41 bis, che cos’è, quando è nato, a che cosa serve e come funziona

 

Settembre 2023  RELAZIONE  AL PARLAMENTO 2º semestre 2022
IL REGIME DETENTIVO SPECIALE DI CUI ALL’ARTICOLO 41-BIS O.P.

 

La Legge n.354/1975 recante “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà” è stata oggetto nel tempo di diverse modifiche e aggiornamenti anche per disciplinare lo speciale regime carcerario al quale possono essere sottoposti, tra gli altri, i detenuti mafiosi.
L’art. 41 bis della normativa in disamina prevede, in capo al Ministro della giustizia, la facoltà di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge che possano porsi in concreto contrasto con quelle esigenze di ordine e di sicurezza finalizzate ad impedire i rapporti dei detenuti con le associazioni di tipo mafioso, terroristiche ed eversive. Ciò implica la necessità di monitorare le comunicazioni dei detenuti verso l’esterno per impedirne i contatti, diretti o mediati, con esponenti delle consorterie di appartenenza e la possibilità di ricevere o impartire direttive e notizie durante la detenzione.
Per quanto di precipuo interesse della DIA, risulta indispensabile evitare che esponenti di vertice dei clan possano continuare a orientare le attività degli affiliati e mantenere, nel contempo, la loro influenza1 nonostante la sottoposizione al regime detentivo.
A supporto dell’iter procedimentale propedeutico all’adozione del prescritto decreto ministe- riale e in forza della sua specificità nell’azione per la prevenzione e il contrasto ai sodalizi mafiosi, la DIA garantisce2 al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (D.A.P.) i ne- cessari elementi informativi di cui dispone per supportare le motivazioni sull’applicazione o sul rinnovo dello speciale regime detentivo3.
Peraltro, il contributo informativo fornito dalla DIA è considerato di assoluta pregnanza qualitativa e quantitativa poiché elaborato sulla scorta di elementi tratti, da un lato, dalle indagini giudiziarie che illustrano le attività criminali delle compagini mafiose di riferimento in un determinato territorio e in un circoscritto arco temporale e, dall’altro, dalle investigazioni preventive i cui contenuti consentono di ampliare notevolmente il quadro informativo d’interesse.
1 Art. 41 bis, comma 2 bis: “Il provvedimento emesso ai sensi del comma 2 è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa”.
2 Assieme a Servizio Centrale Operativo (SCO) per la Polizia di Stato, Raggruppamento Operativo Speciale per l’Arma dei carabinieri (ROS) e Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (SCICO) per la Guardia di finanza.
3 Analogo contributo informativo viene fornito anche al Tribunale di Sorveglianza di Roma, competente per i reclami.
In particolare, vengono messi a sistema tutti quei dati discendenti dall’analisi delle connotazioni strutturali e dei profili evolutivi dei sodalizi, dal monitoraggio degli appalti pubblici, dall’esame delle segnalazioni di operazioni sospette in materia di antiriciclaggio e dagli approfondimenti per la proposizione delle misure di prevenzione patrimoniale. L’articolato processo d’approfondimento riguardante i soggetti “mafiosi” permette così alla DIA di fornire al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria concrete e attuali informazioni riferibili soprattutto al livello di pericolosità potenzialmente espresso sia dal detenuto, sia dall’organizzazione criminale d’appartenenza.
Nel solo secondo semestre 2022, la DIA ha fornito elementi di conoscenza riguardo a 148 detenuti sottoposti allo speciali regime detentivo (49 di cosa nostra, 42 della ‘ndrangheta, 51 della camorra e 6 della criminalità organizzata pugliese) in relazione ai quali è stato reso disponibile un consistente ed aggiornato patrimonio conoscitivo, ritenuto fondamentale per le prescritte, successive valutazioni in ordine all’adozione di provvedimenti di strategica importanza nel quadro unitario per la lotta alla criminalità organizzata.


 

Art.41-bis. Situazioni di emergenza

1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il ministro di grazia e giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.

2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del ministro dell’interno, il ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell’articolo 4- bis, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.

2-bis. Sui reclami avverso i provvedimenti del ministro di grazia e giustizia emessi a norma del comma 2 é competente a decidere il tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto cui il condannato, l’internato o l’imputato é assegnato; tale competenza resta ferma anche nel caso di trasferimento disposto per uno dei motivi indicati nell’articolo 42.


Legge 10 ottobre 1986 n. 663

Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta’. (GU Serie Generale n.241 del 16-10-1986 – Suppl. Ordinario n. 95)


Legge 23 dicembre 2002 n° 279
Modifica degli articoli 4 bis e 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di trattamento penitenziario


Martelli: ci volle l’uccisione di Borsellino per riuscire a far approvare il 41-bis

«Se non ci fosse stata l’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta non so se il Parlamento avrebbe mai approvato la conversione in legge del 41-bis. La strage di Capaci non era bastata». Claudio Martelli, storico esponente del Psi, era Guardasigilli quando all’indomani delle stragi del ’92 fu istituito il 41-bis per i mafiosi. «Non si tratta di una misura punitiva, ulteriormente afflittiva rispetto alla pena da scontare, che sarebbe incostituzionale, ma di una misura preventiva il cui scopo è recidere i rapporti tra i mafiosi detenuti nelle carceri e la loro organizzazione fuori dal carcere. È per questo che la proposi. Erano gli anni in cui i boss comandavano dalla galera». ITALIA OGGI 8.2.2023

 

41 BIS: il giorno dopo Via D’Amelio il ministro Martelli firma il primo provvedimento riguardante 37 detenuti


 

CARCERI – Un regime speciale


«Il 41 bis è stato utile e lo è ancora, perché la mafia non è un fenomeno transitorio» – Intervista al magistrato Sebastiano Ardita


16.2.2023 Mafia e 41 bis: chi sono i 238 boss siciliani al carcere duro NOMI


CONFERENZA STAMPA RELAZIONE ARTICOLO 4-BIS O.P.

