FRANCESCO MIRABELLA lo “sparviero” – L’intervista

 

 

FRANCESCO MIRABELLA, operativo nel Reperto Scorte della Questura di Palermo negli anni delle stragi mafiose ha vissuto in prima persona esperienze straordinarie a fianco di numerose personalità a rischio spesso dovendo anche svolgere il non facile ruolo di Capo scorta.
Solo per citarne alcune: i magistrati Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Domenico Signorino Domenico, Luciano Violante, Libertino Russo, Gianfranco Garofalo, Giusto  Sciacchitano, Pietro Giammnaco , uomini politici  tra cui il ministro Calogero Mannino (con lui in foto), Vito Riggio, Rosario Nicoletti, Sergio Mattarella, Rino Nicolosi .
La sua carriera nella Polizia di Stato inizia nel 1974, frequenta a Trieste la Scuola Polizia distaccamento Duino 8ª Compagnia, nel  ‘75, a fine corso, arriva la prima assegnazione al 10º Reparto Mobile di Vibo Valenzia. Da settembre a novembre del ‘76 é al 3º nucleo PG Anticrimine  a dicembre dello stesso anno viene trasferito alla Squadra Mobile Reggio Calabria. Nell’aprile del ‘77 passa al Commissariato di Gioia Tauro.
In pieno rapimento Moro, Aprile 1978,  viene aggregato alla Questura di Torino come rinforzo all’Antiterrorismo e viene incaricato di scortare gli avvocati, minacciati di morte,  nominati d’ufficio legali dei terroristi BR. Dopo un mese e mezzo di questa esperienza torna  in sede a Gioia Tauro e presenta domanda di trasferimento per una città del Nord per poter continuare ad operare nell’ambito  dell’antiterrorismo. Passa qualche mese quando il Ministero dell’Interno, accogliendo la sua richiesta lo trasferisce alla Questura di Como dove viene assegnato all’UIGOS (attuale DIGOS)  Ufficio Investigazioni Operazioni Speciali.
Rimane a Como fino al settembre del 1982 quando a seguito della richiesta di rinforzi  richiesti dal Generale Dalla Chiesa, prefetto di Palermo, in piena guerra di mafia, il Ministero dell’Interno, in virtù della esperienza acquisita, lo trasferisce d’ufficio alla Questura di Palermo unitamente ad altri 300 operatori della sicurezza in possesso di varie specializzazioni.
Tre giorni prima dell’entrata in servizio di questi 300 uomini che furono finalmente accordati al Prefetto, Dalla Chiesa viene assassinato insieme alla moglie e l’agente di scorta.
Al Nucleo Scorte e  Sicurezza della Digos di Palermo il suo primo servizio scorta lo effettua a tutela del Segretario regionale della Democrazia Cristiana Rosario Nicoletti che si suiciderá improvvisamente il 17 novembre del 1984 lanciandosi dal quarto piano della sua casa di via Lincoln a Palermo.
A distanza di un mese e dopo l’incontro con Francesco Cardillo della Sezione Omicidi di Palermo che gli chiede di lavorare con lui, Mirabella viene trasferito  alla Omicidi allora diretta da Francesco Accordino. Dopo sei mesi rientra, siamo agli inizi dell’83, Mirabella rientra al Servizio Scorte in cui rimane fino al suo pensionamento che avviene nel 2012.


Francesco, il dottor Paolo Borsellino è fra le numerose personalità che nella tua lunga carriera di poliziotto hai scortato.
Fino al 4 agosto dell’86, data in cui assunse a Marsala l’incarico di  Procuratore capo, la protezione del dottor Borsellino era affidata ai Carabinieri. Giunto a Marsala, durante tutta la sua settimana lavorativa, veniva scortato dal personale della squadra mobile della Questura di Trapani mentre nei fini settimana, quando raggiungeva la sua famiglia a Palermo, gli operatori del Reparto Scorte della Questura di Palermo lo “aggangiavavano” ai confini della provincia dando così il cambio ai colleghi di Trapani. Stessa modalità, in termini rovesciati, quando il magistrato lasciava Palermo per tornare a Marsala

Qual era il vostro rapporto personale e professionale con il dottor Borsellino?
Il dottor Borsellino aveva un grande rispetto per il nostro lavoro.
Personalmente l’ho scortato diverse volte. La prima volta che ebbi modo di conoscerlo fu al “Bunkerino”, nel corridoio dell’Ufficio Istruzione di Palermo. Un’area blindata che condivideva con il suo amico e collega Giovanni Falcone che, in quel periodo,  scortavo.
Il dottor Borsellino era una persona cortese e riservata. Si poneva sempre in maniera garbata. Era comunque attento alla sua sicurezza ed alla nostra. 

