“𝗡𝗲𝘀𝘀𝘂𝗻 𝗰𝗮𝘀𝗼 𝗡𝗮𝘁𝗼𝗹𝗶 𝗘̀ 𝘂𝗻 𝗽𝗿𝗲𝘁𝗲𝘀𝘁𝗼 𝗽𝗲𝗿 𝗳𝗮𝗿𝗺𝗶 𝗳𝘂𝗼𝗿𝗶 𝗱𝗮𝗹𝗹’𝗔𝗻𝘁𝗶𝗺𝗮𝗳𝗶𝗮”
La vicenda delle intercettazioni con l’ex pm Gioacchino Natoli, prima della sua audizione in Commissione Antimafia, è un tentativo di “strumentalizzazione”.
L’obiettivo: “Estromettermi dai lavori di Palazzo di San Macuto”. Ne è convinto Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo, oggi senatoreM5S, finito tra le polemiche per i suoi colloqui registrati con Natoli, indagato a Caltanissetta con l’accusa di aver partecipato all’insabbiamento di una vecchia indagine sui fratelli Buscemi.
𝐒𝐞𝐧𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞, 𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐯𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐍𝐚𝐭𝐨𝐥𝐢?
Da decenni con l’ex collega Natoli intratteniamo conversazioni sulle comuni esperienze di lavoro alla Procura di Palermo e sui tragici eventi del ‘92. Colloqui proseguiti anche dopo che, nel corso di una audizione alla Commissione Antimafia, vi furono illazioni sulla regolarità della gestione di un’indagine da lui archiviata nel ’92 e di cui non mi sono mai occupato.
𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐋𝐚 𝐕𝐞𝐫𝐢𝐭𝐚̀ 𝐚𝐯𝐞𝐭𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐧𝐮𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐢 𝐍𝐚𝐭𝐨𝐥𝐢 𝐢𝐧 𝐀𝐧𝐭𝐢𝐦𝐚𝐟𝐢𝐚.
Non è così. Nell’esternarmi la propria amarezza, Natoli mi ha detto che aveva richiesto alla Commissione Antimafia d’essere ascoltato per produrre documenti e svolgere argomenti attestanti la correttezza del suo operato. Questioni esposte anche in varie interviste. Come risulta dal resoconto della sua audizione dinanzi alla Commissione, su tale specifica vicenda non ho posto al cuna domanda. Quindi non si è concordato un bel niente. Ho posto invece domande su altri fatti che non riguardavano la sua vicenda personale e in ordine alla maggior parte dei quali già in passato Natoli aveva reso ampie dichiarazioni in pubblici dibattimenti, documentate agli atti, che mi erano note per pregresse indagini.
𝐌𝐞𝐬𝐢 𝐟𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞𝐢 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐬𝐜𝐨𝐥𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐢 𝐩𝐦 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐭𝐞𝐬𝐭𝐢𝐦𝐨𝐧𝐞: 𝐥𝐞 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢?
È falso, come ho già dichiarato, che la Procura di Caltanissetta mi abbia chiesto spiegazioni su brani di conversazioni tra me e il dottor Natoli casualmente intercettati, perché, evidentemente, non è stato ravvisato niente di irregolare né di rilevante ai fini delle indagini, trattandosi di conversazioni tra due ex colleghi che si scambiano opinioni su fatti del passato e sui processi sulle stragi. È chiaro che tale specifica vicenda sarebbe rimasta priva di rilievo, se non si fosse innestata su un terreno ad altissimo coefficiente politico.
𝐀 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢 𝐫𝐢𝐟𝐞𝐫𝐢𝐬𝐜𝐞?
Le stragi del 1992/1993 rimangono una questione ad altissima densità politica e una partita ancora aperta, come dimostra, tra l’altro, il prolungarsi nel tempo, sino ad epoca recentissima, di gravissimi tentativi di depistaggio. Alcuni gangli dei centri di potere che in quegli anni orientarono per motivi politici l’azione dei mafiosi, intervenendo nella fase ideativa, nella logistica e nei successivi depistaggi, sono rimasti attivi nel tempo anche dopo gli eccidi, operando dietro le quinte per impedire l’emersione di verità di portata destabilizzante, inducendo al silenzio depositari di segreti scottanti, creando false piste, occultando documenti.
𝐈𝐥 𝐝𝐞𝐩𝐢𝐬𝐭𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐠𝐢 𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐨𝐫𝐚 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨?