03 Giugno 2020

Mercoledì 3 giugno 2020, alle ore 10:00, la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, presso la Sala Polifunzionale di Palazzo Chigi, ha presentato la relazione sull’istituto di cui all’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario

CONFERENZA STAMPA – video

CONFERENZA STAMPA – sintesi


La norma di cui si parla: l’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975 n.354 (Il regime di “carcere duro” ) 

Il regime di carcere “duro” 

“Situazioni di emergenza”, questa la titolazione data dal legislatore statale ad una norma sul trattamento penitenziario – l’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975 n.354 – da tempo al centro di un intenso dibattito socio-politico e  spesso abbinata al concetto di carcere duro. In essa è infatti prevista la possibilità , per taluni detenuti ed in presenza di gravi motivazioni di ordine e sicurezza pubblica, di sospendere, in tutto o in parte, l’applicazione delle  “normali” regole di trattamento previste dalla disciplina carceraria.
Il Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, ha ribadito  di recente a Palermo, in occasione del ventesimo anniversario dell’uccisione di
Carlo Alberto Dalla Chiesa, l’opportunità di “rendere definitivo il regime carcerario introdotto dall’art.41 bis  per continuare a combattere  la mafia  con grande determinazione secondo l’insegnamento  del generale Dalla Chiesa”.
Già nel corso della visita ferragostana alle sale operative delle forze di polizia della capitale, il Ministro Pisanu aveva avuto  modo di sottolineare come l’articolo 41 bis  abbia  FATTO CALARE UNA SOLIDA SARACINESCA TRA I MAFIOSI IN CARCERE E QUELLI ANCORA IN LIBERTA’, affermando  tanto  la necessità di insistere sulla sua severa applicazione, quanto   l’intendimento di  incrementare le risorse e di affinare i mezzi di contrasto alla mafia esterna, oggi più incline a consolidarsi nel controllo del territorio e ad estendere i suoi lucrosi quanto illeciti affari.

Il testo dell’art. 41 bis della legge 26 luglio 1975 n.354  [ » ]

Il disegno di legge contenente modifiche all’articolo 41 bis L.354 del 1975 [ »]


 

La testimonianza di un ex detenuto al 41BIS


Cos’è il 41 bis, il «carcere duro» introdotto per mafiosi e terroristi

Il magistrato Luca Tescaroli , procuratore aggiunto a Firenze e responsabile della Dda (è stato il pm che sostenne l’accusa per la strage di Capaci) spiega che in realtà il 41 bis ha origine anteriori al ‘92: «Il regime del 41 bis nacque il 10 ottobre 1986 con la legge n. 663 introdotta per il contrasto al terrorismo e poifu esteso con un decreto del 1992 anche ai mafiosi, attuato il 19 luglio ‘92 col trasferimento di molti boss dal carcere dell’Ucciardone a quello dell’Asinara. La misura è ancora importante e attuale perché la pericolosità del crimine mafioso non è diminuita, bensì è aumentata. «L’intento primario del 41 bis non è spingere alla collaborazione con la giustizia ma impedire la comunicazione dei boss mafiosi con l’esterno, cosa che ne conserva il carisma e il potere— spiega Tescaroli —. Numerose sentenze passate in giudicato relative alle stragi mafiose del ‘93 dicono proprio che i vertici di Cosa Nostra le compirono proprio per ottenere la revoca del 41 bis e per contrastare la politica antimafia dello Stato . Ciò significa che si trattava e si tratta di uno strumento efficace. Va inoltre detto che, come stabilito da varie pronunzie, il 41 bis non è incompatibile con la normativa europea. Inoltre l’emegenza italiana ha una sua specificità, che non può essere ignorata e il 41 bis resta un punto fermo nella lotta alle mafie».
In alcune sezioni alle finestre delle celle ci sono fino a tre sbarramenti, come scrivono su Ristretti.it, rivista dei detenuti del carcere di Padova e centro di documentazione delle carceri italiane : «Il primo di sbarre vere e proprie il secondo di una rete abbastanza fitta, il terzo fatto da una serie di fasce di ferro o di vetro antiscasso che formano una tapparella dalla quale filtrano poca aria e poca luce. I detenuti di queste celle hanno spesso un notevole abbassamento della vista. I rinchiusi in queste sezioni vanno all’aria, due ore al giorno, in gruppi di 6 o 7, così pure in socialità in una saletta. I passeggi per l’ora d’aria variano da carcere a carcere: si va da quelli davvero ridotti a quelli grandi come campi di calcetto».
I colloqui concessi, solo uno al mese (ciò a fronte della disciplina ordinaria che contempla per i detenuti «comuni» il diritto a sei colloqui al mese, più eventuali altri colloqui che possono essere richiesti in presenza di particolari circostanze familiari), si svolgono in un locale col vetro divisorio fino al soffitto, telecamere, citofono per parlare coi parenti (nel regime ordinario non c’è nulla di tutto questo e i colloqui avvengono in spazi «liberi»). Le sale vanno dalle più grandi, a Tolmezzo, alle più piccole di Viterbo e L’ Aquila dove consistono in due «cabine telefoniche» di 1 metro per 1 metro: da una parte il detenuto, dall’altra i famigliari, che devono fare i turni. Poi ci sono quelle senza vetro divisorio, che servono per i dieci minuti di colloquio consentiti coi figli minori di 12 anni: hanno un bancone che consente il contatto fisico sottoposto a videoregistrazione. Il vetro divisorio è il problema su cui tutti i detenuti si sono soffermati. «La nostra protesta civile è per abbracciare i nostri figli. Il vetro divisorio è una tortura psicologica, ci sono mezzi alternativi, telecamere e microfoni. Se lo mantengono è solo per farci pentire, ma il pentimento coercitivo non è genuino», hanno dichiarato. Ii colloqui coi familiari possono essere videoregistrati e costituire fonte di informazione utile per attività investigative e per prevenire reati.
Nelle sezioni del 41 bis, i detenuti non possono frequentare corsi scolastici, si può studiare solo per proprio conto e l’unico intermediario coi professori è un educatore. Ciononostante, non sono rari i casi di detenuti che si sono diplomati in 41 bis o hanno conseguito una laurea. I detenuti sono prigionieri anche di una sorta di «gabbia procedurale» dalla quale non riescono ad uscire se non per mezzo del pentimento. Sempre con riguardo alle comunicazioni con l’esterno, un’altra limitazione riguarda la corrispondenza, sia in partenza, sia in arrivo che, previa autorizzazione giudiziale, è sottoposta a visto di controllo, «salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia».
Un’altra prescrizione diretta a regolare i rapporti dei detenuti con l’esterno è quella relativa alla «limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno»: proprio basandosi su tale disposizione l’amministrazione penitenziaria ha imposto il divieto per i detenuti sottoposti al regime detentivo speciale di ricevere e inviare all’esterno libri e riviste (sulla legittimità di tale divieto cfr. ora C. cost., 8.2.2017, n. 122). Oltre alle limitazioni sino ad ora indicate, che riguardano i rapporti con l’esterno, il co. 2 quater ne elenca delle altre che attengono ai rapporti tra gli stessi detenuti: in questo senso, la legge prevede l’esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati e la limitazione della permanenza all’aperto. CORRIERE DELLA SERA 4.2.2023


Con la formula “41 bis”

nel dibattito comune si fa riferimento alle deroghe rispetto alle «normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati e ai normali benefici» previste dall’ordinamento penitenziario sostanzialmente per evitare che soprattutto boss mafiosi e figure apicali di associazioni terroristiche e “capi” associazioni a delinquere finalizzate al narcotraffico e alla tratta di esseri umani continuino a esercitare la loro influenza e il loro ruolo di comando sulle rispettive organizzazioni criminali dal carcere.

