STRAGE DI VIA ‘AMELIO – DEPISTAGGIO BIS – Rassegna stampa

 

 

Borsellino: chiesto il rinvio a giudizio per quattro poliziotti

Il legale dei figli di Borsellino: “Depistaggio infinito, noi umiliati”

Il pm Maurizio Bonaccorso ha chiesto, al termine dell’udienza preliminare che si è celebrata oggi a Caltanissetta, il rinvio a giudizio per i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli per il reato di depistaggio
Ai quattro, ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, viene contestato dalla Procura di Caltanissetta di aver reso false dichiarazioni nel corso delle loro deposizioni in qualità di testi nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per i tre imputati.
“Durante le loro deposizioni – ha detto il pm – sono stati detti una serie di ‘non ricordo’ che sono surreali. Ritengo che sia necessaria una verifica dibattimentale delle contestazioni che il mio ufficio muove ai quattro poliziotti, pertanto insisto nella richiesta di rinvio a giudizio”.
L’avvocato Fabio Trizzino legale dei figli del giudice Paolo Borsellino si è associato alla richiesta del pm. “Questo gruppo investigativo probabilmente è nato per consolidare un depistaggio che era iniziato alle 17 del 19 luglio del 1992, immediatamente dopo l’esplosione della bomba in via D’Amelio. Loro sono stati chiamati a far parte di un abominio e siccome sono validi poliziotti rimango dell’idea che si sono resi conto di quello che stava accadendo. Hanno in un primo tempo taciuto, durante il primo, secondo e terzo dibattimento.
Ho avuto modo di pensare che loro vivessero questi processi come ingiustizia in ragione del fatto che coloro che li dovevano dirigere nelle indagini sono stati sfiorati e non coinvolti per come era necessario. Ma questo non li giustifica. Che Vincenzo Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad aver avuto un ruolo nella strage di via D’Amelio, per la loro esperienza investigativa lo sapevano. Ma quando l’impostura è stata svelata dovevate darci una mano – ha detto l’avvocato Trizzino rivolto ai quattro imputati presenti in aula – dovevate dirci quello che avete visto, quello che i vostri colleghi hanno commesso. Ho assistito a dei momenti in cui non avete offeso la nostra intelligenza, perché questo è poco, ma avete umiliato la memoria dei vostri colleghi“.  ANSA


Depistaggio Borsellino, pm: “Poliziotti reticenti e in malafede”

(dall’inviata Elvira Terranova) – Per la Procura di Caltanissetta i quattro poliziotti che facevano parte del Gruppo investigativo ‘Falcone e Borsellino’, e che oggi sono imputati per depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, nel corso dei processi, sono stati “reticenti” e “in malafede”, hanno “reso false dichiarazioni”, con l’obiettivo di “inquinamento probatorio”.
Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, oggi sessantenni, rischiano il processo depistaggio per aver mentito, secondo l’accusa, al processo in cui si cercava la verità sul falso pentito Vincenzo Scarantino.
Non usa mezzi termini il pm Maurizio Bonaccorso nella discussione davanti al gup di Caltanissetta, David Salvucci.
Una discussione durata quasi due ore in cui il magistrato, che tra pochi giorni lascerà la Procura di Caltanissetta per fare ritorno a Palermo, elenca le contestazioni ai quattro poliziotti, tutti presenti in aula.
Per ribadire, alla fine,la richiesta di rinvio a giudizio. “Agli imputati vengono contestate una serie di condotte che si concretizzano in false dichiarazioni e reticenze, secondo l’impostazione accusatorie mascherate da ‘non ricordo’.
A questo parte dei singoli casi di false dichiarazioni e reticenze che si riferiscono a episodi specifici, singoli, ad esempio quella è la falsa dichiarazione di Di Gangi a proposito della pistola puntata a Vincenzo Scarantino, quando ci fu la famosa colluttazione dopo la ritrattazione televisiva, tutte la altre false dichiarazioni, tutte le altre reticenze mascherate da ‘non ricordo’ si riferiscono a momenti scuri dell’attività investigativa del Gruppo Falcone e Borsellino che, secondo la tesi accusatoria, rappresentano dei momenti fondamentali nell’attività di inquinamento probatorio”, dice.

