella (allora Presidente della Regione Siciliana), ed all’on. Salvo Lima.

Non è rimasto dimostrato in termini di certezza che al suddetto incontro conviviale abbia preso parte anche Ignazio Salvo.

In proposito, deve evidenziarsi come gli unici testimoni che hanno menzionato la presenza di Ignazio Salvo – e cioè Giovanni Mazzella (allora in servizio presso l’Hotel Zagarella come secondo maitre) e il dott. Girolamo Di Giovanni (allora Prefetto di Palermo) – abbiano mostrato notevoli incertezze mnemoniche proprio su tale punto.

In particolare, Giovanni Mazzella, sentito dal P.M. in data 9 agosto 1993, aveva dichiarato: “Nel periodo in cui ho lavorato allo Zagarella, ricordo di un buffet, rimastomi particolarmente impresso per il notevole spiegamento di forze di polizia. Tale spiegamento era dovuto alla presenza del Sen. Giulio Andreotti. Ricordo che allo stesso buffet erano presenti anche Salvo Ignazio e Salvo Antonino, però non sono in grado di dire se i Salvo e il Sen. Andreotti si fossero incontrati prima o se sedessero in quella occasione allo stesso tavolo”.

Lo stesso Mazzella, tuttavia, nella deposizione testimoniale resa all’udienza del 29 ottobre 1996, ha sostenuto di non ricordare se i cugini Salvo fossero presenti. Conseguentemente, il verbale di sommarie informazioni rese dal Mazzella in data 9 agosto 1993 è stato acquisito al fascicolo per il dibattimento, nelle parti utilizzate dal P.M. per contestare la sua deposizione dibattimentale.

Le originarie affermazioni del Mazzella sono, però, rimaste prive di riscontro in elementi di convincimento dotati di sicura efficacia dimostrativa. In proposito, occorre premettere che il teste Di Giovanni, all’udienza del 26 settembre 1996, rispondendo alle domande postegli dal P.M., ha affermato che al ricevimento erano presenti entrambi i cugini Salvo, i quali si trovavano all’ingresso dell’albergo al momento dell’arrivo del sen. Andreotti.

Tuttavia il medesimo teste, sentito dal P.M. in data 17 dicembre 1993, aveva riferito quanto segue: “al ricevimento dell’hotel Zagarella ricordo bene la presenza di uno dei cugini Salvo, e precisamente di quello più robusto, con pochi capelli, cioè di Nino Salvo. Non ricordo, invece, se fosse presente Ignazio Salvo”.

Essendogli state contestate dalla difesa le suesposte dichiarazioni, il dott. Di Giovanni ha confermato le affermazioni compiute in sede dibattimentale, senza però fornire una logica spiegazione della diversità del ricordo da lui manifestato, a distanza di quasi tre anni dalla prima deposizione, in ordine alla presenza di Ignazio Salvo. Sul punto, infatti, il dott. Di Giovanni ha specificato che il proprio attuale ricordo nasceva dalla visione di alcune fotografie, […].

In proposito, non può trascurarsi di considerare che nel corso dell’istruttoria dibattimentale non è stata acquisita alcuna fotografia che ritragga Ignazio Salvo all’ingresso dell’albergo al momento dell’arrivo del sen. Andreotti. Ne consegue che possono sorgere dei dubbi sulla esattezza del ricordo manifestato dal teste in sede dibattimentale, non essendo possibile individuare ciò che, dopo la data del 17 dicembre 1993, ha suscitato nella sua memoria una diversa ricostruzione dell’episodio.

Peraltro, lo stesso teste, a seguito delle contestazioni mossegli dalla difesa, ha evidenziato la propria incertezza mnemonica, precisando: “può darsi che allora mi sbaglio adesso, non glielo so dire, io non me lo ricordo”.