Perché è improprio dirlo “carcere duro”

Impropriamente, ci si riferisce spesso a questo sistema di regole con l’espressione “carcere duro”, perché in effetti nella pratica i benefici vengono ristretti e il regime carcerario ne esce più aspro, ma questa sintesi genera l’equivoco di far pensare che il maggior rigore sia finalizzato a rendere la pena più afflittiva, mentre nella realtà è pensato con la finalità di tagliare i ponti e i contatti interni alle organizzazioni criminali che come tali vivono anche molto della rete dei loro legami. Si tratta, per fare un esempio attuale, del regime cui è sottoposto anche Matteo Messina Denaro.

Perché si chiama 41 bis

Da non confondersi con il 416 bis, che è l’articolo del Codice penale che fa riferimento al reato di associazione di stampo mafioso, il 41 bis è l’articolo dell’ordinamento penitenziario che disciplina le restrizioni rispetto alle «normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati e ai normali benefici» in alcuni casi: quello citato sopra, ma anche per esempio in occasione di rivolte in carcere. Per estensione nel dibattito è usuale chiamare 41 bis il regime di restrizioni previsto ai commi 2-3 da questo articolo, che può essere applicato con un provvedimento di sospensione dei normali benefici «quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica», a detenuti che scontino «un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva». La sospensione «comporta le restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle predette esigenze e per impedire i collegamenti con l’associazione».

Chi può applicare il 41 bis

Il provvedimento di sospensione dei benefici come recita l’articolo di legge: «è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze». Il presupposto per applicarlo è la presenza di «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva». Una sussistenza che va valutata con rigore. La legge non dice che la collaborazione con la giustizia può essere un elemento chiave per provare che i legami sono definitivamente interrotti, ma è la Corte costituzionale a scrivere che nei fatti «la collaborazione con la giustizia …. assume la diversa valenza di criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata» (C. cost., 20.7.2001, n. 273). E questo avviene perché il collaboratore, qualificato nel gergo mafioso come “infame” da quel momento risulta del tutto inaffidabile agli occhi dell’organizzazione di appartenenza.

Quanto può durare la sospensione dei benefici e a quali condizioni

  La sospensione dei benefici ha «durata massima pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo criminale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l’associazione o dimostrare il venir meno dell’operatività della stessa».

In quale momento e a chi si può applicare il 41 bis

«Come si evince dal dato normativo (che parla genericamente di ‘detenuti’)»,si legge nella relativa voce Treccani, «i destinatari del regime detentivo speciale possono essere tanto soggetti con condanne definitive, quanto soggetti in attesa di giudizio: ciò del resto è del tutto coerente con la finalità della misura, posto che le esigenze di prevenzione che essa persegue sussistono anche, ed anzi a maggior ragione, nei confronti di detenuti in attesa di giudizio, essendo proprio nel momento dell’ingresso in carcere che il membro dell’associazione avverte con urgenza il bisogno di comunicare con gli affiliati all’esterno, per trasmettere le informazioni di cui è in possesso, diramare direttive e, più in generale, ‘passare le consegne’».

In che cosa consiste e perché suscita dibattito

  Il regime di 41 bis prevede una serie complicata di restrizioni in materia di limitazioni nei colloqui, nelle telefonate, nella corrispondenza. Il colloquio è uno solo al mese di un’ora contro i 6 previsti per i detenuti comuni e con i soli familiari e conviventi, altri possono essere autorizzati solo in casi eccezionali. Se i detenuti comuni possono vedere i visitatori senza vetro divisorio e senza essere ascoltati sotto il solo controllo visivo per ragioni di sicurezza, chi sta al 41 bis fa colloqui ascoltati e videoregistrati con il vetro divisorio, che può venir meno molto brevemente solo con i bambini.
La telefonata, più limitata nel tempo e nella frequenza, è sempre registrata (solo i contatti con i difensori non sono sottoposti a limitazioni per intervento della Corte costituzionale).
La corrispondenza è autorizzata dal giudice in partenza e in uscita e sottoposta a controllo (salvo quella con parlamentari o autorità europee e nazionali con competenza in materia di giustizia). Anche somme, beni, oggetti ricevuti dall’esterno sono sottoposti a restrizioni. Di qui il divieto di inviare e ricevere libri e riviste dall’esterno, perché potenziale veicolo di scambio di messaggi cifrati, decisione avallata dalla Corte costizionale (122/2017) nel momento in cui non limita la scelta dei libri da leggere e da studiare a patto che siano acquistati attraverso i canali autorizzati.    
I contatti con gli altri detenuti sono fortemente limitati ragion per cui le celle sono singole, la durata delle cosiddette ore d’aria è ristretta e per chi sta al 41 bis è vietato partecipare alle rappresentanze di detenuti ed internati, tutto in ragione della stessa logica di evitare contatti con l’organizzazione di appartenenza, cosa che traduce il regime in un sostanziale isolamento e in una limitazione di fatto di tutte quelle pratiche rieducative che presuppongono socialità interna al carcere: è questo uno dei temi che aprono sovente il dibattito sul bilanciamento tra diritti della persona ed esigenze di sicurezza dello Stato, in relazione a questo regime carcerario.

In quali carceri si applica il 41 bis

Avendo necessità di spazi adatti a gestire le limitazioni previste, il 41 bis non è applicabile in tutte le carceri. Attualmente quelle che possono detenere persone in questo regime sono: le case circondariali di Sassari “Bancali”, Novara, Cuneo, Voghera (PV), Sanremo (IM),Tolmezzo (UD), Viterbo ,Parma, Terni, Roma Rebibbia, L’Aquila, Napoli Poggioreale, Macomer (NU). Le case di reclusione di Casa di reclusione Casa Opera (MI) Spoleto (PG) Ascoli Piceno, Mamone a Onanì (NU). Il Centro penitenziario di Napoli Secondigliano e il carcere di Badu ‘e Carros di Nuoro. Le storiche “supercarceri” sulle isole di Pianosa e dell’Asinara sono state chiuse nel chiuse nel 1997 e definitivamente dismesse l’anno successivo, con provvedimento dell’allora governo Prodi.

Come funziona il ricorso contro l’applicazione del 41bis

  Contro i provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo speciale, il detenuto o l’internato, o i loro difensori, possono ricorrere al Tribunale di sorveglianza di Roma, per valutare i presupposti per l’adozione del provvedimento. Contro l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza difensori e Pm possono ricorrere alla Corte di cassazione per violazione di legge (è a questo punto che si trova il caso Cospito, la Cassazione ha fissato udienza per il 7 marzo 2023).