“Per comprendere quello che è l’atteggiamento psicologico dei testi che sono venuti qui a deporre, testi coinvolti in quelle indagini, occorre procedere a una analisi di questi momenti che sono scottanti”, dice ancora Bonaccorso. “E c’è una proporzionalità diretta dei ‘non ricordo’, che sono tantissimi, che sono stati tutti cristallizzati nei capi di imputazione- prosegue il pm Bonaccorso- C’è un rapporto di proporzionalità diretta tra la maggiore connotazione negativa di questa attività di indagine è il numero dei ‘non ricordo’. Questo perché c’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti. Il dato su cui bisogna riflettere, e ora farò un esempio diretto, progressioni dichiarative nel corso degli anni dei testimoni che venivano a deporre in qualità di appartenenti al Gruppo Falcone e Borsellino.
Per comprendere a pieno l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del Gruppo Falcone e Borsellino, nel processo Borsellino quater e depistaggio, sarebbe opportuna una analisi completa della evoluzione dei processi che si sono celebrati Noi abbiamo un prima e dopo, un avanti Spatuzza e dopo Spatuzza.
Abbiamo Borsellino uno, bis e ter prima di Spatuzza e dopo Spatuzza abbiamo il Borsellino quater e depistaggio. Se andiamo ad esaminare le dichiarazioni dei poliziotti nei primi tre tronconi quando ancora non si era il smantellato il castello di menzogne, abbiamo dei testimoni tranquilli e sereni che rendono dichiarazioni che dopo scopriremo essere totalmente false”.

Subito dopo tocca all’avvocato di parte civile, Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice Paolo Borsellino. Trizzino è anche il figlio di Lucia Borsellino, figlia maggiore del magistrato ucciso in via D’Amelio. “Avete visto che stavano creando il mostro (Scarantino ndr) e avete taciuto. Poi, quando finalmente l’impostura si è disvelata, dovevate darci una mano. Dovevate dirci quello che avete visto, quello che i vostri colleghi hanno commesso. Alcuni hanno mentito in maniera spudorata. Abbiamo assistito a momenti in cui avete umiliato i vostri colleghi, la memoria dei vostri colleghi”. Rivolgendosi direttamente ai 4 poliziotti imputati per il depistaggio sulle indagini sulla strage di via D’Amelio, l’avvocato Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice insieme con l’avvocato Vincenzo Greco, ha chiesto al gup di Caltanissetta David Salvucci il rinvio a giudizio per i quattro poliziotti accusati del depistaggio.

“Chi ha partorito il depistaggio lo ha fatto nel momento in cui ha deciso di accelerare la strage- dice il legale – L’agenda rossa non l’hanno presa né Zerilli né Di Gangi o Maniscaldi. E’ stata fatta sparire da chi aveva da temere qualcosa. Però non ci avete aiutato, ci avete umiliato. E questo a mio giudizio è grave. Vi siete accorti e avete coperto”. Per Trizzino il depistaggio “è iniziato alle 17 del 19 luglio 1992. Loro sono stati chiamati a fare parte di un abominio. Ciascuno è entrato, ha fatto il suo. Siccome sono validi poliziotti, sono convinto che si sono resi conto di quello che stava accadendo. Hanno in un primo momento taciuto, durante il primo, secondo e terzo dibattimento. In qualche modo è comprensibile il loro atteggiamento”. E ancora: “Ho avuto la sensazione che loro vivessero questi processi come una somma ingiustizia in ragione del fatto che coloro che li dovevano dirigere nel corso delle indagini, sono stati semplicemente sfiorati e non coinvolti per come era necessario quantomeno con riferimento alla figura di Giovanni Tinebra (ex Procuratore di Caltanissetta ndr), Carmelo Petralia e Annamaria Palma (ex pm di Caltanissetta ndr). Ma questo non li giustifica”. Rivolgendosi ancora ai poliziotti imputati dice: “Avete taciuto durante il processo bis quando è venuto fui il problema dell’indottrinamento a Scarantino. Con una sentenza aberrante i giudici del secondo grado hanno trasformato in una attività meritoria quella di Mattei e Ribaudo. Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato, ad avere avuto qualche ruolo nella esecuzione di una strage, per la vostra esperienza investigativa lo sapevate”.

