7.10.2023 ARCHIVIO 🟧 Audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino. E la stampa e il M5S la buttano in caciara…

 


Come riportato da Adnkronos, “è polemica sul senatore Roberto Scarpinato (M5S) nel corso del proseguimento dell’audizione del Lucia Borsellino, figlia del giudice ucciso nella strage di via D’Amelio, e dell’avvocato Fabio Trizzino, legale della stessa Lucia, di Manfredi e Fiammetta Borsellino. Nelle scorse sedute Scarpinato era stato citato dall’avvocato Trizzino per il ruolo che all’epoca ricopriva come magistrato.

Scarpinato, oggi componente dell’organismo parlamentare, ha preso la parola premettendo: ‘Non farò domande sulle parti delle dichiarazioni di Trizzino in cui ha fatto riferimento alla mia persona’, motivando la sua scelta con una questione di ‘eleganza istituzionale’ e precisando: ‘Il mio silenzio non venga frainteso come acquiescenza alle dichiarazioni di Trizzino che ritengo in alcuni punti inesatte’.”

Come è accaduto con le precedenti audizioni, nonostante i fatti gravissimi trattati in Commissione parlamentare di inchiesta, con l’audizione di Lucia Borsellino e Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino, nonostante siano emersi fatti, nomi e circostanze relative alle stragi nelle quali persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e i componenti delle loro scorte, salvo rarissime eccezioni il mondo dell’informazione sembra preferire l’omertoso silenzio che a ben altre categorie di soggetti dovrebbe appartenere.

Alle audizioni è stata presente  anche Lucia Borsellino, figlia del giudice, la quale ha chiesto che “le componenti statuali facciano piena luce su particolari dettagli della vita di mio padre in quei 57 giorni” trascorsi tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio.

Punto fondamentale della ricostruzione sulle ragioni che portarono in particolare alla strage di Via D’Amelio, il dossier Mafia-appalti, un’indagine voluta da Giovanni Falcone e che Paolo Borsellino avrebbe voluto poter proseguire con il R.O.S  di Mori e De Donno, individuando proprio in quell’indagine una delle cause che avrebbero portato alla strage di Capaci e alla morte del suo amico Giovanni Falcone.

A tentare di sminuire questa ipotesi, offrendo un’errata prospettazione del Rapporto dei carabinieri del R.O.S. del febbraio 1991, suggerendo l’ipotesi di una doppia informativa da parte dei carabinieri che avrebbe impedito l’immediato e pieno svolgimento delle indagini da parte della Procura di Palermo,  il dott. Lo Forte e il dott. Scarpinato, quest’ultimo oggi senatore del M5S e componente della Commissione.

Falcone- come riportato in un articolo di Giuseppe D’Avanzo, “valutò il rapporto con grande attenzione. Giammanco e i suoi sostituti più fidati con scetticismo. Anzi, con scherno. ‘Tanta carta per nulla, in questo rapporto non c’ è scritto niente che merita di diventare inchiesta giudiziaria’, disse uno dei fedelissimi di Giammanco”.

LA DOPPIA INFORMATIVA

Scarpinato e Lo Forte hanno sempre sostenuto che la Procura di Palermo non fosse stata messa a conoscenza della preparazione della c.d. Informativa SIRAP, fatti smentiti nel suo provvedimento dalla dr.ssa Gilda Lo Forti, attraverso il richiamo a precisi riscontri documentali attestanti il doveroso passaggio di informazioni dall’organo investigativo all’organo requirente, in particolare i sostituti procuratori Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte: “…sembra davvero, poco credibile che i detti magistrati requirenti – che pure, come già si è riferito sopra, venivano costantemente informati anche per le vie brevi dei progressivi sviluppi delle intercettazioni – non abbiano neppure avuto la curiosità investigativa di conoscere i termini delle già emerse commistioni…  Se ne deve dedurre, quindi, che la omessa trasmissione, da parte dell’organo di p.g. nel febbraio del 1991, di parte delle intercettazioni telefoniche era ben nota ai dott. Lo Forte e Pignatone, i quali erano, inoltre, in possesso – come Ufficio – dei brogliacci e delle bobine, sicché erano bene in condizione, sia di leggere i primi, che, rilevata l’assenza delle trascrizioni delle intercettazioni sulle utenze SIRAP, di richiederne la immediata trascrizione allo stesso organo di p.g., ovvero di disporla, ancora, essi stessi nelle forme della consulenza tecnica”.