Sei stato anche il suo capo scorta?
Con il dottor Borsellino mi è capitato alcune volte di essere il suo capo scorta ma non mi sono mai ritenuto il suo capo scorta.

Come mai ?
Perché aveva già i suoi capi scorta che stabilmente esercitavano tale funzione.  Io, in quel ruolo,  subentravo  di tanto in tanto solo quando il collega addetto era in ferie o assente per malattia. In tali circostanze l’Ufficio Scorte individuava il sostituto sulla base dei requisiti professionali adeguati e con la dovuta esperienza e in grado di gestire il dispositivo di sicurezza.

La scorta assegnata al dottor Borsellino di che livello era?
Di primo livello anche se, prima di Capaci,  non era rafforzata come quella del dottor Falcone considerato maggiormente a rischio anche a causa dei fascicoli trattati: Spatola ecc.
Finché visse il dottor Falcone, scortato e ben tutelato, credo il Dottor Borsellino fosse più tranquillo rispetto ai 57 giorni che seguirono dopo la strage di Capaci. Personalmente, nei giorni dopo Capaci, lo incontrai solo in occasione del funerale del dottor Falcone o casualmente in occasione di eventi pubblici.

Un ricordo, un aneddoto che puoi raccontarci?
Di  lui mi rimarranno indelebili alcuni ricordi. Quando un magistrato come lui subisce  attentato  così violento vuol dire che non c’è più umanità e  i tuoi pensieri corrono a ritroso e la tua mente raccoglie quei particolari vissuti insieme.
Ricordo ad esempio di quella volta che lo scortai fino al piano della sua abitazione e mi disse che i suoi familiari non erano in casa. Quando aprii la porta del suo l’appartamento gli chiesi se potevo  bonificare l’interno dei locali per verificare eventuali intrusioni non apparentemente visibili. Lui acconsentì apprezzando questo mio scrupolo e facendomi sentire fiero del lavoro che stavo facendo a sua tutela.

La signora Agnese Borsellino in un’intervista disse che gli uomini della scorta del marito erano parte della loro famiglia e che vivevano in simbiosi con il marito.
In effetti, con la personalità scortata si crea una sorta  di  “rapporto tipo parentale”, come quando ognuno di noi può proteggere un genitore in un periodo di pericolo o di debolezza.
Ho scortato anche il dottor Falcone. A furia di scortare queste grandi personalità vedi la loro famiglia istintivamente come persone che in maniera indiretta ti appartengono perché  riconosci in te stesso quanto sia importante proteggere il loro caro come se anch’io facessi parte della loro famiglia. Una sorta d’intesa che poteva nascere spontanea tra l’operatore di polizia addetto alla sicurezza e i familiari più intimi della personalità.

Un altro ricordo…
Un altro aneddoto che mi piace ricordare riguarda la giornata del  21 maggio 1992, due giorni prima della strage di Capaci.  Ero  in servizio in tribunale, io scortavo un magistrato, il dottor Martorana, che era dell’avvocatura dello Stato e il dottor Borsellino con la sua scorta scese dal piano dove si trovava il suo ufficio e ci incrociammo nell’atrio nei pressi del bar interno. Lí mi vide il collega  Antonio Montinaro che si avvicinò per pormi un problema relativo ad un fatto che gli era accaduto e per valutare insieme come redigere una relazione molto dettagliata. Gli risposi che ne avremmo parlato nei giorni successivi perché al momento  eravamo impegnati ad  assicurare la protezione alle nostre personalità. Purtroppo, ciò non poté più avvenire per le note ragioni.
Ricordo come se fosse ieri lo sguardo sereno del dottor Borsellino quando mi fece un cenno di saluto. Seppur non tutti di nome, ci riconosceva  e si ricordava comunque dei visi del personale addetto ai dispositivi di sicurezza. Tutto questo avveniva in modo ciclico perché gli incontri erano molto frequenti e quell’ambito erano luoghi comuni. Io tra gli altri, oltre a Falcone, avevo scortato anche il procuratore capo Paino.