Poco prima, uno dei 4 imputati, Vincenzo Maniscaldi, oggi in pensione, chiede di rendere dichiarazioni spontanee e di essere esaminato. Mette subito in chiaro: “Non ho reso false dichiarazioni” durante il processo a Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, i tre poliziotti accusati di concorso in calunnia aggravata dall’avere favorito Cosa nostra. Sono quattro le condotte che vengono contestate a Maniscaldi.
Come ricorda il suo legale, l’avvocato Giuseppe Panepinto, nel corso dell’esame di Maniscaldi il poliziotto avrebbe dichiarato il falso nel corso dell’udienza dibattimentale a carico di Bo “nel momento in cui Giuseppe Orofino avrebbe riferito al Tribunale che già alla data del 10 agosto 1992 avrebbe denunciato lo smarrimento del documento della 126”. Orofino venne arrestato nel 1993, poi condannato in via definitiva e quindi assolto nel processo di revisione nel 2017. Ad accusare il carrozziere e altre 6 persone era stato il falso pentito Vincenzo Scarantino che si era autoaccusato di avere partecipato alla strage insieme a Salvatore Candura, anche lui calunniatore. Secondo l’accusa iniziale, supportata dalle indagini del gruppo di investigatori Falcone-Borsellino capitanato da Arnaldo La Barbera, Orofino avrebbe fornito una targa pulita per la 126 rubata – che avrebbe anche tenuto nella sua officina – utilizzata come autobomba in via Mariano D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992 per uccidere il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli agenti della Polizia di Stato Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L’avvocato Panepinto ha poi ricordato la seconda contestazione a Maniscaldi: “Nell’ambito dello stesso procedimento penale avrebbe dichiarato falsamente che i brogliacci della trascrizione dell’intercettazione telefonica presso l’abitazione di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo al Mare, avrebbe dichiarato falsamente che dovevano essere sottoscritti i brogliacci anche da un ufficiale di Polizia giudiziaria che non aveva partecipato all’ascolto”. “Era una frase di considerazione generale- spiega Mansicaldi – ho dato la mia idea che poteva succedere, perché succedeva molto spesso anche alla Squadra mobile di Palermo. Perché prima di andare al gruppo ‘Falcone e Borsellino’ mi capitava che il collega si dimenticasse di mettere una firma”. Poi Vincenzo Maniscaldi ha parlato del funzionamento della sala d’ascolto per ascoltare le conversazioni di Scarantino, che da poco aveva iniziato a collaborare con i magistrati. “Era una prevenzione, non era un servizio importante. Lui poteva solo fare telefonate ma non riceverle. Noi non sapevamo quando telefonava e a chi telefonasse”. Alla domanda dell’avvocato Giuseppe Panepinto su chi facesse l’attività per le intercettazioni presso l’abitazione di Vincenzo Scarantino, Maniscaldi risponde: “A volte saliva l’operatore e diceva: ci sono delle telefonate. L’attività di ascolto la faceva l’ufficiale e non l’agente”. E aggiunge: “Non avevamo una presenza fissa nella sala d’ascolto ma ci recavamo saltuariamente. La mattina accompagnavamo i figli di Scarantino a scuola e poi passavamo alla sala ascolto, se c’erano telefonate le ascoltavamo”. Però tiene a precisare che il “22 e il 23 giugno del 1995” era a Palermo, quando secondo l’accusa ci sarebbero state delle ‘anomalie’ sul telefono di Scarantino. “Io arrivo a Imperia solo il 24 giugno – spiega – e ascolto e verifico le telefonate di Scarantino avvenute in precedenza”. Secondo l’accusa nei giorni precedenti si sarebbero verificate delle anomalie, persino delle ‘manomissioni’. Poi Maniscaldi, visibilmente emozionato, aggiunge: “Non ho mai travisato né travisato niente”.