L’inerzia della Procura di Palermo potrebbe trovare una spiegazione logica nelle perplessità espresse dalla stessa dr.ssa Gilda Lo Forti circa l’opportunità che ad occuparsi delle indagini vi fosse anche il dott. Giuseppe Pignatone, il cui padre era presidente della società regionale E.S.P.I. ente azionista, unitamente alla FI.ME., della società SIRAP che aveva o avrebbe bandito le venti gare per la realizzazione delle aree attrezzate per il complessivo importo di mille miliardi, gare sulle quali si erano concentrati gli interessi illeciti, anche di natura mafiosa, volti alla loro manipolazione.

Conseguentemente “Avuto riguardo, quindi, alla qualità del di lui padre, Presidente dell’ESPI, una più attenta valutazione di opportunità avrebbe, forse, potuto suggerire al dott. Pignatone, pur in assenza di un evidente obbligo di astensione tenuto conto che, almeno formalmente, la società oggetto di indagine era diversa dall’ESPI, di evitare di occuparsi delle vicende in questione, fin dal momento in cui si trattò di richiedere le autorizzazioni alle intercettazioni telefoniche proprio sulle utenze della SIRAP o le proroghe delle stesse. Infatti, tale rapporto di filiazione, in uno al fatto che, da un lato, il dott. Pignatone si occupò delle richieste di intercettazione e di loro proroga prima menzionate, dell’esame della informativa del febbraio del 1991, contenente espressi riferimenti alla SIRAP ed alla sua gestione di taluni pubblici appalti, nonché della redazione della richiesta di cattura che tanta eco, in termini sicuramente non positivi, ebbe sulla stampa dell’epoca, può avere obiettivamente ingenerato il convincimento che le strategie processuali seguite, all’epoca, dalla Procura di Palermo fossero state, sia pure indirettamente e prescindendosi dalla loro valutazione di carattere prettamente tecnico, influenzate dal fatto che il Presidente di uno dei due unici soci azionisti della SIRAP fosse, per l’appunto, il padre del dott. Pignatone.

Al di là di tale ultima condivisibile notazione della dr.ssa Lo Forti, esistono ben precisi dati documentali che smentiscono categoricamente l’ancoraggio della archiviazione del 13/22 luglio 1992 alla mancata conoscenza da parte della Procura di Palermo della circostanza che l’organo investigativo stesse preparando una seconda informativa.

Come emerge da una nota del Raggruppamento Operativo Speciale Carabinieri del 30 giugno 1992 indirizzata al dott. Guido Lo Forte, quest’ultimo in data 28 maggio 1992 aveva espressamente autorizzato l’organo investigativo al riascolto delle conversazioni telefoniche di cui ai decreti 58/90 e 149/90 del 26 febbraio 1990 e del 15 maggio 1990 emessi dalla Procura di Palermo.

Si trattava, in particolare, del riesame dei registri di ascolto e delle relative bobine riguardanti le utenze telefoniche intestate alla SIRAP spa di Palermo, società già oggetto di indagine.

In essa nota il capitano De Donno riferisce letteralmente: “il servizio svolto ha consentito, sulla base delle nuove risultanze investigative emerse, di valutare meglio alcune conversazioni telefoniche tra i personaggi d’interesse. Tali conversazioni sono state trascritte ed i relativi verbali saranno, salvo diverso avviso della S.V., inviati successivamente e contestualmente alla nota informativa concernente illecite attività nel campo degli appalti pubblici”.

Sulla base degli atti, dunque, il capitano De Donno Il 30 giugno 1992 ebbe ad avvertire il dott. Lo Forte della conclusione della già autorizzata attività supplementare di riascolto, rimettendosi alle valutazioni della Procura di Palermo circa il deposito delle relative risultanze nell’ambito della nota informativa concernente illecite attività nel campo degli appalti pubblici. Si tratta della famosa informativa SIRAP, successivamente depositata dal Capitano De Donno il 05 settembre del 1992.

D’altra parte, nel mese di giugno del 1992 la Procura di Palermo aveva operato uno stralcio con riferimento agli appalti Sirap.