Anche il verbale delle dichiarazioni rese dal Di Giovanni (quale persona informata sui fatti) in data 17 dicembre 1993 è stato pertanto acquisito al fascicolo per il dibattimento, nelle parti utilizzate dalla difesa per contestare la sua deposizione testimoniale. La evidente ed inspiegabile difformità di contenuto che si riscontra tra le diverse dichiarazioni del teste impedisce di attribuire preminente valore dimostrativo alla sua deposizione dibattimentale.

Gli altri testi escussi nel corso del dibattimento non hanno manifestato alcun preciso ricordo in ordine all’eventuale presenza di Ignazio Salvo, sulla quale, quindi, non è stato acquisito un quadro probatorio dotato del carattere della certezza.

Dall’istruttoria dibattimentale sono, comunque, emersi significativi elementi di convincimento in merito alle modalità dell’incontro tra il sen. Andreotti e Antonino Salvo. All’udienza del 10 ottobre 1996 il teste De Martino ha riferito che Antonino Salvo, dopo avere dato il benvenuto al sen. Andreotti, e dopo avergli stretto la mano, si diresse con quest’ultimo verso il grande salone dell’albergo; quindi, mostrando al sen. Andreotti il salone, Antonino Salvo profferì le parole: “Eccellenza, questa è una sala da 1000 persone”. Il teste ha precisato di avere visto l’imputato insieme con Antonino Salvo per sette o otto minuti, ed ha chiarito che con loro vi erano altre persone. Sulla base dell’incontro tra il sen. Andreotti e Antonino Salvo, il De Martino ebbe “la certezza che si conoscessero”. […].

Del tutto analogo fu il convincimento sviluppato dal teste Sebastiano Conte (in servizio presso l’Hotel Zagarella come secondo barman nel 1979), il quale all’udienza del 18 febbraio 1998 ha dichiarato di avere visto che, dopo il convivio, Antonino Salvo ed il sen. Andreotti discendevano le scale, raggiungevano il porticato e si dirigevano verso la piscina dell’albergo; in questa circostanza, Antonino Salvo ed il sen. Andreotti parlavano tra di loro ed erano seguiti, a distanza di uno o due metri, da sei o sette persone; il Conte, che prestava servizio nel bar (ubicato sotto il porticato), si avvicinò ad Antonino Salvo per chiedere se gradivano un caffè o altro; Antonino Salvo rispose negativamente con un gesto della mano, ed il Conte quindi si allontanò; Antonino Salvo ed il sen. Andreotti proseguirono quindi nel loro percorso. Il Conte ritenne che Antonino Salvo ed il sen. Andreotti si conoscessero avendoli visti in atteggiamento amichevole.

[…] Il contrasto tra le deposizioni rispettivamente rese dai testi De Martino e Conte nella fase delle indagini e nel corso del dibattimento appare riconducibile ad una progressiva precisazione dei ricordi, per effetto di un graduale approfondimento mnemonico su un fatto accaduto molto tempo prima e non più richiamato, medio tempore, alla loro attenzione. La ricchezza di dettagli e la coerenza logica delle dichiarazioni rese dai suddetti testi nel corso del dibattimento ne denotano, comunque, la piena attendibilità ed il preminente valore dimostrativo.

Gli elementi probatori sopra riassunti dimostrano, dunque, che Antonino Salvo, dopo avere presenziato al comizio svoltosi all’interno del cinema Nazionale di Palermo (nel quale il sen. Andreotti tenne un discorso di sostegno alla candidatura dell’on. Lima), si recò a Santa Flavia, accolse l’imputato all’ingresso dell’Hotel Zagarella dandogli il benvenuto e stringendogli la mano, lo accompagnò presso il grande salone dell’albergo rimanendo con lui per sette o otto minuti insieme ad altre persone, gli mostrò la sala illustrandone la capienza, e, dopo il convivio, si diresse verso la piscina dell’albergo conversando con l’imputato, seguito a breve distanza da altri soggetti.