A inizio udienza a intervenire è l’avvocato dello Stato Giuseppe La Spina, che chiede l’esclusione della Presidenza del Consiglio e del Viminale dalla responsabilità civile.
“La Presidenza del Consiglio non può essere chiamata come responsabile civile perché non vi sono appartenenti alla Presidenza del Consiglio, non vi sono lavoratori, manca il nesso di immedesimazione organica.
L’articolo 538 del Codice di procedura penale impone la condanna in solido del responsabile civile solo quando c’è un imputato la cui attività può essere riferita alla responsabilità civile.
La citazione va ritenuta nulla per difetto dei requisiti”, dice. Il legale ha anche chiesto l’esclusione di responsabilità civile del Ministero dell’Interno.
Il giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Caltanissetta, David Salvucci, ha citato invece nella scorsa udienza la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno quali responsabili civili.
Nell’ambito di un troncone dell’inchiesta sul depistaggio, in sede di udienza preliminare, si sono costituiti parte civile i figli di Borsellino, Manfredi, Lucia e Fiammetta, rappresentati dagli avvocati Vincenzo Greco e Fabio Trizzino.
Sono state, invece, rigettate tutte le altre richieste avanzate di costituzione come parte civile dai parenti delle vittime della strage di via D’Amelio, dal poliziotto Antonio Vullo, l’unico superstite della strage, e da Salvatore Borsellino, fratello del giudice.
Gli imputati sono gli agenti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, già parte del pool investigativo ”Falcone Borsellino’ difesi dagli avvocati Giuseppe Panepinto, Giuseppe Seminara e Maria Giambra. Gli imputati sono tutti presenti in aula. “Le funzioni della Polizia Giudiziaria sono subordinate all’ufficio del Pubblico ministero.
Deposito la documentazione dei decreti di istituzione del Gruppo Falcone e Borsellino il primo decreto da conto che si tratta di un organo ad hoc che avrà funzioni di polizia giudiziaria”.
Per l’avvocato di parte civile, Fabio Trizzino, che rappresenta i figli del giudice, la Presidenza del Consiglio “è responsabile civile”. Ma il Gip non accoglie la richiesta dell’Avvocatura dello Stato. Viminale e Presidenza del Consiglio restano responsabili civili. Prossima udienza il 13 novembre.


Borsellino: chiesto il rinvio a giudizio per i quattro poliziotti nel processo sui depistaggi

 

Ai quattro, ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, viene contestato dalla Procura di aver reso false dichiarazioni nelle loro deposizioni nel processo sul depistaggio dell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio

 

Pm: ‘Dai poliziotti malafede, reticenze e false dichiarazioni’

”Agli imputati vengono contestate una serie di condotte che si concretizzano in false dichiarazioni e reticenze, secondo l’impostazione accusatorie mascherate da ‘non ricordo'”. E’ iniziata così la discussione del pm Maurizio Bonaccorso nel corso dell’udienza preliminare a Caltanissetta.
“A parte dei singoli casi di false dichiarazioni e reticenze che si riferiscono a episodi specifici, singoli, ad esempio quella che è la falsa dichiarazione di Giuseppe Di Gangi a proposito della pistola puntata a Vincenzo Scarantino, quando ci fu la famosa colluttazione dopo la ritrattazione televisiva, tutte lealtre false dichiarazioni, tutte le altre reticenze mascherateda ‘non ricordo’, si riferiscono a momenti scuri dell’attività investigativa del Gruppo Falcone e Borsellino che, secondo la tesi accusatoria, rappresentano dei momenti fondamentali nell’attività di inquinamento probatorio”, ha proseguito il pm.
”Quindi, un primo punto da cui dobbiamo partire è quello di dare una panoramica di questi momenti essenziali che si possono rappresentare in: sopralluogo presso la carrozzeria di Orofino, la gestione di Scarantino a San Bartolomeo al Mare, la gestione delle intercettazioni a San Bartolomeo al Mare, l’attività di studio – ha detto ancora il pm Maurizio Bonaccorso – Per comprendere  quello che è l’atteggiamento psicologico dei testi che sono venuti qui a deporre, testi coinvolti in quelle indagini, occorre procedere a una analisi di questi momenti che sono scottanti. E c’è una proporzionalità diretta dei ‘non ricordo’, che sono tantissimi, la maggiore connotazione negativa di questa attività di indagine”, – ha proseguito Bonaccorso nel corso della discussione. “Questo perché c’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti”.