Il 41 bis e la Corte costituzionale

Nel corso del tempo, come scrive Angela Della Bella autrice di Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, la Corte Costituzionale ha smussato alcuni caratteri illiberali della misura originaria, nata sull’onda dell’emergenza: «Attraverso le sue pronunce la Corte – che non ha mai censurato la legittimità del 41 bis, riconoscendone l’utilità nel contrasto al fenomeno mafioso – si è impegnata in un’opera di profonda ricostruzione della disciplina, fissando dei ‘paletti di costituzionalità’, entro i quali l’Amministrazione penitenziaria si è poi mossa nel dare applicazione all’istituto». Le indicazioni, tutte recepite, sono confluite nellalegge 279/2002, «che, oltre ad aver reso stabile la misura all’interno dell’ordinamento, ne ha riformato profondamente la disciplina, attribuendole sostanzialmente la fisionomia» attuale. Tuttora il 41 bis è applicato nella stragrande maggioranza dei casi a detenuti a capo di organizzazioni mafiose, il 41 bis è stato esteso anche alla tratta di esseri umani e al terrorismo, anche internazionale.

Perché è un tema complesso e delicato

  Trovandosi al punto di incontro e dunque anche di frizione tra due esigenze imprescindibili – quella dello Stato di assicurare ai cittadini e alle istituzioni la tutela dalla prevaricazione delle organizzazioni criminali da una parte, dall’altra quella di assicurare un trattamento sanzionatorio a chi sia condannato senza che questo leda i diritti fondamentali della persona – il 41 bis è argomento delicato che non si presta a essere risolto con slogan e risposte semplici e tranchant come tante volte nel dibattito pubblico si prova a fare. L’esigenza di conservarne la ratio fondamentale – rompere i legami tra i capi in carcere e le organizzazioni criminali -, da tutti gli addetti ai lavori riconosciuta, si confronta con punti di vista molteplici e diversi relativamente all’applicazione in concreto e alle modalità specifiche con cui questa esigenza originaria si persegue. Si tratta da un lato di scongiurare caso per caso il pericolo, come scrive Francesco Cascini, magistrato ex capo del Dap, nella voce relativa al carcere, del Dizionario enciclopedico di mafie e antimafia (Gruppo Abele) “di snaturamento della finalità preventiva a favore di uno strumento più tipicamente punitivo”; dall’altro, di non metterne in discussione la logica preventiva, tuttora valida.


Che cos’è e come funziona il 41 bis, le regole del carcere duro

In Italia ci sono 749 detenuti al 41 bis, di cui 13 donne, secondo un rapporto di Antigone del 2021. La maggior parte dei detenuti in regime di 41-bis sono nella casa circondariale dell’Aquila seguita da quella di Opera (Milano), Sassari, Spoleto, Novara, Cuneo, Parma, Tolmezzo (Udine), Roma-Rebibbia, Viterbo, Terni, Nuoro. Come si vive al 41 bis? “Provate voi a vivere per 21 ore al giorno in un bagno”, disse Antonio Iovine, ex capo del clan camorristico dei casalesi oggi collaboratore di giustizia, un tempo detenuto in regime di 41-bis, ai membri della commissione del Senato in visita al carcere di Badu ’e Carros.
Di norma il principio è quello di garantire l’isolamento più assoluto del detenuto. I detenuti al 41 bis durante la giornata non fanno sostanzialmente nulla. Carmelo Musumeci, che ha trascorso in carcere 25 anni di cui cinque in regime di 41-bis, dice al Post: “Definisco quel tipo di detenzione una ‘tortura democratica’. Il 41-bis annienta le persone. Io lo vissi nel carcere dell’Asinara, in Sardegna, negli anni Novanta, poco dopo la sua introduzione. Le condizioni igienico-sanitarie erano terribili: dalla turca uscivano i topi. Per impedire ai ratti di entrare nella cella usavo una bottiglia che chiudeva il buco”.
Ci sono regole generali e altre che variano da istituto a istituto. La posta in entrata e in uscita viene controllata e sottoposta a censura, non è ammesso l’invio di libri dall’esterno. In cella possono essercene non più di tre forniti e reperiti direttamente in carcere o preventivamente autorizzati. Non sono ammesse riviste nè il detenuto può scrivere per giornali. All’Aquila non sono ammessi abiti o tessuti trapuntati che possano nascondere oggetti. I detenuti al 41 bis sono condannati al silenzio e alla solitudine. Trascorrono nelle loro celle quasi tutte le ore della giornata salvo una o due ore al massimo in cui possono socializzare con i pochi detenuti della stessa sezione. Secondo quanto riportato dal Post, alcuni avvocati di detenuti raccontano che i loro assistiti perdono la capacità di dialogare per più di pochi minuti. E questo sarebbe successo anche all’ ex brigatista Nadia Desdemona Lioce. Condannata all’ergastolo per gli omicidi di Marco Biagi e di Massimo D’Antona e dell’agente della polizia ferroviaria Emanuele Petri, è al 41 bis da 20 anni. potendo contare solo su un’ora al mese di colloquio con i familiari e, in caso di bisogno, di massimo di due ore al mese con gli avvocati, la detenuta in un anno solare aveva parlato solo per 15 ore, per cui adesso per lei è impossibile sostenere un colloquio se non di pochi minuti.
I colloqui sono limitati a un’ora al mese e avvengono attraverso un vetro divisorio, salvo la presenza di figli minori di 12 anni. Al colloquio sono ammessi familiari e conviventi, per altre persone serve un permesso speciale concessa solo in casi eccezionali. Il detenuto al 41 bis può fare solo una telefonata al mese di 10 minuti e in sostituzione del colloquio personale.Telefonata che viene sempre registrata. In cella non c’è nulla oltre al letto saldato a terra e il bagno alla turca. Anche gli oggetti che si possono tenere in cella hanno delle limitazioni e devono essere sempre controllati. In alcuni penitenziari ci sono liste in cui viene descritto ciò che è ammesso e ciò che non lo è. Fino al 2018 i detenuti in cella non potevano nemmeno cucinare. Ma una sentenza della corte Costituzionale ha stabilito che il divieto di cuocere cibi non si può fondare sulla necessità di impedire che il condannato continui a mantenere contatti con l’esterno e il gruppo criminale di appartenenza.
Poi ci sono i limiti sulla somma di denaro che un detenuto può avere sul conto. A ogni “nuovo giunto” vengono sequestrati i soldi e messi su un conto all’interno del carcere su cui i familiari potranno versare dei soldi tramite vaglia postale o lasciandoli nella portineria del carcere. Normalmente il detenuto può spendere poco più di 100 euro alla settimana. Per quelli sottoposti a 41-bis non esiste una cifra stabilita (varia a seconda degli istituti), ma è comunque inferiore a quella degli altri carcerati. Per assegnare un detenuto al 41 bis c’è bisogno di due presupposti: l’uno “oggettivo”, cioè la commissione di uno dei delitti “di mafia”, previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, l’altro “soggettivo”. Occorre infatti dimostrare la presenza di “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva”. Negli anni l’elenco di reati per cui si può essere sottoposti al 41-bis si è ampliato. Attualmente comprende terrorismo, mafia, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto o vendita di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.
Un regime carcerario durissimo che, come si legge nel XVIII rapporto di Antigone, è anche usato come maggiormente punitivo: “Un regime detentivo che si definisce duro non può non evocare l’idea di un sistema intransigente che mira a ‘far crollare’ (anche sul piano psicofisico) chi vi viene sottoposto, puntando, sempre in forma latente, alla ‘redenzione’, cioè alla collaborazione con la giustizia, principale ‘criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata’. Proprio l’effettiva ‘collaborazione’ fa venir meno l’applicazione di questo regime”. Da IL RIFORMISTA 31.1.2023


