8.10.1976 ARCHIVIO 🟧 Detenuto sequestra Giovanni Falcone sette ore e minaccia d’ucciderlo e ottiene il trasferimento

Detenuto sequestra il giudice Giovanni Falcone sette ore e minaccia d’ucciderlo

 

Lo ha liberato dopo avere ottenuto di essere trasferito a Torino e la pubblicazione di un allucinante messaggio. Deve scontare 30 anni per un omicidio a Sanremo.

«Stai tranquilla, tutto è finito, sto bene » con queste parole il giudice di sorveglianza del penitenziario, Giovanni Falcone, ha rassicurato per telefono la moglie mettendo fine ad un incubo che si era protratto per oltre sette ore.
Sette lunghe ore durante le quali il magistrato era rimasto prigioniero di un detenuto, Vincenzo Oliva, legato ad una sedia nell’ufficio matricola della prigione, con un coltello puntato alla gola. Una vicenda che ha tenuto tutti con l’animo sospeso, e che da un momento all’altro poteva trasformarsi in tragedia.
Oliva, che sta scontando una condanna a 30 anni per l’assassinio del benzinaio Ottavio Perrone, ucciso il 9 maggio ’64 a Sanremo per una rapina che aveva fruttato poco più di 30 mila lire, aveva minacciato di ammazzare il giudice al primo tentativo degli agenti di entrate nell’ufficio dove si era asserragliato con l’ostaggio. La drammatica storia si era iniziata poco dopo mezzogiorno. A quell’ora il giudice di sorveglianza Falcone era arrivato al penitenziario per la consueta visita settimanale. Appena entrato nell’ufficio matricola è stato aggredito dall’Oliva, che aspettava nel corridoio con altri reclusi. Puntandogli alla gola un accuminato coltello, il detenuto l’ha legato ad una sedia, poi si è barricato all’interno dell’ufficio.
L’Oliva, che aveva già trascorso un periodo di pena in questo carcere, dal quale era stato trasferito in seguito ad una rissa con altri reclusi (sembra fosse stato accoltellato), era nuovamente stato mandato sull’isola dal carcere di Pisa tre giorni or sono.
L’omicida non aveva accettato di buon grado il nuovo trasferimento: aveva paura, non appena entrato in carcere aveva detto al direttore che voleva essere mandato altrove perché aveva rivisto tra i reclusi quelli che lo avevano aggredito e temeva per la sua incolumità. Oggi aveva chiesto di poter parlare con il giudice di sorveglianza per esporgli le sue richieste, ma è andato al colloquio con un coltello in tasca ed ha preso il magistrato in ostaggio. Mentre rinforzi di polizia e carabinieri arrivavano da Trapani, il procuratore della Repubblica ed il direttore del carcere hanno tentato per tutto il pomeriggio di convincere l’Oliva a desistere dal suo atteggiamento, ma il detenuto ha rifiutato di trattare con loro.
Ad un certo momento si è avuto il timore che la rivolta potesse coinvolgere altri reclusi: nel penitenziario ci sono fra gli altri due brigatisti rossi e Sante Notarnicola, luogotenente del bandito Cavallero, capo della banda di rapinatori che terrorizzò il Piemonte e la Lombardia con le sue sanguinose imprese. Alle 17 il detenuto ha accettato di parlare al telefono con un redattore dell’agenzia Ansa, al quale ha dettato un messaggio pretendendo che venisse pubblicato da tutti i giornali e diffuso immediatamente dalla radio e dalla televisione.
Un testo delirante, nel quale il detenuto afferma fra l’altro che «oggi un militante individualista anarchico aderente ai nuclei armati proletari, rispedendo alla brutale repressione di Stato diretta ad eliminare fisicamente il combattente all’interno delle carceri gestite dal potere borghese, ha inteso rispondere con la rappresaglia rivoluzionaria queste gravissime provocazioni sequestrando il magistrato preposto alla sorveglianza del carcere di Favignana». Rifacendosi ai primi slogans contro il potere, l’Oliva ha cercato di dare una motivazione politica al suo gesto di ribellione, sconfessata però nelle ultime righe del messaggio, dove chiede (rivelando il vero scopo della sua azione) «l’immediato trasferimento al carcere di Torino e garanzie sull’incolumità fisica e personale», promettendo che «alla minima repressione risponderà con la rappresaglia rivoluzionaria». Nonostante gli fosse stata data assicurazione che le sue richieste sarebbero state accolte, il detenuto ha continuato a tenere il magistrato in ostaggio, sorvegliando ogni mossa degli agenti e urlando che l’avrebbe ucciso se qualcuno avesse tentato di entrare.
La situazione si è fatta drammatica col passare delle ore: l’Oliva diffidava, aveva paura, temeva qualche tranello. Sordo alle assicurazioni che gli venivano date e continuava a gridare insolenze, a minacciare. Verso le 19, infine, ha lasciato entrare due magistrati, i sostituti procuratori Giangiacomo Ciaccio Montalto e Francesco Garofalo, che si sono impegnati formalmente affinché tutto quello che aveva richiesto venisse concesso. Dopo qualche tentennamento, altri scatti d’ira («Mi volete fregare, io lo ammazzo»), ha consegnato il coltello e il giudice Falcone è stato liberato. Erano le 19,30, l’incubo era finito. La Stampa 9 ottobre 1976  