Pm: “Abbiamo un prima e un dopo Spatuzza”

“Per comprendere a pieno l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del Gruppo Falcone e Borsellino, nel processo Borsellino quater e depistaggio, sarebbe opportuna una analisi completa della evoluzione dei processi che si sono celebrati. Noi abbiamo un prima e dopo, un avanti Spatuzza e dopo Spatuzza. Come un avanti Cristo e dopo Cristo- dice ancora Bonaccorso – Abbiamo un processo Borsellino uno, bis e ter prima di Spatuzza e dopo Spatuzza abbiamo il processo Borsellino quater e il depistaggio. Se andiamo ad esaminare le dichiarazioni dei poliziotti nei primi tre tronconi, quando ancora non si era il smantellato il castello di menzogne, abbiamo dei testimoni tranquilli e sereni che rendono dichiarazioni che dopo scopriremo essere totalmente false”.

Il legale dei figli di Borsellino: “Depistaggio infinito, noi umiliati”

“Il depistaggio è iniziato alle ore 17 del 19 luglio del 1992”, un attimo dopo la strage di via D’Amelio. Così ha commentato l’avvocato Fabio Trizzino che rappresenta i figli di Paolo Borsellino, nell’associarsi alla richiesta avanzata dalla procura di Caltanissetta sul rinvio a giudizio di quattro poliziotti che hanno fatto parte del gruppo “Falcone Borsellino” della squadra mobile di Palermo.
“Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad avere un ruolo nella strage di via D’Amelio era chiaro. Quando l’impostura si è disvelata dovevate dirci quello che avete visto e i vostri colleghi hanno commesso. Spiegateci cosa è successo. Alcuni hanno mentito in maniera spudorata”, ha aggiunto.
In aula ad ascoltare ci sono i quattro poliziotti accusati dalla procura di Caltanissetta di depistaggio: Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco. “Ci sono tanti modi per umiliare i superstiti, con il vostro atteggiamento avete umiliato la memoria dei vostri colleghi. Voi il lavoro lo sapevate fare e non potevate non accorgervi che tutto era eccentrico. Chi ha partorito il depistaggio lo ha fatto nel momento in cui ha deciso di accelerare la strage. L’agenda rossa è stata fatta sparire da chi temeva qualcosa. Non ci avete aiutato, ci avete umiliato. Mi piace pensare che dentro di voi vi siete resi conti che qualcosa di più grande è passato dalla vostra testa”, ha concluso il legale.  La prossima udienza si terrà il 13 novembre. 


Borsellino, processo despistaggi per la strage via D’Amelio: chiesto il rinvio a giudizio per 4 poliziotti

Il pm Maurizio Bonaccorso ha chiesto, al termine dell’udienza preliminare del processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio, il rinvio a giudizio per quattro poliziotti. A Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino“, viene contestato dalla Procura di Caltanissetta di aver reso false dichiarazioni nel corso delle loro deposizioni in qualità di testi nel processo che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per i tre imputati.

Le parole del legale della famiglia Borsellino

Il depistaggio è iniziato alle ore 17 del 19 luglio del 1992“, un attimo dopo la strage di via D’Amelio. Lo ha detto l’avvocato Fabio Trizzino che rappresenta i figli di Paolo Borsellino, nell’associarsi alla richiesta avanzata dalla procura di Caltanissetta sul rinvio a giudizio dei quattro poliziotti. “Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad avere un ruolo nella strage di via D’Amelio era chiaro. Quando l’impostura si è disvelata dovevate dirci quello che avete visto e i vostri colleghi hanno commesso. Spiegateci cosa è successo. Alcuni hanno mentito in maniera spudorata“, ha aggiunto.