Si tratta, in particolare, dello stralcio del 15 giugno 1992 disposto dai sostituti procuratori Scarpinato e Lo Forte, il cui contenuto offre una smentita definitiva e clamorosa alla teoria della doppia informativa dagli stessi sempre prospettata a giustificazione della necessità di archiviare le posizioni residue il 13/22 luglio del 1992.

Nel provvedimento di stralcio, essi scrivono “Letti gli atti del procedimento penale 2789/90 N.R. instaurato nei confronti di Siino Angelo ed altri per il reato di cui all’art.416 bis C.P.;

rilevato che, nell’ambito di detto procedimento, appaiono concluse le indagini riguardanti le persone indagate mentre sono tuttora in corso di evasione alcuni accertamenti già delegati da questa Procura della Repubblica al ROS dei Carabinieri con particolare riferimento ai finanziamenti ottenuti dalla SIRAP S.p.A. alle conseguenti gare di appalto ed alle pubbliche amministrazioni interessate (vedi in particolare delega del 22.07.1991);

                                                          P.Q.M.

Ordina la separazione dal procedimento N.2789/90 N.R. degli atti indicati in premessa e dispone che gli stessi siano iscritti nel registro notizie di reato di quest’ufficio come “Indagini preliminari già delegate al ROS dei Carabinieri nell’ambito del procedimento n.2789/90 N.r. con particolare riferimento ai finanziamenti ottenuti dalla SIRAP e alle conseguenti gare di appalto ed alle pubbliche amministrazioni interessate”.

Dunque, con provvedimento di Scarpinato e Lo Forte, il 15 giugno 1992 nasce il procedimento N.3541/92 relativo alla Sirap, dando atto nella premessa che si è in attesa dell’evasione di alcuni accertamenti già delegati al R.O.S. dei carabinieri.

De Donno il 30 giugno del 1992 comunica di averli conclusi e si rimette alle decisioni della Procura, lasciando intendere che vi è già un accordo per trasfondere le relative risultanze investigative in una seconda informativa, salvo il diverso avviso della Procura circa il deposito immediato delle stesse.

L’informativa SIRAP, dunque, non fu un atto a sorpresa ma concertato in ogni passaggio dai sostituti procuratori Scarpinato e Lo Forte, i quali hanno dichiarato di avere iniziato a predisporre in minuta la richiesta di archiviazione del 13/22 luglio 1992 fra la fine di maggio ed i primi di giugno del 1992, ancor prima, dunque, del provvedimento di stralcio del 15 giugno del 1992.

Ma la dimostrazione più evidente della inconsistenza delle argomentazioni addotte dai due magistrati, emerge dal contenuto delle dichiarazioni rese dal Geometra Giuseppe Li Pera nel corso degli interrogatori resi al dott. Felice Lima il 13/14/15 giugno 1992, antecedentemente, dunque, al provvedimento di stralcio del 15 giugno 1992.

LA SIRAP

Al centro della deposizione di Li Pera vi è la spiegazione dell’illecito sistema di gestione degli appalti della SIRAP già compiutamente individuato dal R.O.S. dei carabinieri nel Rapporto del febbraio del 1991, con riferimento al ruolo preponderante svolto dagli imprenditori nell’illecita aggiudicazione degli appalti.

Sotto questo particolare profilo, va ancora una volta ricordato che il dott. Borsellino, nel corso della riunione del 14 luglio 1992, sollevò l’obiezione di carattere generale relativa alla posizione e al ruolo nel Sistema di gestione criminale degli appalti pubblici, segnatamente degli imprenditori, cui la Procura di Palermo aveva, de plano, riconosciuto il ruolo di vittime della tracotanza mafiosa.

Giuseppe Li Pera in quegli interrogatori, pur prendendo atto dei limiti di competenza prospettati dall’ufficio del pubblico ministero procedente,  descrisse, secondo una prospettiva più generale, il meccanismo di funzionamento del sistema degli appalti, e, in particolare, del ruolo della società  RIZZANI DE ECCHER,  per la quale lavorava da oltre 22 anni, ricoprendo dal 1989 il ruolo di responsabile della gestione della maggior parte dei cantieri operanti in Sicilia e, soprattutto, della gestione c.d. commerciale della partecipazione dell’impresa agli appalti con sede in Sicilia.