Le stragi sono ancora tra noi. È incorso il “gioco grande del potere”, per usare la locuzione di Giovanni Falcone, che si svolge nella inconsapevolezza della pubblica opinione, indotta a credere che gli unici responsabili siano stati i mafiosi già condannati, i quali sarebbero stati animati solo da interessi interni all’organizzazione. Lo stesso riduzionismo praticato a lungo, non a caso, anche per le stragi politiche della strategia della tensione che si volevano addossare solo alla esclusiva responsabilità degli esecutori neofascisti, mettendo al riparo i livelli superiori con ripetuti depistaggi, analoghi a quelle posti in essere nelle stragi mafiose.
𝐃𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐜𝐮𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐚𝐠𝐠𝐢𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐏𝐚𝐥𝐞𝐫𝐦𝐨 𝐥𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐨𝐫𝐝𝐢𝐧𝐨̀ 𝐥’𝐢𝐧𝐝𝐚𝐠𝐢𝐧𝐞 “𝐒𝐢𝐬𝐭𝐞𝐦𝐢 𝐜𝐫𝐢𝐦𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢”, 𝐚𝐫𝐜𝐡𝐢𝐯𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐢 𝐯𝐞𝐧𝐭’𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐟𝐚. 𝐒𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐠𝐢 𝐜’𝐞𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐦𝐚𝐟𝐢𝐚, 𝐦𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞𝐦𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐧𝐞𝐫𝐨 𝐞 𝐦𝐚𝐬𝐬𝐨𝐧𝐞𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐯𝐢𝐚𝐭𝐚.
Nel corso della mia precedente attività di magistrato ho tentato di dare un contributo per far emergere i retroscena segreti delle stragi fino al mio ultimo giorno di lavoro, ma io e i colleghi che ci siamo mossi in questa direzione ci siamo dovuti scontrare contro un muro di ostracismo. Divenuto componente della Commissione Antimafia ho redatto una memoria di 58 pagine, consegnata nel settembre 2023 alla Presidenza della Commissione, nella quale ho indicato, anche con profili inediti, tutti i principali buchi neri delle stragi, specificando i testi da sentire e i documenti da acquisire.
Mi sono dovuto rendere conto che la maggioranza parlamentare che governa la Commissione non ha alcuna intenzione di coltivare piste di indagine che possono portare ai livelli superiori a quelli della mafia militare.
𝐋𝐚 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐢𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐢𝐧𝐝𝐚𝐠𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐮 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞𝐬𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞 𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐍𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚?
Non solo non sono stati ascoltati neppure i testi più importanti indicati nella memoria, nonostante reiterate richieste, ma ho dovuto prendere atto che è stato scelto un metodo di lavoro completamente opposto a quello applicato da Falcone e Borsellino, i quali ci hanno insegnato che occorre ricostruire i contesti per trovare la chiave di lettura dei singoli fatti criminosi. È stato invece prescelto il cosiddetto metodo Carnevale del frazionamento del quadro probatorio, impedendo così una visione unitaria del piano stragista del1992/1993. L’indagine conoscitiva sulla strage di via D’Amelio è stata infatti artificiosamente isolata e disconnessa da quella di Capaci e da quelle del 1993, impedendo così di individuare il filo rosso che tutte le unisce, ed eclissando gli elementi comuni che chiamano in causa soggetti esterni in fasi cruciali.
𝐋𝐚 𝐦𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐦𝐦𝐢𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐫𝐞𝐩𝐥𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞: 𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐩𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐠𝐞 𝐁𝐨𝐫𝐬𝐞𝐥𝐥𝐢𝐧𝐨.
Il metodo non è neutro rispetto al risultato. Restringendo il piano conoscitivo sul letto di Procuste di una sola strage e per dipiù di una sola pista, si precondiziona l’esito stesso dell’indagine nella direzione voluta, esclusivamente mafiocentrica.
𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐜’𝐞𝐧𝐭𝐫𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐞 𝐍𝐚𝐭𝐨𝐥𝐢?
È evidente: si sta tentando di strumentalizzare la vicenda dei colloqui col dottor Natoli in tutti i modi per proseguire nel tentativo di estromettere dai lavori della Commissione una presenza ritenuta sin dall’inizio scomoda come la mia. Ma io proseguirò a fare il mio dovere, come sempre, per contribuire a fare emergere la parte di verità sinora rimasta sommersa perché scomoda per tanti. Un paese privato della possibilità di conoscere la tragica verità della propria storia, è condannato a nutrirsi del placebo della retorica ufficiale che, come diceva Leonardo Sciascia, è il sudario dietro il quale si celano le piaghe purulenti della nazione.
Giuseppe Pipitone sul Fatto del 13/10/2024