In aula ad ascoltare ci sono i quattro  accusati. “Ci sono tanti modi per umiliare i superstiti, con il vostro atteggiamento avete umiliato la memoria dei vostri colleghi. Voi il lavoro lo sapevate fare e non potevate non accorgervi che tutto era eccentrico. Chi ha partorito il depistaggio lo ha fatto nel momento in cui ha deciso di accelerare la strage. L’agenda rossa è stata fatta sparire da chi temeva qualcosa. Non ci avete aiutato, ci avete umiliato. Mi piace pensare che dentro di voi vi siete resi conti che qualcosa di più grande è passato dalla vostra testa”, ha concluso il legale.  La prossima udienza del processo ci sarà il 13 novembre. LA SETTE 7.11.2024 di Piero Filippi 


Processo Borsellino: chiesto il rinvio a giudizio per 4 poliziotti per depistaggio

 

Il pubblico ministero ha parlato di “inquinamento” delle prove e di “reticenze” nei processi volti ad accertare la verità dell’attentato in cui morirono il magistrato e gli uomini della sua scorta

AGI – È stato chiesto dalla procura di Caltanissetta, nel corso dell’udienza preliminare, il rinvio a giudizio dei poliziotti Maurizio Zerilli, Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi e Angelo Tedesco, accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio. “Questo è un processo su false dichiarazioni e reticenze”, ha detto il pm Maurizio Bonaccorso davanti al gup David Salvucci che ha rinviato al 13 novembre quanto potrebbe essere presa la decisione. Il pubblico ministero ha parlato di “inquinamento” delle prove e di “reticenze”.
“C’è una proporzionalità diretta tra i non ricordo”, ha aggiunto il rappresentante dell’accusa, secondo il quale ci sono state delle dichiarazioni progressive nel tempo in un “atteggiamento di malafede dei testimoni al Borsellino quater e al processo depistaggio. Nei primi tre processi abbiamo dei testimoni che sono tranquilli, sereni. Poi ci sono le dichiarazioni di Spatuzza e i nervi saltano”.
Il gup, intanto, respingendo la richiesta dell’Avvocatura dello Stato, ha accolto la citazione quale responsabile civile del ministero dell’Interno e della Presidenza del Consiglio. Un dato significativo nel procedimento.
“Il depistaggio è iniziato alle ore 17 del 19 luglio del 1992″, un attimo dopo la strage di via D’Amelio, ha accusato l’avvocato Fabio Trizzino che rappresenta i figli di Paolo Borsellino, nell’associarsi alla richiesta avanzata dalla procura sul rinvio a giudizio dei quattro poliziotti del gruppo “Falcone Borsellino” della Squadra mobile di Palermo.
“Che Scarantino fosse antropologicamente inadeguato ad avere un ruolo nella strage di via D’Amelio – ha proseguito – era chiaro. Quando l’impostura si è disvelata dovevate dirci quello che avete visto e i vostri colleghi hanno commesso. Spiegateci cosa è successo. Alcuni hanno mentito in maniera spudorata”.
E ancora: “Ci sono tanti modi per umiliare i superstiti, con il vostro atteggiamento avete umiliato la memoria dei vostri colleghi. Voi il lavoro lo sapevate fare e non potevate non accorgervi che tutto era eccentrico. Chi ha partorito il depistaggio lo ha fatto nel momento in cui ha deciso di accelerare la strage. L’agenda rossa è stata fatta sparire da chi temeva qualcosa. Non ci avete aiutato, ci avete umiliato. Mi piace pensare che dentro di voi vi siete resi conti che qualcosa di più grande è passato dalla vostra testa”.
A inizio udienza, il poliziotto in pensione Maniscaldi, rispondendo alle domande del difensore Giuseppe Panepinto, aveva raccontato della sua attività nell’ambito della squadra speciale. La procura contesta all’ex responsabile dell’ufficio intercettazioni di aver detto il falso in merito alla denuncia effettuata da Giuseppe Orofino per il furto della Fiat 126 utilizzata per la strage. Ha visto un documento del mese di agosto del ’92. “Al processo Borsellino quater non sono mai stato sentito. Io non ho mai nascosto e travisato nulla”, ha assicurato.
L’ex poliziotto ha parlato del lavoro che lui ha svolto nell’estate del 1995 quando ha raggiunto la località di San Bartolomeo al mare in cui c’era Scarantino. Rispondendo alle domande dell’avvocato Trizzino, ha confermato che l’ex pentito era intercettato, ma di fatto non c’era alcuna attività investigativa: “Veniva intercettato per evitare che i familiari lo convincessero a ritrattare”.