Nello svolgimento di tali funzioni, aveva quali referenti diretti i titolari dell’impresa, Marco e Claudio De Eccher. In particolare, godeva della massima fiducia di Claudio, quale responsabile degli aspetti connessi all’acquisizione degli appalti e dei lavori, e di cui eseguiva le concertate direttive.

È Li Pera che nel verbale pomeridiano del 14 giugno 1992 offre uno spaccato del sistema degli appalti, narrando di come non facesse nulla che riguardasse la partecipazione a gare d’appalto e/o la gestione di questa organizzazione senza concordare con il Claudio De Eccher e con la sede centrale della RIZZANI, facendo riferimento anche alla S. I. R.A. P., una S.p.A. a capitale totalmente pubblico, di cui erano soci la FI.ME. eI’E.S.P.I., ente controllante della SIRAP, il cui presidente era il padre del dott. Pignatone, che per ragioni di opportunità avrebbe ben fatto ad astenersi da quell’indagine.

Il funzionamento della gestione degli affari della S.I. R.A. P., è ben spiegato dalle dichiarazioni rese da Li Pera nel verbale del 14 giugno 1992:

La gestione di tutti gli affari della S.I. R.A. P. è avvenuta e avviene secondo un meccanismo operativo complesso e articolato, ben collaudato, che ha consentito e consente di pilotare opportunamente tutti appalti in questione, assicurando la tutela degli interessi di lucro privato di tutti i protagonisti di queste operazioni. Questo meccanismo cli gestione si fonda su un triplice asse di rapporti. Su un triangolo (per usare un’espressione figurata) i cui tre vertici sono costituiti dai politici interessati, dagli imprenditori e dai funzionari dei vari enti appaltanti e finanziatori. Quanto al ruolo dei referenti politici, va detto innanzitutto che la S. I. R.A.P.  è un ente voluto da alcuni personaggi politici al fine di gestire una certa fetta cospicua dei finanziamenti derivanti dalla legge 64/1986. Proprio per perseguire tale fine, i politici hanno fatto in modo che la S. I. R.A. P. abbia di fatto l’esclusiva e il monopolio nella gestione di tutti appalti dello specifico settore relativo agli insediamenti artigianali in Sicilia. Il ruolo dei politici è consistito, innanzitutto, nel creare la S.I.R.A.P. È consistito e consiste, poi, nell’ adoperarsi perché un determinato progetto di opera pubblica possa superare i vari passaggi dell’iter amministrativo-burocratico necessari e fare approvare il progetto, approvare e stanziare il Finanziamento e fare accreditare le relative somme alla S. I. R.A. P. che poi le gestisce secondo una logica corrispondente’ alla composizione delle aspettative dei tre centri interessi di cui ho detto con I ‘esempio del triangolo. La storia di qualunque opera pubblica fra quelle rientranti nell’ ampissimo programma S.I R.A. P. inizia con la scelta, da parte di uno dei politici che partecipano all’”operazione”, di un progettista di loro fiducia, al quale la S.I.R.A.P. affida l’incarico di redigere un progetto di insediamento artigianale da realizzare in un determinato paese, La legge 64/1986 prevede per ciascun anno una serie di finanziamenti suddivisi per destinazione. Ogni anno, quindi, vi è una certa somma di denaro destinata per legge a certi tipi di investimenti pubblici. Quando è stata promulgata la legge 64/1986, un certo gruppo di politici si è interessato alla “gestione “delle somme che sarebbero state destinate alla realizzazione degli di insediamenti artigianali. Questi politici hanno fatto costituire la S.I. R.A. P. e hanno invitato gli amministratori di molti Comuni della Sicilia (nell’ambiente si parlava di circa 120 Comuni) a presentare alla S. I. R.A. P. stessa domanda per l’ammissione al finanziamento per la realizzazione di un’area artigianale nel proprio territorio. Alcuni Comuni che non lo avevano previsto sono stati invitati a modificare loro strumenti urbanistici, prevedendo in essi la costituzione di un’area destinata specificamente a insediamenti artigianali. La S. I. R.A. P., poi, provvedeva a scegliere i Comuni dove realizzare questi insediamenti e ad affidare relativi incarichi per la progettazione degli insediamenti medesimi. La scelta del professionista da incaricare della redazione del progetto relativo a ciascun insediamento costituisce per diverse ragioni uno dei passaggi più importanti (per certi decisivo) dell’intera operazione.   