L’atteggiamento manifestato, in due diversi momenti dell’incontro conviviale, dal sen. Andreotti e da Antonino Salvo, indusse il De Martino ed il Conte a ritenere che i medesimi soggetti si conoscessero già.

Dalle risultanze dell’istruttoria dibattimentale si desume altresì che il ricevimento tenutosi presso l’Hotel Zagarella in occasione della visita del sen. Andreotti fu ordinato da Antonino Salvo, il quale ne sostenne anche le spese.

Ciò si evince dalla deposizione resa all’udienza del 22 ottobre 1996 dal teste Giovan Giuseppe Amalfitano, il quale ha riferito che, nel periodo in cui si svolse il predetto incontro conviviale, egli prestava servizio presso l’Hotel Zagarella come secondo maitre, ed ebbe quindi occasione di vedere il pro-forma (cioè l’ordine di servizio) relativo alla preparazione del banchetto. Ha precisato che nel pro-forma si faceva espresso riferimento alla visita del sen. Andreotti in Sicilia e si specificava che il banchetto era stato ordinato da Antonino Salvo. Ha evidenziato che quest’ultima indicazione corrispondeva anche all’individuazione del soggetto che pagava le spese del banchetto (“chi è che paga è quello lì che ordina il banchetto”).

Coerente con queste conclusioni è il complessivo contenuto delle dichiarazioni rese dal teste De Martino, il quale, pur affermando di non ricordare con certezza se il costo del banchetto sia stato pagato da Antonino Salvo oppure dalla Democrazia Cristiana, ha chiarito che i partiti politici erano soliti versare con anni di ritardo il corrispettivo delle manifestazioni organizzate per loro conto presso l’Hotel Zagarella, ha ammesso (sia pure a seguito delle contestazioni mossegli dal P.M.) di non serbare ricordo del fatto che il credito relativo alla manifestazione del 7 giugno 1979 sia entrato in sofferenza, ed ha aggiunto che il banchetto in questione gli fu commissionato esclusivamente da Antonino Salvo. […].


La cantata di Gaspare Mutolo sugli uomini d’onore “riservati” di Salemi

In ordine all’affiliazione dei cugini Salvo all’illecito sodalizio, alla riservatezza da cui essa era circondata, ed al ruolo disimpegnato da Antonino Salvo nell’interesse di “Cosa Nostra”, si traggono significativi elementi di convincimento dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, esaminato all’udienza del 30 maggio 1996.

Il Mutolo ha riferito che tra il 1981 ed il 1982 Rosario Riccobono (capo del “mandamento” di Partanna Mondello) gli presentò ritualmente, nel proprio villino sito a Partanna Mondello nella zona di “Santocanale”, Ignazio Salvo.

Il Mutolo ha precisato che già in precedenza egli aveva sentito parlare di Antonino e di Ignazio Salvo, i quali però non gli erano mai stati presentati ritualmente. Si trattava, infatti, di “uomini d’onore” riservati, i quali venivano presentati soltanto ad alcuni degli associati.

Quando fu presentato al Mutolo, invece, “Ignazio Salvo non era più riservato”.

Nel corso dell’incontro tenutosi nel predetto villino, Riccobono chiese ad Ignazio Salvo di interessarsi riguardo all’esito che avrebbe potuto avere “a Roma” il processo per l’omicidio Cappiello (nel quale era imputato anche il fidanzato della figlia del Riccobono, Michele Micalizzi, era intervenuta una condanna nel giudizio di primo grado, era stata emessa una sentenza di assoluzione nel giudizio di appello, ed era pendente il ricorso per cassazione). Ignazio Salvo rispose: «non ti preoccupare perchè anche a giorni mi devo vedere con Salvo Lima a Roma e dopo si parla con l’On. Andreotti e ci pensa lui, non ci sono problemi».

Ignazio Salvo, dunque, avrebbe dovuto sottoporre il caso all’on. Lima, il quale, a sua volta, avrebbe dovuto rivolgersi all’on. Andreotti.

