23.10.2024 Comm. antimafia, Scarpinato: conflitto d’interessi è degli amici dei politici collusi – AD

 


L’intervento dell’ex procuratore generale di Palermo su Rai 3 a “Lo Stato delle cose”

Il “conflitto di interesse c’è in questa commissione” antimafia, ed è “dei componenti di questa Commissione, che sono stati amici e solidali di tutti i politici collusi con la mafia che io ho fatto condannare e arrestare”. Così l’ex procuratore generale di Palermo e senatore Roberto Scarpinato ha risposto alle accuse dei membri della maggioranza di governo basate su una bislacca teoria diffusa dal quotidiano ‘La Verità‘, nella quale veniva riportato che l’ex magistrato avrebbe ‘aggiustato’ la deposizione di Gioacchino Natoli, ex componente del pool antimafia, durante l’audizione della Commissione, convocata per discutere sulla vicenda Mafia-appalti.
Scarpinato, ospite ieri alla trasmissione “Lo Stato delle cose” condotta dal giornalista Massimo Giletti su Rai 3 ha smentito la ricostruzione del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro: “Io ho parlato con Natoli prima ancora che iniziasse l’audizione della Commissione Antimafia, perché l’avevo indicato in quella memoria di 57 pagine come una delle persone che dovevamo sentire, perché ci doveva dire quello che gli aveva detto Paolo Borsellino, ci doveva dire quello che gli aveva confidato Paolo Borsellino sulle sue paure nei confronti dei servizi segreti. Quindi era un mio teste. E su queste cose Natoli aveva fatto dichiarazioni nel pubblico dibattimento nel 2017. Quindi io lo volevo sentire per questi motivi. È per questo che io gli dicevo: ‘guarda che ti sentiremo su queste cose’. Di questo parlavamo”.

Quindi nessun dato privato o penalmente rilevante: “Non ho mai parlato di documenti privati. Ma di cosa parliamo? Mi pare una cosa ridicola“, ha detto, specificando che “io stavo chiedendo un chiarimento a Natoli su una dichiarazione che aveva rilasciato al tribunale, che era pubblica. E in ogni caso se lo avessero sentito da me non ci sarebbe stato alcun problema, perché non avrei rivelato nessun dato coperto da segreto”.
Ma quindi qual’e il vero motivo delle accuse contro l’ex procurare generale palermitano, che ricordiamo essere stato il redattore della famosa lettera con la quale si riuscì ad allontanare l’ex procuratore della Repubblica Pietro Giammanco dalla Procura di Palermo: “Io sono uno dei pochi magistrati che non ha mai accettato che la strage di Capaci, di Via d’Amelio, di Firenze e di Milano siano state fatte soltanto dalla mafia. Noi abbiamo fatto indagini che dimostrano che dietro quelle stragi non c’era solo la mafia, ma c’erano uomini potenti che appartenevano alla politica, alla massoneria deviata, alla destra eversiva e ogni volta che abbiamo voluto fare quelle indagini siamo entrati nell’occhio del ciclone. Alcuni di noi hanno avuto procedimenti disciplinari. Quando sono uscito dalla magistratura, sono arrivato alla Commissione Parlamentare di Mafia e dico: ‘vediamo se finalmente possiamo fare indagini sui mandanti e sui complici esterni che hanno fatto il depistaggio’. E quindi ho scritto una memoria di 57 pagine dove ho elencato tutti i buchi neri delle stragi, ho indicato tutti i testimoni che dovevamo sentire. Sa qual è stato il risultato? Non solo non hanno sentito nessun testimone, ma da quel momento è iniziata la guerra nei miei confronti, da quel momento mi dovevano buttare fuori dall’antimafia“, ha spiegato.