Evoluzione e problematiche dell’articolo 41-bis

Il susseguirsi in pochi giorni dell’arresto di Matteo Messina Denaro e dello sciopero della fame di Cospito hanno un denominatore comune: il regime di detenzione al 41-bis. Dati i predetti fatti di cronaca, il dibattito della politica e dell’opinione pubblica si è concentrato su questo particolare articolo, generalmente ricondotto ai reati di stampo mafioso. Occorre dunque chiedersi, in primo luogo, cosa sia il 41-bis e, poi, se sia una norma giusta ed efficace o se sia contraria alla dignità umana e, in particolare, a quella dei detenuti.

L’articolo 41-bis è una disposizione introdotta nell’ottobre del 1986 all’interno dell’Ordinamento penitenziario, ossia l’insieme di norme che regolano il funzionamento delle carceri e la detenzione di cui alla Legge n.354 del 1975. Inizialmente l’applicabilità del cosiddetto “carcere duro”era limitata alle sole situazioni emergenziali interne alle carceri; poi, successivamente alle stragi di via D’Amelio e Capaci, la norma si estende, sempre previo provvedimento dell’autorità competente, ai detenuti facenti parte di organizzazioni di stampo mafioso. Nell’intenzione originaria del legislatore, l’articolo 41-bis avevacarattere temporaneo e ciò per far fronte all’emergenza delle stragi di mafia anche se, come spesso avviene nei provvedimenti legislativi in Italia, divenne poi permanente nel 2002.

Con l’introduzione permanente del carcere duro, l’articolo 41-bis viene modificato dal legislatore in modo di adeguarlo ai diversi provvedimenti della Corte Costituzionale intervenuti in precedenza. Di particolare importanza, da questo punto di vista, è la scelta di subordinare l’applicabilità dell’istituto alla previa verifica in concreto dell’esistenza di rapporti o legami con l’associazione criminale. Significativa anche la previsione di numerosi contatti fra gli organi inquirenti e il ministero di Giustizia e la possibilità, per il detenuto, di presentare reclamo al Tribunale di Sorveglianza.

Il legislatore è da ultimo intervenuto, nel 2009, limitando i poteri del Tribunale di Sorveglianza e introducendo la possibilità di rinnovare la condanna al regime detentivo speciale ogni due anni, qualora vi siano ancora concrete possibilità, per i detenuti, di avere collegamenti e rapporti con l’associazione criminale.

L’articolo 41-bis regola le situazioni di emergenza che possono verificarsi all’interno del carcere, in caso di rivolta ad esempio, o qualora vi sia pericolo per la pubblica sicurezza, anche in relazione al detenuto e ai suoi rapporti con l’esterno. Oltre alla sicurezza interna al carcere, il 41-bis si applica anche ai condannati per associazione mafiosa o, comunque, a chi ha commesso un delitto con metodologia mafiosa, a chi abbia agevolato tali associazioni o, ancora, quando vi siano elementi che possano far ritenere la sussistenza di legami con associazioni mafiose, di terrorismo o eversive. 

L’articolo 41-bis, in particolare, prevede un regime carcerario particolarmente stringente nei confronti dei detenuti a cui si applica. Essi, infatti, devono essere reclusi in una struttura esclusivamente dedicata, possibilmente in aree insulari, con personale della polizia penitenziaria specializzato o, comunque, all’interno di sezioni specializzate di altre carceri, logisticamente separati dagli altri detenuti. 

I colloqui, per questi detenuti, sono consentiti solamente con familiari e conviventi, nel limite di una volta al mese. Gli stessi avvengono in apposite stanze che non consentono il passaggio di oggetti e sono sottoposti a controllo auditivo e registrazione.

Agli stessi detenuti vengono inoltre limitate le somme e gli oggetti che essi possono ricevere dall’esterno. Viene, poi, controllata ed eventualmente censurata la corrispondenza.

Per quanto riguarda la vita carceraria, la permanenza all’aperto viene limitata a due ore al giorno per un massimo numero di quattro detenuti. Durante la stessa si adottano tutti gli accorgimenti necessari per evitare comunicazioni fra appartenenti a diversi gruppi.

Come si può osservare, lo scopo della norma è principalmente quello di prevenire contatti con l’associazione, mafiosa o terroristica, di provenienza o con altre associazioni contrapposte, sia attraverso contatti con l’esterno, sia dal contatto diretto con altri detenuti andando a ledere il principale componente di tali associazioni: il controllo del territorio. 

Il regime di “carcere duro” viene meno nel caso in cui i detenuti decidano di rendersi collaboratori di giustizia.

Consapevoli, a questo punto, del contenuto della norma e dello scopo dalla stessa prefissato, occorre rilevare che, per parte dell’opinione pubblica, il 41-bis appare particolarmente problematico, se non degradante per l’individuo.

Innanzitutto l’articolo 41-bis rende più difficile, se non impossibile, la funzione rieducativa della pena. I detenuti sottoposti a tale regime, oltre a non poter aver contatti con l’esterno se non nei limiti già visti, non possono frequentare corsi di formazione e istruzione o accedere ai lavori socialmente utili. La rieducazione è uno dei principi fondamentali del trattamento carcerario, un diktat di rango costituzionale che permette alla pena di non essere semplicemente afflittiva o preventiva, ma diretta al reinserimento sociale del reo. La pena, dunque, muove a uno scopo ben preciso che, in questi casi, viene abbandonato in favore di una detenzione fine a sé stessa rischiando, così, pericolosi sconfinamenti verso un trattamento disumano e degradante.