Depistaggio Borsellino, chiesto il processo per quattro agenti che testimoniarono nel processo sui poliziotti poi prescritti

 

“False dichiarazioni e reticenze”. Il pm di Caltanissetta, Maurizio Bonaccorso, il rinvio a giudizio per i poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli per il reato di depistaggio. Ai quattro, ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, viene contestato di aver mentito quando avevano testimoniato nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di Via D’Amelio che si era concluso, in secondo grado, con la prescrizione del reato di calunnia per i tre imputati. Non luogo a procedere, quindi, per intervenuta prescrizione per Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “A parte alcuni singoli casi di false dichiarazioni che si riferiscono a episodi specifici, ad esempio la falsa dichiarazione di Di Gangi su una pistola puntata a Scarantino durante una colluttazione a San Bartolomeo a Mare, tutte le altre false dichiarazioni e reticenze, mascherate da non ricordo, si riferiscono – continua il pm – a punti oscuri dell’indagine su Scarantino che rappresentano elementi chiavi dell’inquinamento probatorio. Per comprendere l’atteggiamento dei testi, oggi imputati, occorre analizzare alcuni elementi scottanti. – ha detto il pubblico ministero – C’è la percezione di muoversi in un campo minato dove una risposta sbagliata può avere conseguenze devastanti. Per comprendere appieno quello che è l’atteggiamento di assoluta malafede dei testimoni che hanno fatto parte del gruppo ‘Falcone-Borsellino’ sarebbe necessaria un’analisi di quella che è l’evoluzione dei processi che nel corso degli anni si sono celebrati”.
Maniscaldi, che nel ’93 era entrato a far parte del gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, costituito alla Squadra Mobile di Palermo per fare luce sulle stragi, del ’92 ha respinto le accuse. Nel corso dell’esame del suo legale, l’avvocato Giuseppe Panepinto, l’imputato ha affermato di non aver mai mentito nelle deposizioni rese al primo processo sul depistaggiocelebrato nei confronti di altri tre funzionari di polizia Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. “Non ho mai nascosto nulla”, ha detto in aula. “Sono definito la memoria storica del gruppo perché ho letto le carte tante volte”. Il pm ha chiesto all’imputato se la precisione e la puntualità mostrata nell’ambito delle sue deposizioni fosse legata a un’ottima memoria o all’aver studiato bene gli atti del processo. “Le dichiarazioni del depistaggio le confermo integralmente. Ero sotto giuramento e ho detto la verità”, ha ribadito poi Maniscaldi al pm. “Riconosco le mie firme sui brogliacci relativi alle intercettazioni fatte durante la permanenza di Vincenzo Scarantino a San Bartolomeo a Mare” ha detto Maniscaldi che, in qualità di componente del gruppo di indagine Falcone Borsellino si era occupato dell’attività di ascolto delle intercettazioni a carico di Vincenzo Scarantino.
Quest’ultimo secondo la ricostruzione della procura di Caltanissetta, nel processo sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio, era stato imbeccato dai poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo per costruire una falsa verità sulle stragi. “Normalmente i telefoni vengono messi sotto controllo per attività d’indagine. Le intercettazioni sul telefono di San Bartolomeo a Mare non riguardavano un’attività di indagine. Quel telefono era stato messo lì per capire se Vincenzo Scarantino venisse convinto dai parenti a ritrattare, ma non c’era una vera e propria attività di indagine nel senso proprio del termine”.

 
 