La tutela e la sorveglianza presso l’abitazione di Palermo del dottor Borsellino come’era organizzata ?
Quando lui usciva dalla propria abitazione di via Cilea la scorta provvedeva alla preventiva bonifica dell’area antistante l’edificio. Il capo scorta saliva poi con l’ascensore e si posizionava davanti all’ingresso dell’appartamento mentre il gregario, dopo aver bonificato tutti i  vani scala, comunicava che tutto era stato bonificato e dava il via libera. A questo punto il dottore usciva dalla sua abitazione  ci comunicava dove era diretto.

A questo punto il corteo si dirigeva presso la destinazione indicata
Certo, e una volta a bordo degli automezzi il capo scorta decideva il percorso. Mai lo stesso più volte consecutive. Un modus operandi che praticavamo soprattutto per i magistrati ad alto rischio perché eravamo pienamente consapevoli dei pericoli che incombevano a causa delle inchieste che stavano conducendo.

Un mix fra il dovere professionale e la vicinanza generata dal rischio vissuto insieme
Cercavamo di dare il massimo. Competenze e professionalità intrecciate al rapporto umano che in viaria misura si sviluppava con la personalità tutelata.
Ci sentivamo onorati di proteggere loro e il loro lavoro a tutti i costi perché era anche nostro interesse nel fare lotta alla mafia in maniera indiretta. Noi li proteggevano stando al loro fianco facendogli capire di essere all’altezza di ogni situazione da affrontare per salvaguardare la loro vita e cercare di proteggerli fino alla fine con i nostri corpi  e loro con il proprio dovere lavorare andando in profondità in ogni indagine che conducevano.
Eravamo pienamente consapevoli dei rischi di morte a cui andavamo incontro subendo la stessa sorte della personalità scortata. Ben conoscevamo il lavoro che svolgevano in estrema difficoltà ma sapevamo anche che per colpire e indebolire la  mafia le personalità scortate dovevamo sentirsi al sicuro.

Secondo la tua esperienza come ragiona il mafioso rispetto agli obiettivi che mette nel mirino?
La mafia decide di condannare  a morte i suoi nemici principalmente in due casi:  quando ostacolano il suo potere economico e quando chi indaga potrebbe farlo condannare all’ergastolo in regime carcerario di 41 bis con divieto di comunicazione con chiunque. Quando il mafioso si trova in queste condizioni e quindi privato dalla possibilità di esercitare ruoli di comando, come fu per Luciano Liggi,  Totò Riina, Bernardo Provenzano, ha esaurito ogni reale possibilità di governo della sua cosca e il suo potere è irrimediabilmente minato. 

La protezione fornita dalle rispettive scorte riguardava anche la mobilità dello scortato anche all’interno del Tribunale?
Assolutamente si. Il dispositivo di sicurezza era h24 a 360 gradi.

Il periodo che precedette lo svolgimento del Maxprocesso richiese particolari interventi precauzionali aggiuntivi.
Si certo, in quella delicatissima fase pre-maxiprocesso vennero rafforzati  i controlli di sicurezza in atto per contrastare e comunque ridurre al minimo i rischi sia per le personalità scortate e sia per noi operatori addetti alla loro tutela. Come pure venne riservata una particolare attenzione rispetto ad eventuali tentativi da parte di terzi di attingere informazioni sensibili riguardanti il lavoro dei magistrati attraverso  la sottrazione di agende, block notes ecc..

All’Ufficio Istruzione  del tempo, diretto dal dottor Antonino Caponnetto, si deve fra l’altro il merito di aver consentito il c.d. Maxiprocesso
Un pool di magistrati straordinario e affiatato di cui facevano parte anche i dottori Guarnotta e Di Lello Finuoli assistiti dai colleghi della Guardia di Finanza per quanto riguardava le indagini di carattere tributario, dalla segretaria del dottor Falcone e dal fedele archivista Giovanni Paparcuri sopravvissuto alla strage del consigliere istruttore Rocco Chinnici che curava tutto l’archivio del lavoro prodotto dal pool.  
A cura di Claudio Ramaccini – Direttore Centro Studi Sociali contro le mafie – Progetto San Francesco

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