L’inchiesta mafia-appalti

Ci fu un’iniziale archiviazione di una parte che non era supportata da prove e poi ci fu una ripresa delle indagini; e poi ci furono un’ondata di arresti e una raffica di condanne. L’inchiesta mafia-appalti del febbraio 1991 fu un’indagine in progresso con vari atti. Prima fu assegnata a tutti i membri del pool antimafia. Poi si fece il rinvio a giudizio dei sette che vennero arrestati, i primi a giugno 1991 ed i secondi a gennaio 1992. Il rinvio a giudizio fu del maggio 1992. Dopo vi fu uno stralcio sulla parte più importante dell’inchiesta: appalti di mille miliardi di lire, gestiti dalla Sirap. Lo stralcio è del giugno 1992. Restava una parte residuale con alcuni personaggi nei cui confronti non erano ancora stati acquisiti sufficienti elementi per un rinvio a giudizio.
Scarpinato, durante la trasmissione, ha ribadito che “quell’inchiesta non è stata mai archiviata, non si è mai interrotta. Abbiamo arrestato 200 tra politici, imprenditori, i massimi vertici nazionali”.


Amurri: Giammanco è stato sentito dai magistrati nel 2017

“Tutti pensano che Pietro Giammanco non sia mai stato sentito dall’attualità giudiziaria. Questo non è vero, non corrisponde al vero”.Sarebbe, ha detto la giornalista Sandra Amurri, “nel 2017, poco prima che morisse. Gabriele Paci e Lia Sava, allora procuratori aggiunti a Caltanissetta, sono andati a sentire a Palermo Giammanco. Il verbale “io l’ho richiesto alla procura di Caltanissetta” ma hanno riposto che “è coperto da segreto perché è stato depositato in un procedimento tuttora in corso”. L’ex capo della procura di Palermo morì a 87 anni e la sua gestione fu caratterizzata soprattutto dalle polemiche e da una contrapposizione tra il capo dell’ufficio e Giovanni Falcone. Contrasti diretti li ebbe anche con Borsellino il quale aveva confidato alla moglie Agnese di avere appreso casualmente e non da Giammanco, che ne aveva conoscenza, che un pentito aveva rivelato l’arrivo di un carico di esplosivo destinato a un attentato contro di lui. Negli ultimi giorni di vita Borsellino era “molto piegato“, ha detto l’ex pm e oggi avvocato Antonio Ingroia: “C’era stata ovviamente la terribile strage di Capaci e sentiva anche, diciamolo, la morte incombente. Però nel contempo sentiva questo senso di isolamento, di accerchiamento. Io ricordo tanti episodi”. Per esempio “io ricordo che i magistrati, quando Falcone e Borsellino erano in vita, ritenuti, tra virgolette, vicini a Falcone e Borsellino, erano chiamati con disprezzo i falconiani. E i falconiani erano tutto dire, perché la maggior parte, dobbiamo dirlo, la maggior parte dei magistrati a Palermo, soprattutto quelli che ricoprivano ruoli di vertice, parlavano malissimo di Giovanni Falcone”. C’era – ha continuato l’ex magistrato – un gruppo dirigente di cui il procuratore Giammanco era espressione. Un gruppo dirigente che aveva sostanzialmente circondato, vorrebbe dire accerchiato, Giovanni Falconeprima e Paolo Borsellino poi, quando andò a ricoprire lo stesso incarico di Falcone dopo che Falcone era andato via. Un gruppo di potere che si formava su un modo di applicare la legge diseguale, cioè un doppio pesismo, debole con i potenti e implacabili con i deboli”.

