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Criminalità e cave, il mafioso Buscemi a Carrara per una riunione: lo dicono due testimoni
Hanno scelto l’anonimato per confermare la presenza dell’uomo negli anni ’80. La ricostruzione nella trasmissione di Salvo Sottile
CARRARA. «Quali sono le vere ragioni per cui Paolo Borsellino fu ucciso dalla mafia?». A cercare di rispondere a questa domanda è stata venerdì scorso la puntata di Far west, trasmissione condotta da Salvo Sottile su Rai tre, che, ancora una volta, è tornata ad indagare sulla morte del magistrato, ucciso insieme alla sua scorta a Palermo il 19 luglio 1992; lo ha fatto partendo dall’archiviazione di due inchieste avviate poco prima contro la famiglia palermitana dei fratelli Buscemi, legati a Totò Riina, una delle quali partita dalla procura di Massa ed inerente le infiltrazioni della mafia corleonese alle cave di Carrara.
Secondo questa ricostruzione Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sarebbero stati uccisi proprio perché avrebbero intuito con notevole anticipo l’interesse nutrito da Cosa nostra per gli appalti pubblici. «Se questo fosse confermato, -ha detto Sottile- ci troveremmo di fronte alla scoperta di una Tangentopoli ante litteram». Una tesi sostenuta anche dall’ex pm milanese Antonio Di Pietro il 23 novembre 2023 nella sua audizione in Commissione parlamentare antimafia, durante la quale ha ricordato la collaborazione avviata con il giudice Borsellino. Ospiti di Sottile erano i giornalisti Peter Gomez, direttore del “Fatto quotidiano.it” e Filippo Facci del “Giornale”. Se Gomez ha ritenuto la pista legata agli appalti una concausa, Facci ha invece sottolineato l’importanza dell’inchiesta sulla presenza mafiosa a Carrara, condotta tra 1990 e 1992 dall’allora sostituto procuratore di Massa-Carrara Augusto Lama, in collaborazione con il maresciallo della Guardia di Finanza Piero Franco Angeloni, ricordando anche che Lama dovette astenersi da tale indagine il 15 febbraio 1992, a seguito di un’ispezione disposta dall’allora ministro della giustizia Claudio Martelli, e di un procedimento disciplinare avviato su richiesta del giudice Francesco Castellano, all’epoca procuratore generale della Corte d’appello di Genova. «Il procedimento -ha ricordato Facci- si concluse nel 1993, con il proscioglimento di Lama».
Secondo il cronista del “Giornale” il fascicolo apuano, sui possibili coinvolgimenti con la mafia del gruppo Ferruzzi di Raul Gardini, che, grazie all’impresa capofila Calcestruzzi Ravenna Spa, era proprietario della Sam-Imeg, società che controllava il 65% delle cave e della lavorazione del marmo a Carrara, e che fu poi archiviato dal tribunale di Roma, sarebbe invece dovuto confluire nel dossier “Mafia-appalti”, su cui stava lavorando Borsellino nel 1992, poco prima di essere ucciso in via D’Amelio. «In quel faldone -ha spiegato il giornalista- c’erano i nomi di altre grandi imprese italiane, poi coinvolte in Tangentopoli, pronte a versare 25mila miliardi di lire a mafiosi, politici corrotti ed aziende dei subappalti, e Totò Riina avrebbe tenuto per sé lo 0,9 per cento». Questo, secondo Facci, sarebbe stato confermato il 1° luglio 1992 a Borsellino dal pentito Leonardo Messina.
La trasmissione ha anche ricordato l’inchiesta della procura di Caltanissetta, attualmente in corso, guidata da Salvatore De Luca, che ha indagato per presunto favoreggiamento alla mafia e calunnia Gioacchino Natoli, già presidente della Corte d’Appello di Palermo e Giuseppe Pignatone, ex procuratore di Roma ed oggi presidente del tribunale della Città del Vaticano, insieme al generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti. L’accusa contestata a Natoli e Pignatone, che nel 1992 erano sostituti procuratori a Palermo, è proprio quella di non aver tenuto nella dovuta considerazione l’indagine apuana di Lama ed Angeloni. «Anche se questi reati fossero dimostrati -ha spiegato Facci- ormai risultano prescritti. L’unico capo di imputazione ancora punibile è la calunnia».
La tesi che a Massa-Carrara, già dagli anni ’80, la grande imprenditoria fosse entrata in affari con la mafia è stata rilanciata anche dai servizi di Carmine Gazzanni. Pur preferendo restare nell’anonimato, due testimoni hanno infatti confermato all’inviato che Antonino Buscemi, dopo aver preso il controllo delle cave, aveva mandato a gestirle suo cognato, il geometra Girolamo Cimino, in veste di amministratore delegato della Sam-Imeg.
Uno dei testimoni ha anche raccontato che Antonino Buscemi, legato a Totò Riina, era arrivato di persona a Carrara a seguire una riunione operativa, ma che stava in disparte.
A suggerire a Gardini di allearsi con i Buscemi sarebbe stato un vecchio socio di suo suocero Serafino Ferruzzi, Lorenzo Panzavolta, detto “Panzer”, comandante partigiano, dirigente delle cooperative rosse di Ravenna e presidente della Calcestruzzi. «Un giorno -ha raccontato uno dei due uomini- Panzavolta atterrò con un areo privato a Pisa e disse che da quel momento dentro la Sam-Imeg il solo a comandare sarebbe stato Cimino, perché i precedenti dirigenti non contavano più niente».
Nel mirino degli inquirenti di Caltanissetta, come noto, la richiesta di smagnetizzazione le bobine delle intercettazioni, e la distruzione dei relativi brogliacci (quest’ultima scritta che sembra aggiunta successivamente) rispetto all’inchiesta che fu aperta a Palermo sui fratelli Buscemi, Francesco Bonura e Girolamo Cimino, a seguito della trasmissione degli atti apuani alla procura di Palermo. Gli avvocati di Gioacchino Natoli hanno però ricostruito che si trattava di un prestampato, trovato in altre 62 occasioni fino al ’97. Circostanza che però non risulta ad Antonino Ingroia, anch’egli intervistato da Far West.