D’altro canto, non occorre però confondersi: lo scopo del regime speciale non è solo quello di una maggior afflizione nei confronti del detenuto.

Da un lato, come abbiamo visto, esso mira a recidere eventuali rapporti con l’associazione. Dall’altro, ha una funzione di incentivo, per lo stesso detenuto, di collaborare con la giustizia e, da ultimo, ha altresì una funzione preventiva nei confronti dei soggetti in libertà. Questi ultimi, dietro la minaccia di una sanzione più grave, dovrebbero essere dissuasi dal porre in essere condotte illecite dello stesso tipo o, comunque, a interrompere eventuali rapporti in essere.

Il tema dell’articolo 41-bis risulta, così, particolarmente complesso in quanto coinvolge diversi diritti fondamentali. Con riferimento ai principi costituzionali, la compressione e non l’esclusione dei diritti dell’uomo trova qui un particolare bilanciamento con un altro importante principio costituzionale, ossia quello della tutela della pubblica sicurezza e dell’ordine pubblico considerato, al netto del bilanciamento, prevalente.

Non bisogna scordarsi che il “carcere duro” non ha lo scopo di essere permanente ma quello di interrompere i rapporti fra il detenuto e le associazioni criminali esterne. Un regime che, se lo stesso condannato si rende collaboratore di giustizia, si interrompe in favore dell’ordinario e che resta in essere unicamente in relazione alla condotta, pericolosa, del carcerato in merito ai rapporti con la propria associazione di riferimento. L’istituto, dunque, non è da demonizzare o abbandonare ma, piuttosto, ci si deve chiedere se sia possibile trovare un bilanciamento tra la lotta alla criminalità organizzata e il fine rieducativo della pena garantendo, però, la massima tutela della collettività che, in ogni caso, prevale sul singolo. Themagazonewise


L’articolo 41-bis

è una disposizione dell’ordinamento penitenziario italianointrodotta dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, che prevede un particolare regime carcerario. Per la rigidità delle prescrizioni carcerarie è anche noto come ‘‘carcere duro”. La disposizione venne introdotta dalla cosiddetta legge Gozzini, che modificò la legge 26 luglio 1975, n. 354. In origine l’articolo era composto da un unico comma:

«In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al conseguimento del fine suddetto.»

La norma aveva quindi una finalità preventiva nei confronti di situazioni di pericolo esclusivamente interne al carcere, come ad esempio la rivolta. Questa norma andava cosi a completare il quadro delineato dall’articolo 14-bis, anche esso introdotto dalla legge Gozzini, che prevedeva il cosiddetto “sistema di sorveglianza particolare”, un istituto applicabile a tutti quei detenuti ritenuti pericolosi a causa dei loro comportamenti all’interno del carcere. Il testo è tuttora immutato dal 1986, complice anche il fatto che questa particolare norma, contrariamente a quella dibasso descritta, in realtà non ha praticamente mai avuto alcuna applicazione. In seguito nel 1992, dopo la strage di Capaci in cui perse la vita Giovanni Falcone, all’articolo si aggiunse un secondo comma disposto con il decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (cosiddetto Decreto antimafia Martelli-Scotti), convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356. Il testo è stato poi modificato a più riprese, in particolare la variazione più incisiva fu nel 2002, quello riportato di seguito è l’originale: 

«Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro di grazia e giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1 dell’articolo 4- bis, l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.»

Con la nuova disposizione, in presenza di “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”, si consentiva al Ministro della giustizia di sospendere le garanzie e gli istituti dell’ordinamento penitenziario, per applicare “le restrizioni necessarie” nei confronti dei detenuti condannati, indagati o imputati per i delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, nonché i delitti commessi per mezzo dell’associazione o per avvantaggiarla. L’obiettivo del legislatore era impedire il passaggio di ordini e comunicazioni tra i criminali in carcere e le loro organizzazioni sul territorio. Pertanto in questa seconda ipotesi la ratio è prevenire situazioni di rischio esterne al carcere; in uno stesso articolo il legislatore ha quindi disciplinato due fattispecie diverse per quanto concerne i contenuti, i presupposti e lo scopo. La misura introdotta da questo secondo comma originariamente aveva carattere temporaneo, infatti la sua efficacia era limitata a un periodo di tre anni dall’entrata in vigore della legge di conversione. Tuttavia, fu prorogata una prima volta fino al 31 dicembre 1999, una seconda volta fino al 31 dicembre 2000 e una terza volta fino al 31 dicembre 2002. Il 24 maggio 2002 il Governo Berlusconi II deliberò un disegno di legge di modifica degli articoli 4-bis e 41-bis dell’ordinamento penitenziario, poi approvato dal Parlamento come legge 23 dicembre 2002, n. 279 (Modifica degli articoli 4-bis e 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di trattamento penitenziario), abrogando la norma che sanciva il carattere temporaneo di tale disciplina rendendo il “carcere duro” un istituto stabilmente presente nell’ordinamento penitenziario. Fu previsto inoltre che il provvedimento ministeriale non potesse essere inferiore a un anno né superare i due anni, con eventuali proroghe successive di solo un anno ciascuna, infine il regime di carcere duro venne esteso anche ai condannati per terrorismo ed eversione. La legge 15 luglio 2009, n. 94 ne ha cambiato di nuovo i limiti temporali, tuttora in vigore: il provvedimento può durare quattro anni e le proroghe due anni ciascuna. Secondo le nuove regole i detenuti possono incontrare senza vetro divisore i parenti di primo grado inferiori a 12 anni di età, ma resta il divieto alla detenzione di libri e giornali, tranne particolari autorizzazioni.

Caratteristiche

La norma prevede la possibilità per il Ministero della giustizia di sospendere l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti previste dalla legge in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza per alcuni detenuti (anche in attesa di giudizio) incarcerati per reati di criminalità organizzata, terrorismo, eversione e altri tipi di reato.Il comma 2-quater dell’art. 41-bis prevede che «i detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione» siano «ristretti all’interno di istituti a loro esclusivamente dedicati, collocati preferibilmente in aree insulari, ovvero comunque all’interno di sezioni speciali e logisticamente separate dal resto dell’istituto…». In tal modo è stata recepita dalla legge – e, soprattutto, resa assolutamente inderogabile – la prassi seguita in linea di massima dall’Amministrazione penitenziaria, sin dai primi anni novanta, di allocare in apposite e selezionate strutture penitenziarie i detenuti in questione[1].