Anche il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo ha parlato del clima opprimete che vi era dentro la procura palermitana: “Falcone era la pecora nera del tribunale di Palermo. Falcone è stato quello che realmente ha fatto la lotta alla mafia”;non era, diciamo, amico di Giammanco, perché era odiato da tutti i mafiosi per la sua intelligenza. Ma oltre, diciamo, ai mafiosi, lui aveva anche questo astio con i suoi colleghi”, ha spiegato Mutolo. “Allora, siccome lui era un uomo molto preciso e molto onesto, era veramente l’emblema degli uomini d’onore, perché gli uomini d’onore dovrebbero essere queste persone, non i mafiosi. E io gli dico: desidero collaborare, ma desidero collaborare in modo diverso da come ha collaborato Buscetta, Contorno e Mannoia. Lui subito mi fa dire: Gaspare, guarda che io non posso prendere le tue dichiarazioni perché sono ora a Roma, sto facendo un altro lavoro, sono negli affari penali, però parla con Paolo” e “mi convinco di parlare con Paolo Borsellino” e desidero collaborare “soltanto con Borsellino”. Mutolo fa poi riferimento a ciò che avvenne il 25 giugno 1992 quando, alla domanda su cosa lui volesse fare in merito alla scelta di collaborare con la giustizia, lui replicò: “Se mi fate interrogare da Borsellino, io ci sto ancora”, e al giorno seguente, di fronte al magistrato Pier Luigi Vigna e alla dottoressa Silvia Della Monicapronunciò le parole con le quali imboccò definitivamente la strada dei collaboratori di giustizia. Ingroia ha ricordato che “Mutolo era considerato il nuovo Buscetta, così me lo presentò Borsellino: ‘Ti dico riservatamente cosa sta accadendo. Arriverà un verbale da Piero Vigna dove questo collaboratore, che è stato autista di Riina, ci può far catturare Riina’. Siamo nel luglio del ’92”. “Succede qualche giorno dopo che lui era furioso perché aveva saputo da Vigna che era stato mandato il verbale in procura e Giammanco non gli aveva detto niente. Non solo non gli aveva detto nulla, ma aveva saputo, Paolo, che il fascicolo era stato assegnato ad altri. C’era il procuratore aggiunto Vittorio Aliquò e poi Lo Forte e Natoli. C’è una sfuriata che mi raccontò. Borsellino andò da solo, ovviamente, da Giammanco. Ci fu una sfuriata. Alla fine di questa sfuriata, Giammanco si giustificava dicendo che non poteva assegnare il fascicolo a Borsellino perché Borsellino si doveva occupare solo della provincia di Trapani; guai a toccare fili scoperti sulla provincia di Palermo, che aveva l’autorizzazione da Giammanco di partecipare agli interrogatori, ma il coordinamento sarebbe rimasto a Aliquò e la gestione ai due sostituti, che erano Lo Forte e Natoli, al tempo dell’indagine”. 

Un amico mi ha tradito

Massimo Russo, ad oggi magistrato presso la Procura dei minori di Palermo, all’inizio della puntata ha raccontato l’episodio in cui, assieme alla giovane collega Alessandra Camassa, raccolse le parole di Paolo Borsellino secondo cui un amico lo avrebbe tradito: “Ci fece entrare e trovammo un Paolo Borsellino assai diverso da quello che avevamo conosciuto: sorridente, ironico, con la sigaretta in bocca, un Paolo Borsellino che ci accolse. Era affranto, affranto per Falcone, ma subito ci disse, ci aggiunse, ci confidò inaspettatamente qualcosa che profondamente lo turbava. Fece il giro dalla sua scrivania, ci venne incontro, ci abbracciò, ci disse che era stato a Roma, a una cena, credo con dei carabinieri. Ma, insomma, a un certo punto ci disse: ‘Un amico mi ha tradito’. E scoppiò a piangere, gli scesero le lacrime e si lasciò andare, quasi cadendo sul divano che c’era sulla destra”.
“E fui io
– ha continuato – a cambiare discorso e a chiedergli: ‘Paolo, qui com’è la situazione? Come ti trovi?’ Lui rispose in maniera secca, scuotendo la testa: ‘Qui è un nido di vipere'”.

ARTICOLI CORRELATI

Tra Commissione antimafia e Procura nissena è teatro dell’assurdo
di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari

La Commissione antimafia della Colosimo e la Procura di Caltanissetta fanno lo stesso lavoro?
– di Saverio Lodato

Filone mafia-appalti, indagato ex pm Natoli per favoreggiamento e calunnia

Gioacchino Natoli: ”Bobine sui Buscemi mai distrutte. Ecco i fatti”

Intervista all’ex Presidente della Corte d’Appello di Palermo dopo le false accuse dell’avvocato Trizzino

Filone mafia-appalti, pm nisseni: intercettazioni trascurate su indagini di Massa Carrara

Inchiesta su Natoli: chi scrisse la frase sull’atto di distruzione dei brogliacci sui Buscemi?

Pista mafia-appalti, a Caltanissetta indagato anche il generale Screpanti

Scarpinato: “I miei colloqui con Natoli? Un pretesto per estromettermi dall’Antimafia”