Il progettista, infatti, è colui che, successivamente, compiuto l’iter burocratico della pratica e passati alla realizzazione dell’opera, assume l’incarico di direttore dei lavori. Ho già detto sopra come sia essenziale il ruolo del direttore dei lavori, che gestisce dal punto di vista tecnico-esecutivo l’appalto dall’inizio alla fine e la cui complicità, quindi, è indispensabile per pilotare la gestione dell’affare da parte della o delle imprese che si accordano con i politici e i funzionari responsabili dell’appalto stesso. Il progettista-direttore dei lavori è, nei fatti, il “garante” dei politici nella gestione dell’”operazione” sotto un duplice profilo.  Sotto un primo profilo. infatti, la certezza preventiva della Complicità del direttore dei lavori consente a chi deve aggiudicare l’appalto e all’ Impresa che lo deve vincere di accordarsi fra loro per assicurare un determinato esito alla gara d’ appalto medesima. Ciò perché solo la certezza preventiva della complicità del direttore dei lavori consente ad un’impresa di fare delle offerte vincenti nelle quali (come è avvenuto per i COSTANZO a Trecastagni) si impegna a cose che sona tecnicamente e/o commercialmente insostenibili alle quali si sa preventivamente che ci si riuscirà a sottrarre con strumenti per così dire di recupero successivo, quali, nella vicenda di Trecastagni, le perizie di variante. Le imprese che sono estranee all’accordo trilaterale politici -imprese-funzionari e che, quindi,  non possono contare sulla compiacenza certa a priori del direttore dei lavori possono fare, invece, solo offerte tecnicamente e commercialmente praticabili, perché, diversamente, il direttore dei lavori non complice esigerebbe da loro il rispetto degli impegni assunti , non consentendo loro né varianti né altro e costringendole a subire, quindi, i danni di un’ offerta temeraria perché non remunerativa (nella vicenda di Trecastagni, senza la complicità del direttore dei lavori l ‘ impresa dei COSTANZO non riuscirebbe ad onorare I ‘ impegno assunto a proposito dei termini di consegna dell’opera). Al direttore dei lavori compete, come ho già detto la redazione delle perizie di variante. Sotto un secondo profilo, il progettista-direttore dei lavori garantisce i politici perché compete a lui l ‘approvazione del lavoro fatto dalle Imprese e la redazione degli stati di avanzamento dei Lavori, grazie ai quali le imprese possono materialmente riscuotere i compensi per il loro lavoro. Ed egli firma gli stati di avanzamento dei lavori solo quando ha la certezza che l’impresa ha versato le tangenti pretese dai politici. Diversamente, blocca gli stati di avanzamento e trova una serie di cavilli da contestare all’impresa stessa. A riprova della importanza “strategica” della scelta del progettista-direttore dei lavori, segnalo che la progettazione e la direzione dei lavori di tutti i lavori della S. I. R.A. P. sono state assegnate sempre alle stesse persone. In particolare, la progettazione allo studio professionale “SASI PROGETTI” e la direzione dei lavori sempre all’ ing. Gaspare BARBARO, che è uno dei titolari dello stesso studio “SASI PROGETTI”, Non so se formalmente, nella progettazione, a “SASI PROGETTI venissero affiancati altri. Ciò che certo è che BARBARO c’è sempre. Il BARBARO è stato scelto con tutta evidenza per il prestigio che gli deriva dall’essere figlio del prof. Domenico BARBARO (noto e affermatissimo docente universitario e progettista di fama) e per il fatto dj essere contitolare dello studio del quale è consocio anche l’ing. Giuseppe ZITO. Quest’ultimo, cioè, opera accanto al BARBARO, in maniera ancora più decisiva, anche se apparentemente (e solo apparentemente) meno rilevante. Lo ZITO è il principale referente e protagonista di tutto il sistema di accordi di cui sto parlando. È lui il principale mediatore fra le imprese e i politici. E a riprova di ciò sta il fatto che era interlocutore e mediatore fra le imprese – per quanto i riguarda, la RIZZANT DE ECCEER – e la S.I.R.A.P. Con lui negoziavamo e concordavamo tutte le iniziative e soluzioni da adottare nella gestione degli affari che avevamo con la S.I.R.A.P.  