Soggetti destinatari

Il regime si applica a singoli detenuti ed è volto a ostacolare le comunicazioni degli stessi con le organizzazioni criminali operanti all’esterno, i contatti tra appartenenti a una stessa organizzazione all’interno di un carcere e i contatti tra gli appartenenti a diverse organizzazioni criminali, così da evitare il verificarsi di delitti e garantire la sicurezza e l’ordine pubblico anche fuori dalle carceri.

Misure applicabili

Originariamente la legge non specificava tassativamente il contenuto del provvedimento del 41-bis, il che aveva portato la giurisprudenza a identificarne i limiti nell’articolo 14-quater dell’ord. penitenziario in forza di una lettura sistematica della disciplina. Questo orientamento rimane tutt’oggi valido ma solo per quanto concerne il 41-bis primo comma, che disciplina i casi di rivolta e le situazioni di emergenza interne al carcere.

Per quanto riguarda il comma 2, introdotto dal D.L. 8 giugno 1992, n. 306 e con lo scopo specifico di stroncare possibili collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale di appartenenza, dal 2002 la legge specifica le misure applicabili:[2]

  • Isolamento nei confronti degli altri detenuti. Il detenuto è situato in una camera di pernottamento singola e non ha accesso a spazi comuni del carcere.
  • L’ora d’aria è limitata (concessa solamente per alcune tipologie di reato) – rispetto ai detenuti comuni – a due ore al giorno e avviene anch’essa in isolamento.
  • Il detenuto è costantemente sorvegliato da un reparto speciale del corpo di polizia penitenziaria il quale, a sua volta, non entra in contatto con gli altri poliziotti penitenziari.
  • Limitazione dei colloqui con i familiari (anch’essi concessi solamente per alcune tipologie di reato) per quantità (massimo uno al mese della durata di un’ora) e per qualità (il contatto fisico è impedito da un vetro divisorio a tutta altezza). Solo per coloro che non effettuano colloqui può essere autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto, un colloquio telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci minuti.
  • Nel caso di colloqui con l’avvocato difensore i colloqui non hanno limitazioni in ordine di numero e durata.
  • Visto di controllo della posta in uscita e in entrata.
  • Limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere tenuti nelle camere di pernottamento (penne, quaderni, bottiglie, ecc.) e anche negli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno.
  • Esclusione dalle rappresentanze dei detenuti e degli internati.

La Corte di cassazione, con ripetute sentenze, ha riconosciuto la legittimità della circolare del 2011 e della regolamentazione che essa prevede[3].

Delitti puniti

Il “carcere duro” è applicabile per taluno dei delitti indicati dall’articolo 41-bis della legge penitenziaria:

Casi di revoca del regime

Il regime in 41-bis può essere revocato sostanzialmente in due ipotesi:

  • Scadenza del termine senza che sia disposta la proroga;
  • Su ordine del tribunale di sorveglianza in caso di reclamo al quale dovesse seguire una decisione di illegittimità del provvedimento.

Fino al 2009 era inoltre possibile la revoca per opera dello stesso Ministro della giustizia nel caso in cui i presupposti che avevano giustificato il carcere duro fossero venuti a mancare, eventualità non più contemplata a seguito delle modifiche introdotte dalle legge n. 94/2009.

Il tribunale di sorveglianza ha revocato l’applicazione della misura nei confronti di Michele Aiello[4], posto ai domiciliari in quanto sofferente di favismo, e ad Antonino Troia.[5] In entrambi i casi la presidente dell’Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili Giovanna Maggiani Chelli ha contestato la decisione.[6][7]

Critiche

Le reazioni internazionali

  • Nel 1995 il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti ha visitato le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione dei soggetti sottoposti al regime ex art. 41-bis. Ad avviso della delegazione, questa particolare fattispecie di regime detentivo era risultato il più duro tra tutti quelli presi in considerazione durante la visita ispettiva. La delegazione intravedeva nelle restrizioni gli estremi per definire i trattamenti come inumani e degradanti. I detenuti erano privati di tutti i programmi di attività e si trovavano, essenzialmente, tagliati fuori dal mondo esterno. La durata prolungata delle restrizioni provocava effetti dannosi che si traducevano in alterazioni delle facoltà sociali e mentali, spesso irreversibili[8][9].
  • Negli anni 2000 la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata varie volte chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità del 41-bis con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e non ha ritenuto la disciplina, in linea di principio, in contrasto con la suddetta Convenzione, ma ne ha censurato singoli contenuti e aspetti attuativi[10][11].
  • Nel 2003 Amnesty International ha sostenuto che il 41-bis equivale, in alcuni casi, a un trattamento del prigioniero “crudele, inumano e degradante”.[12]
  • Nel 2007 un giudice degli Stati Uniti ha negato l’estradizione del boss mafioso Rosario Gambino, poiché a suo avviso il 41-bis sarebbe assimilabile alla tortura.[13][14][15][16][17][18]

I rilievi di costituzionalità

Il regime di 41-bis applicato per periodi molto lunghi, anche a persone non condannate in via definitiva, è ritenuto da alcuni giuristi come incostituzionale, ma finora le pronunce della Corte costituzionale ne hanno confermato, nell’insieme, la legittimità.
Nonostante ciò, nelle sentenze del 28 luglio 1993 n. 349, del 19 luglio 1994 n. 357, del 18 ottobre 1996, n. 351, e ancora con la sentenza n. 376 del 1997, la Corte Costituzionale si è espressa sulla compatibilità del regime 41-bis con i principi costituzionali. Già nella prima di queste sentenze, in riferimento alla funzione di rieducazione della pena, sancito dall’art. 27, terzo comma, della Costituzione, la Corte ha rilevato come ai detenuti venissero riservati “trattamenti penali contrari al senso di umanità, non ispirati a finalità rieducativa ed, in particolare, non ‘individualizzati’ ma rivolti indiscriminatamente nei confronti di reclusi selezionati solo in base al titolo di reato”[19].
Nel 2013 la Corte costituzionale ha inoltre dichiarato illegittime le limitazioni in materia di colloqui con l’avvocato difensore[20].Senza dubbio l’aspetto più controverso dell’intero istituto è la conformità tra scopo dichiarato ed effettivo. Una componente importante della dottrina sostiene da anni che in realtà l’intento non sia affatto prevenire eventuali contatti con il crimine organizzato, ma piuttosto esercitare pressione sul detenuto al fine di indurlo a collaborare con la giustizia.[21]

Le strutture in Italia

In data 5 novembre 2009 il Ministro della giustizia Angelino Alfano ha reso pubblica la decisione del governo di riaprire le carceri di Pianosa e dell’Asinara, penitenziari nei quali sono stati storicamente detenuti i boss mafiosi in applicazione di tale misura.[22] Il ministro dell’ambiente Prestigiacomo ha detto che il carcere di Pianosa non riaprirà per motivi ambientali ma si studieranno soluzioni alternative.[23] Tra le carceri italiane non sono più dotate di strutture idonee il carcere dell’Asinara di Porto Torres (SS), il carcere di Pianosa di Campo nell’Elba (LI) e il carcere delle Murate di Firenze (FI), mentre quelle presenti sono ripartite sul territorio come segue.