Nella medesima occasione, il Mutolo chiese ad Ignazio Salvo di interessarsi per un giudizio pendente davanti alla Corte di Appello di Palermo, a seguito di una sentenza di primo grado che lo aveva condannato alla pena di sei mesi di reclusione. Ignazio Salvo rassicurò il Mutolo, il quale venne poi assolto.

Il processo per l’omicidio Cappiello venne trattato in Cassazione dopo la morte del Riccobono, scomparso il 30 novembre 1982. La Suprema Corte annullò la sentenza di assoluzione, e nel successivo giudizio di rinvio venne confermata la condanna inflitta nel giudizio di primo

grado.

Il Mutolo ha inoltre evidenziato che, dopo la morte di Stefano Bontate, i Salvo assunsero il compito di mantenere i contatti con l’on. Lima anche per trasmettergli le istanze provenienti da altri “uomini d’onore”, ferma restando la possibilità che taluni esponenti di vertice di “Cosa Nostra” come Salvatore Riina conferissero direttamente con il predetto uomo politico. […].

Con riguardo alla credibilità soggettiva del Mutolo, è sufficiente richiamare la positiva valutazione formulata nel capitolo relativo ai rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona. Le circostanze riferite dal collaborante in merito ai tentativi di “aggiustamento” del processo per l’omicidio del Cappiello e del processo instaurato a carico dello stesso Mutolo sono caratterizzate da precisione e ricchezza di dettagli per quanto attiene:

– all’incontro tra Rosario Riccobono ed Ignazio Salvo;

– all’impegno, assunto da quest’ultimo, di conferire pochi giorni dopo, a Roma, con l’on. Salvo Lima affinché costui, a sua volta, prendesse contatto con il sen. Andreotti allo scopo di interferire sull’esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte di Cassazione, inducendola a confermare la pronunzia assolutoria emessa in grado di appello;

– all’interessamento promesso da Ignazio Salvo relativamente al processo pendente a carico del Mutolo.

La circostanza che inizialmente il collaborante non abbia fatto riferimento al sen. Andreotti è spiegabile tenuto conto della sua espressa riserva di parlare più diffusamente dell’argomento. La successiva integrazione delle contenuto delle sue dichiarazioni era, dunque, già stata preannunziata nella fase iniziale.

Va, poi, osservato che, nel caso in esame, le aggiunte successive non si pongono in un rapporto di alternatività logica con le originarie affermazioni del collaborante, ma ne costituiscono un completamento.

Le indicazioni fornite dal Mutolo, con riguardo allo svolgimento del processo per l’omicidio dell’agente di P.S. Gaetano Cappiello, sono coerenti con i dati desumibili dalla documentazione prodotta dalla difesa dell’imputato (doc. nn. 18, 19, 20), che evidenzia che:

– con sentenza del 20 aprile 1977 la Corte di Assise di Palermo dichiarò Michele Micalizzi, Salvatore Davì ed Antonino Buffa colpevoli del delitto di omicidio aggravato, commesso in danno della guardia di P.S. Gaetano Cappiello, e di altri reati;

– il Micalizzi, il Davì ed il Buffa furono assolti, per insufficienza di prove, dall’imputazione di omicidio con sentenza emessa il 6 ottobre 1979 dalla Corte di Assise di Appello di Palermo;

– quest’ultima pronunzia fu annullata con rinvio dalla Corte di Cassazione con sentenza del 21 marzo 1983;

– nel giudizio di rinvio la Corte di Assise di Appello di Palermo, con sentenza del 24 maggio 1985, confermò la pronunzia di condanna adottata nel primo grado di giudizio;

– il ricorso proposto dagli imputati avverso la sentenza del 24 maggio 1985 fu rigettato dalla Corte di cassazione in data 5 maggio 1986.

Nessun elemento specifico è stato, invece, esposto dal collaborante con riguardo alle modalità di esplicazione dei tentativi di “aggiustamento”.