Altro momento strategico importante è anche la nomina dell’ingegnere capo e dei collaudatori dell’opera. Il primo avrebbe per legge il compito di controllare il direttore dei lavori e il secondo di verificare che l’opera sia stata costruita nel rispetto dei parametri tecnici e amministrativi stabiliti contrattualmente. Anche costoro, dei quali pure si deve avere la previa certezza della complicità, sono scelti dai politici. Nel caso dei lavori di S. Cipirello l’ingegnere capo era l’ing. Giovanni CRIMAUDO, che mi risulta avere avuto lo stesso incarico anche in altri appalti della S.I.R.A.P. Quanto ai collaudatori, ciascuno di essi faceva capo ad una corrente politica. Questo emergeva addirittura in maniera palese quando capitava di assistere a delle discussioni fra loro. Essi, infatti, parlavano come portatori degli interessi dei partiti dei quali erano espressione. Ciascuno di essi era espressione di un determinato partito e tutti i partiti dei politici interessati erano “rappresentati’ nella commissione di collaudo. Fra tanti, ricordo il prof. COSTA, che era democristiano, e un architetto che all’epoca aveva i baffi e del quale non ricordo il nome che era socialista. Quanto fin qui ho detto, illustra, sia pure in estrema sintesi, il ruolo dei politici, nel “triangolo” a cui ho fatto riferimento. A riprova della artificiosità del sistema (o di una parte cospicua del sistema) con cui opera la S.I. R.A. P., voglio segnalare che i criteri di scelta del Comuni nei quali realizzare gli insediamenti artigianali non sono ispirati a esigenze effettive del territorio, ma sono connessi soltanto alla possibilità di realizzare con riferimento ai singoli progetti l’accordo trilaterale di interessi di cui ho parlato. A riprova di questo, si pensi che fino a quando io sono stato arrestato non c’era ancora una legge che stabilisse i criteri per l’assegnazione delle installazioni agli artigiani e alle piccole industrie né una legge che individuasse i soggetti deputati alla gestione di queste installazioni e dettasse i criteri di tale gestione. Mentre noi della RIZZANI DE ECCHER stavamo costruendo l’insediamento relativo al Comune di S. Cipirello (PA) l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della S. I.R.A.P. Maurizio MOSCOLONI, mi disse, tra serio e il faceto, che l’amministratore delegato della S. I.R.A. P. stessa, Nino CIARAVINO, gli aveva detto di raccomandarmi di non correre troppo nella realizzazione del lavoro, perché ancora non sapevano a chi e come assegnare le strutture che noi stavamo realizzando. Domanda: Chi erano i politici protagonisti di queste vicende? Rrisposta: Per quello che mi consta, Claudio DE ECCHER si rivolse all’ on. Salvo LIMA, al quale si fece presentare dall’ on. Vito BONSIGNORE, per entrare a far parte del gruppo di imprese che faceva parte del “comitato di affari” che ho descritto con l’immagine del triangolo. Era notorio a tutti nell’ ambiente che il referente politico principale del “‘sistema” S. I R. A.P. era l’on. Salvo LIMA. Claudio DE ECCHER ne parlò con me e convenimmo sul fatto che non potevo essere io a prendere contatti con l’on. LIMA. Claudio, allora, chiese all’ on. Vito BONSIGNORE, deputato al Parlamento e capo della corrente andreottiana in Piemonte, di prendergli un appuntamento con l’on. LIMA. Claudio DE ECCHER conosceva l’on. BONSIGNORE perché 1a RIZZANI DE ECCHER opera a Torino (dove il BONSIGNORE vive) da molti anni. Il BONSIGNORE è presidente del Consorzio deli ‘ autostrada Torino-Savona e di un’altra che adesso non ricordo. Il BONSIGNORE ottenne effettivamente a Claudio DE ECCHER l’appuntamento con l’on. Salvo LIMA. Claudio mi disse di avere chiesto a LIMA di entrare a fare parte del gruppo di imprese che partecipavano ai lavori S. I. R.A. P. e alle grandi opere pubbliche che sarebbero state appaltate in Sicilia, e, in particolare, ai lavori relativi alla sopraelevata di Palermo. Per avere un lavoro della S. I. R.A. P. le imprese dovevano pagare una tangente pari all’a 8 % circa del valore deli appalto. Queste somme servivano a pagare politici e i funzionari coinvolti nell’’affare. D.R. Non ero io ad occuparmi del pagamento di queste tangenti. Questi pagamenti avvenivano ad un livello superiore a quello nel quale operavo io. Le trattavano direttamente i titolari – Claudio e Marco DE ECCHER – oppure, talvolta, l’ingegner DEFENDI. Ciò so perché quando nella gestione di un affare veniva fuori questo problema i DE ECCHER o il DEFENDI (quando toccava a lui) mi dicevano “Non ti preoccupare, che di questo problema ci occupiamo noi” Da costoro ho saputo che l‘ammontare della tangente era di circa l’8%, ma, comunque si trattava di fatto noto a tutte le imprese che operavano nel settore e del quale si parlava fra noi come di cosa notoria. Quello che mi risulta con certezza, perché aveva risvolti che riguardavano anche il mio lavoro di responsabile dei cantieri, è che il denaro necessario a pagare queste tangenti veniva recuperato dalle imprese anche con un sistema di fatturazioni maggiorate. Si trattava delle fatture relative all’ acquisto dei materiali impiegati per la realizzazione delle opere appaltate.