Abruzzo

  • Casa Circondariale dell’Aquila (AQ) (carcere con maggior numero di detenuti in 41-bis e l’unico dotato di sezione femminile)[24]

Campania

Emilia-Romagna

Friuli-Venezia Giulia

Lazio

Lombardia

Marche

Piemonte

Sardegna

Umbria

Veneto

Note

  1. ^ F. Falzone – F. Picozzi, L’organizzazione della vita penitenziaria delle sezioni speciali (art. 41-bis ord. penit.), in Archivio penale web, vol. 2016, n. 1.none
  2. ^ Charlotte Matteini, Che cos’è il 41-bis e come funziona il carcere duro, su fanpage.it, 2017. URL consultato il 12 maggio 2018.none
  3. ^ F. Picozzi, Il controllo sulla circolazione e detenzione di pubblicazioni nelle sezioni 41-bis, in Cassazione penale, vol. 2015, n. 4.none
  4. ^ Il menù del carcere ha soltanto piselli e fave Aiello intollerante, il giudice: “Ai domiciliari” – Il Fatto Quotidiano
  5. ^ Mafia: revocato 41 bis a boss Troia, condannato per Capaci | News Cronaca | La Repubblica.it
  6. ^ Il boss Aiello soffre di favismo: ai domiciliari I familiari delle vittime: per noi è un insulto – Cronaca – Tgcom24, su tgcom24.mediaset.it. URL consultato il 20 giugno 2012 (archiviato dall’url originale il 1º luglio 2012).none
  7. ^ La revoca del 41bis al boss Troia: “Segnale devastante” – La Nazione – Firenze
  8. ^ Il regime di “carcere duro” ex art. 41-bis comma 2 o.p. Analisi degli aspetti giuridici ed applicativi Archiviato il 15 giugno 2011 in Internet Archive.. L’altro diritto. Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità
  9. ^ Parlamento Europeo. Relazione 24 febbraio 2004 recante una proposta di raccomandazione del Parlamento europeo destinata al Consiglio sui diritti dei detenuti nell’Unione europea (2003/2188(INI)). Commissione per le libertà e i diritti dei cittadini, la giustizia e gli affari interni.
  10. ^ Il 41-bis al vaglio di Strasburgo, su diritto.it.none
  11. ^ Un regime carcerario umano?, su mimesis-scenari.it.none
  12. ^ Amnesty Report Italy – 2003, su refworld.org.none
  13. ^ Giudice Usa nega estradizione a boss “In Italia il 41 bis è come la tortura” – esteri – Repubblica.it, su repubblica.it. URL consultato il 10 ottobre 2019.none
  14. ^ https://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/cronaca/mafia-7/gambino-italia/gambino-italia.html
  15. ^ https://www.repubblica.it/2008/04/sezioni/esteri/boss-gambino/boss-gambino/boss-gambino.html
  16. ^ https://palermo.repubblica.it/dettaglio/salta-lestradizione-dagli-stati-uniti-del-boss-rosario-gambino/1638051
  17. ^https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/10/18/gambino-non-fu-estradizione-negata.html
  18. ^ http://archivio.antimafiaduemila.com/rassegna-stampa/30-news/2806-espulso-rosario-gambino-dagli-usa.html
  19. ^ 41-Bis. Favorevole o contrario?, su ProVersi.it, 11 luglio 2017.none
  20. ^ Colloqui con difensore: incostituzionali i limiti per i detenuti al 41 bis, su Altalex. URL consultato il 10 ottobre 2019.none
  21. ^ Annali II-2008: «Da talune voci è stato tuttavia espresso il dubbio che la finalità dichiarata possa in realtà fare da copertura ad un diverso disegno: quello di realizzare, attraverso la creazione di un regime detentivo improntato a grande rigore, uno strumento di pressione idoneo a spingere coloro che vi sono sottoposti a collaborare con la giustizia»
  22. ^ Iacopo Gori, Supercarceri, riaprirà Pianosa. È scontro tra Alfano e Matteoli, in Corriere della Sera.it, 5 novembre 2009. URL consultato il 25 settembre 2010.none
  23. ^ Redazione, Pianosa, Prestigiacomo: “Il carcere non riaprirà” Ma Alfano non molla, in il giornale.it, 6 novembre 2009. URL consultato il 25 settembre 2010 (archiviato dall’url originale il 28 luglio 2011).none
  24. ^ Il carcere dell’Aquila, la fortezza del 41bis, su ansa.it, 18 gennaio 2023. URL consultato il 19 gennaio 2023.none

Bibliografia

  • Sergio D’Elia, Maurizio Turco, Tortura democratica, Inchiesta su “la comunità del 41bis reale”, Prefazione di Marco Pannella, Marsilio Editore 2002
  • Claudio Defilippi, Debora Bosi, L’art. 41 bis Ord. Pen. e le garanzie del detenuto, Prefazione di Maurizio Turco, Torino, G. Giappichelli Editore, 2007, pp.281, ISBN 88-7524-104-X.none
  • Sebastiano Ardita, Il regime detentivo speciale 41 bis, Giuffrè, 2007
  • Francesca De Carolis (a cura di), “Urla a bassa voce. Dal buio del 41bis e del fine pena mai”, ed. Stampa alternativa, 2012
  • Nazareno Dinoi, Dentro una vita. I 18 anni in regime 41 bis di Vincenzo Stranieri, Reality Book, 2012
  • M. Rita Prette, 41 bis. Il carcere di cui non si parla, Sensibili alle Foglie, 2012
  • Rosario E. Indelicato, L’ inferno di Pianosa. L’esperienza del 41 bis nel 1992, Sensibili alle Foglie, 2015
  • Le Cayenne italiane. Pianosa e Asinara: il regime di tortura del 41 bis, a cura di Pasquale De Feo, Sensibili alle foglie, 2016
  • Elton Kalica, La pena di morte viva. Ergastolo, 41 bis e diritto penale del nemico, Meltemi 2019
  • Andrea Pugiotto, Fabio Fiorentin, Emilio Dolcini, Il diritto alla speranza davanti alle corti. Ergastolo ostativo e articolo 41-bis, Giappichelli, 2020
  • Alessio Attanasio, L’ inferno dei regimi differenziati. (41-bis, aree riservate, 14-bis, AS). Ediz. ampliata, Contrabbandiera, 2021

Voci correlate

Collegamenti esterni


 

41BIS doc. WIKIMAFIA 


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