Il Mutolo, infatti, non è stato in grado di riferire se Ignazio Salvo abbia effettivamente trasmesso la predetta segnalazione all’on. Lima ed al sen. Andreotti, ed ha aggiunto che dopo la morte del Riccobono non vi fu alcun interessamento.

Il collaborante, inoltre, non ha chiarito le modalità attraverso le quali Ignazio Salvo si sarebbe adoperato per interferire sul processo instaurato nei confronti dello stesso Mutolo.

La valenza dimostrativa delle suesposte dichiarazioni va quindi circoscritta essenzialmente all’adesione dei Salvo all’illecito sodalizio, alla riservatezza mantenuta – per un determinato periodo – in ordine alla loro affiliazione, all’interessamento promesso da Ignazio Salvo per la favorevole soluzione delle predette vicende processuali, ed alla circostanza che Ignazio Salvo, nei colloqui con altri esponenti mafiosi, esplicitasse la propria possibilità di trasmettere le loro istanze all’on. Lima e, per il tramite di quest’ultimo, al sen. Andreotti.

Va comunque rilevato che il contegno tenuto in questa occasione da Ignazio Salvo non appare suscettibile di escludere la sussistenza di rapporti diretti tra di lui ed il sen. Andreotti, essendo finalizzato semplicemente ad avvalersi dell’autorevole intermediazione dell’on. Lima per esercitare una più incisiva pressione in vista della soluzione di uno specifico problema giudiziario, che interessava in modo particolare al Riccobono a causa del coinvolgimento del fidanzato della propria figlia.

Ciò posto, deve osservarsi che sulla base delle deposizioni rese in piena autonomia dai predetti collaboratori di giustizia è rimasto dimostrato che:

– i cugini Salvo erano organicamente inseriti nell’associazione mafiosa “Cosa Nostra” sin da epoca anteriore al 1976 (cfr. le dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Di Carlo);

– Ignazio Salvo era “sottocapo” della “famiglia” di Salemi (secondo quanto hanno riferito il Buscetta, il Calderone, il Cucuzza, il Sinacori, il Pennino);

– Antonino Salvo per un certo periodo rivestì la carica di “capodecina” della stessa cosca mafiosa (come si evince dalle affermazioni del Buscetta, del Calderone, del Cucuzza);

– i cugini Salvo in un primo tempo erano particolarmente vicini ad esponenti dello schieramento “moderato” di “Cosa Nostra”, come Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate (cfr. le dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Cucuzza, del Sinacori, del Marino Mannoia, del Di Carlo);

– dopo l’inizio della “guerra di mafia”, i cugini Salvo passarono dalla parte dello schieramento “vincente”, che faceva capo al Riina (cfr. le dichiarazioni del Cucuzza, del Sinacori, del Marino Mannoia, del Di Carlo);

– diversi esponenti di “Cosa Nostra” si rivolsero ai Salvo per cercare di ottenere una favorevole soluzione di vicende processuali (come si evince dalle sopra riassunte dichiarazioni del Sinacori, del Di Carlo, del Mutolo, nonché da quelle di altri collaboranti, menzionate in altri capitoli);

– i cugini Salvo manifestavano ad altri esponenti mafiosi i loro stretti rapporti con l’on. Lima (come si evince dalle dichiarazioni del Buscetta, del Calderone, del Di Carlo, del Pennino, del Mutolo);

– i cugini Salvo, nei loro colloqui con diversi esponenti mafiosi, evidenziavano i loro rapporti con il sen. Andreotti (come si desume dalle indicazioni fornite dal Buscetta, dal Di Carlo, dal Pennino);

– per alcuni anni, l’appartenenza dei Salvo a “Cosa Nostra” venne resa nota solo ad alcuni degli associati (come emerge dalle precisazioni compiute dal Marino Mannoia, dal Di Carlo, dal Mutolo).