 

 

Il ministero ha ceduto alle richieste del recluso di Favignana. Con il coltello alla gola del giudice ha ottenuto di tornare alle Nuove. E’ in viaggio verso Torino, scortato dai carabinieri, per essére rinchiuso alle « Nuove » secondo la sua richiesta, il rapinatore omicida calabrese Vincenzo Oliva, di 30 anni, che ieri per oltre otto ore, nel penitenziario dell’isola di Favignana -davanti alla costa di Trapani, ha tenuto in ostaggio con il coltello alla gola il giudice di sorveglianza Giovanni Falcone. Oliva, che al tempo de’ suo arresto risiedeva a Torino, si è dichiarato marxista e anarchico, sostiene di essere in rotta con le Brigate rosse. Prima di liberare il giudice, si è abbandonato a scene di isterismo nell’ufficio matricola della casa penale, dove, solo con il magistrato, per ore e ore ha parlamentato attraverso il citofono con altri giudici, inficiali dei carabinieri, Vincenzo Oliva quando fu processato per omicidio funzionari di polizia e giornalisti. Il ministèro di Grazia e Giustizia di Roma, ha accol¬ to le richieste del recluso dopo momenti di tensione e terrore; dopo aver lasciato andare il giudice Falcone, Oliva non si è lasciato disarmare, coltello in pugno, ha accolto nell’ufficio matricola due sostituti procuratori della Repubblica di Trapani, Francesco Garofalo e Glangiacomo Ciaccio Montalto. avanzando un’altra pretesa. Voleva che la radio trasmettesse immediatamente un suo comunicato. Si definiva individualista anarchico aderente ai Nap, sosteneva di avere deciso di agire contro il giudice di sorveglianza « rispondendo alla brutale repressione di Stato diretta ad eliminarefisicamente i combattenti all’interno delle carceri gestite dal potere borghese. Il tentativo dì emarginare all’interno delle carceri le masse detenute è miseramente fallito, nonostante le controrivoluzionarie licenze-trappola ». La resa si e avuta dopo un concitato susseguirsi di telefonate con Roma quando l’Ansa e la radio hanno diramato la notizia. Vincenzo Oliva era stato .trasferito da tre giorni a . Favignana dal carcere di Pisa. Aveva paura^ perché due anni, fa — méntre era recluso sempre a Favignana — altri detenuti armati di coltello lo’ avevano assalito,’ minacciandolo. Ora temeva per la sua vita e aveva chiesto al dott. Agostino Mulè, direttore del penitenziario dell’isola, di essere subito mandato altrove, ma non era stato accontentato. Così, quando ieri mattina il giudice Falcone è’andato a Favignana per sbrigare alcune pratiche inerenti il suo ufficio, OJiva s’è fatto avanti e l’ha tirato da parte puntandogli un coltello alla gola. Quindi ha fatto uscire tutti gli altri e si è asserragliato nell’ufficio matricola. Nel carcere, dove si tro¬ vavano numerosi detenuti politici (fra gli altri due brigatisti rossi e Sante Nòtarnicola, l’ergastolano della banda Cavaliere che, come si sa, si definisce anch’egli detenuto politico «vittima del sistema»), la situazione è rimasta calma per tutta la giornata, anche se è rimasto in vigore 10 stato di allarme. Chi sia Vincenzo Oliva, è presto detto. Un calabrese emigrato a Torino che 11 9 maggio del ’64 (aveva allora 18 anni) a Sanremo rapinò e uccise senza pietà Ottavio Perrone, di 44 anni, addetto ad un distributore di benzina. Commise il delitto per trentamila lire. Lo stesso giorno, ad Arma di Taggia, aveva ra pinato due negozianti por tando via loro poche deci ne di migliaia di lire. Il 25 ottobre ’68 fu condannato a trent’anni di reclusione. Ora si aggiungerà. l’Inevitabile condanna che gli sarà inflitta per il sequestro del giudice trapanese. LA STAMPA 9.10.1976

GIOVANNI FALCONE, l’uomo e il magistrato