La sentenza della Corte d’appello non chiude il caso. La procura di Caltanissetta ha già chiesto un nuovo processo per il depistaggio istituzionale che ha tenuto lontana la verità dai veri responsabili della strage di via D’Amelio.
E, ancora una volta, sotto accusa ci sono quattro rappresentanti delle istituzioni, altri poliziotti che un tempo facevano parte del gruppo di indagine sulle stragi Falcone e Borsellino.
Proprio come quelli appena giudicati in appello.
Ma questa volta, l’accusa è più pesante: non più calunnia nei confronti del falso pentito Vincenzo Scarantino, ma “𝒅𝒆𝒑𝒊𝒔𝒕𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐”.
Il reato previsto dall’articolo 375 del codice penale viene contestato a 𝐌𝐚𝐮𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐙𝐞𝐫𝐢𝐥𝐥𝐢, 𝐆𝐢𝐮𝐬𝐞𝐩𝐩𝐞 𝐃𝐢 𝐆𝐚𝐧𝐠𝐢, 𝐕𝐢𝐧𝐜𝐞𝐧𝐳𝐨 𝐌𝐚𝐧𝐢𝐬𝐜𝐚𝐥𝐝𝐢 e 𝐀𝐧𝐠𝐞𝐥𝐨 𝐓𝐞𝐝𝐞𝐬𝐜𝐨.
Il procuratore 𝐒𝐚𝐥𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐃𝐞 𝐋𝐮𝐜𝐚 e il sostituto 𝐌𝐚𝐮𝐫𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐁𝐨𝐧𝐚𝐜𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 hanno già sollecitato il rinvio a giudizio, l’udienza preliminare si terrà l’11 luglio.
Un altro atto d’accusa pesantissimo contro un pezzo delle istituzioni che avrebbe dovuto cercare la verità. Sono stati i giudici del tribunale – quelli che hanno giudicato Mario Bo’, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo – a far scattare le nuove accuse, trasmettendo gli atti in procura. Zerilli, Di Gangi, Maniscaldi e Tedesco sono stati testimoni di quel processo, ma non hanno convinto. «L’ispettore Maurizio Zerilli ha detto 121 “non ricordo”, e non su circostanze di contorno», ha scritto il tribunale di Caltanissetta nelle motivazioni della sentenza che ha scavato nei misteri del falso pentito Vincenzo Scarantino, costruito ad arte dall’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera.
Oltre cento i “non ricordo” di un altro ispettore, Angelo Tedesco. Ben 110 ne ha collezionati il suo collega Giuseppe Di Gangi. Il quarto ispettore del gruppo che avrebbe dovuto indagare sui misteri delle stragi, Vincenzo Maniscaldi, «non si è trincerato dietro ai “non ricordo”, ma si è spinto a riferire circostanze false», ha scritto il collegio presieduto da Francesco D’Arrigo. E così dopo la trasmissione dei verbali in procura, i quattro poliziotti sono finiti indagati per falsa testimonianza. Convocati dai pubblici ministeri nisseni, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Quindi, dopo un primo avviso di conclusione delle indagini, la procura ha modificato la contestazione in quella più grave di depistaggio.
Lo scenario è sempre lo stesso. Anche questi poliziotti sono accusati di aver commesso il reato per proteggere i misteri di quello che viene considerato il regista dell’operazione depistaggio l’ex capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera.
Il procuratore aggiunto Pasquale Pacifico e i sostituti Claudia Pasciuti, Nadia Caruso e Davide Spina scavano nella vita del super poliziotto, nelle indagini condotte a Palermo, a caccia di tracce della sua infedeltà. Indagine certo non facile per il tanto tempo trascorso. Ma in questa storia i colpi di scena sono sempre dietro l’angolo.
Dopo tanti anni, alcuni poliziotti che quel pomeriggio del 19 luglio 1992 erano in via D’Amelio si sono ricordati dettagli importanti. Questa è anche una storia di smemorati e di gente che ha riacquistato la memoria all’improvviso.
Ecco, dunque, l’ultimo ricordo, davvero importante per la ricostruzione dell’intera vicenda: alcuni poliziotti hanno confermato di aver preso in consegna la borsa di Paolo Borsellino dal capitano dei carabinieri Giovanni Arcangioli, poco dopo la famosa foto del reporter Franco Lannino che lo immortala in via d’Amelio. «Perché la competenza delle indagini spettava alla polizia», hanno spiegato i testimoni.
E così la borsa di Paolo Borsellino finì nella stanza di Arnaldo La Barbera, senza alcuna relazione di servizio, che fu predisposta solo quattro mesi dopo da un sottufficiale. Salvo Palazzolo su Repubblica-Palermo del 05/06/2024

STRAGE DI VIA D’AMELIO: “processo depistaggio bis”, chiesto il rinvio a giudizio per 4 poliziotti. TRIZZINO, legale dei figli di Borsellino: “Depistaggio infinito, noi umiliati”