MARIO D’ACQUISTO, LIMA E GIAMMANCO

Storie di gare per la realizzazione delle aree attrezzate per il complessivo importo di mille miliardi, gare sulle quali si erano concentrati gli interessi illeciti, anche di natura mafiosa, volti alla loro manipolazione.

L’on.le Salvo Lima era, dunque, la personalità politica centrale nella illecita gestione degli appalti S.I.R.A.P., con un ruolo altrettanto centrale nelle dinamiche connesse all’illecito finanziamento dei partiti politici, stando a quanto dichiarato dal dott. Di Pietro nel 1999 al processo Borsellino ter.

Già  a Marsala, il dott. Borsellino aveva confidato ad Ingroia di considerare il Procuratore Giammanco un uomo di Lima.

Successivamente alla strage di Capaci, aumentò la diffidenza di Borsellino nei confronti del Procuratore Giammanco, tant’è che Ingroia nel corso della sua audizione del 31 luglio 1992 davanti al Consiglio Superiore della Magistratura ebbe a dichiarare che Borsellino gli “………….riferì taluni fatti relativi a queste indagini, raccomandandomi però di non farne parola con nessuno, perché temeva che circolando la voce questa potesse arrivare anche al Procuratore Giammanco e lui non gradiva che pervenisse alle orecchie del Procuratore Giammanco”.

Le ragioni, dunque, della particolare riservatezza del dott. Borsellino possono trovare una logica spiegazione nella circostanza – assolutamente nota – del forte rapporto di amicizia del dott. Giammanco con l’on.le Mario D’Acquisto e di quest’ultimo con l’on.le Salvo Lima.

Ma v’è di più.

Borsellino, nel raccontare a Ingroia – come da quest’ultimo dichiarato nella sua audizione del 31 luglio 1992 davanti al CSM – “che vi era un grosso pentito che si stava per apprestare a collaborare mi disse anche che con questo grosso pentito aveva già avuto dei rapporti Giovanni FALCONE precedentemente nel periodo in cui Giovanni FALCONE era al Ministero mi disse successivamente tornò sull’argomento e mi fece il nome di questo pentito mi spiegò il grosso spessore di questo pentito in quanto io sinceramente non lo conoscevo, perché io sono in magistratura da poco sono quasi sempre alla provincia di Trapani per cui me lo spiegò lui chi era Gaspare MUTOLO mi disse che era un boss di grosso rilievo che era stato autista di Totò RIINA e mi disse anche che a suo parere poteva fare luce forse anche su legami tra Cosa Nostra e quindi insomma lo riteneva un personaggio molto importante del valore di un BUSCETTA, di un MANNOIA ecc.- mi disse anche che non vi so dire cronologicamente quando se ne parlò tre quattro volte e questo si mi disse non dirlo a nessuno infatti io a nessuno lo avevo detto mi disse non lo dire neppure a Roberto SCARPINATO perché sapeva che io con Roberto parlavo e infatti io a Roberto nulla dissi…”.

Cosa spingeva il giudice Borsellino a diffidare di Giammanco, evitando anche che di talune notizie ne venissero a conoscenza altri colleghi, come nel caso di Scarpinato?

Le indagini del R.O.S. avevano sortito l’effetto indiretto dell’emersione di un possibile conflitto di interessi fra i titolari delle indagini e i soggetti su cui necessariamente avrebbe potuto estendersi l’azione investigativa.

Nel Rapporto del R.O.S. del febbraio 1991 si faceva espresso riferimento ad una società, la ITALCOSTRUZIONI, il cui rappresentante legale era l’ingegnere Vincenzo Giammanco, cugino del Procuratore capo di Palermo.

Si trattava di una società riconducibile a Bernardo Provenzano in quanto, tra i suoi azionisti, vi era Palazzolo Saveria Benedetta, convivente more uxorio dello stesso Provenzano.

Così come il già evidenziato potenziale conflitto d’interessi di uno dei fedelissimi del dott.  Giammanco, vale a dire il dott. Pignatone, il cui padre era il presidente dell’ESPI, ente controllante della SIRAP.

Che Paolo Borsellino avesse definito la Procura di Palermo come un “NIDO DI VIPERE”, lo hanno confermato la dr.ssa Alessandra Camassa e il dott. Massimo Russo, all’epoca giovani magistrati che collaborarono con Borsellino alla Procura di Marsala.

Secondo quanto dichiarato dalla Signora Maria Falcone nel corso della sua audizione del luglio 1992 davanti al CSM -,  a confidarle che era molto vicino a scoprire delle cose tremende , verosimilmente riferendosi al fatto che l’informativa stessa del R.O.S.  e le note interlocutorie dell’aprile, luglio ed agosto del 1990 che la precedettero, erano già conosciute dai soggetti interessati – e tra questi l’on.le Lima ucciso il 12 marzo del 1992 – prima del deposito del febbraio 1991 presso la Procura di Palermo.

Cosa stava per scoprire Paolo Borsellino?

Questo e altri aspetti, li approfondiremo nei successivi articoli.

Rimane intanto il vergognoso silenzio della stampa e il tentativo di buttare tutto in caciara, limitando l’audizione di Lucia Borsellino e del marito Fabio Trizzino alla polemica con Scarpinato, che ha costretto la presidente Chiara Colosimo ad affermare: “Senatore, sono venti minuti che lei interviene e qui non siamo in un’aula di tribunale, questo non è l’esame di un teste; quelle che vanno fatte qui sono domande per ricostruire la storia e non per legittimare o meno alcune posizioni“.

Diversi gli interventi in merito al fatto che Scarpinato abbia dimenticato l’attuale ruolo di membro della Commissione, per indossare nuovamente i panni del magistrato in una vicenda nella quale ha avuto un ruolo oggi messo in discussione.

Se anche non dovesse esserci un conflitto di interesse, ci troveremmo quantomeno dinanzi l’inopportunità della presenza del senatore Scarpinato in una commissione che dovrà anche valutarne la correttezza e la perizia da magistrato, nel corso degli eventi per i quali si è arrivati a questa audizione.

Piaccia o meno ai M5S che oggi si stracciano le vesti per difendere il loro senatore, vedendo offeso il lavoro di chi “si batte da 30 anni affinché sulla stagione delle stragi si faccia veramente piena luce, andando a scoprire le verità indicibili che riguardano anche pezzi infedeli dello Stato, battendosi contro gli ignobili depistaggi messi in atto proprio da pezzi della Repubblica” i familiari del compianto giudice Paolo Borsellino, e gli italiani tutti, hanno diritto a conoscere la verità, senza se, senza ma, senza caste né appartenenze.

Stupisce che i pentastellati, accusatori implacabili di ogni forma di censura, non si accorgano oggi di come gli unici a non aver diritto di parola, e censurati dalla quasi totalità degli organi stampa, siano i figli del giudice Borsellino e l’avvocato Trizzino.

Sono lontani i tempi delle lotte per la libertà di opinioni e di stampa a marchio 5Stelle…

Gian J. Morici LA VALLE DEI TEMPLI