FQ 9.11.2024 SEGUE
23 maggio 2022
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La bestia nera
A 30 anni dalla morte di Giovanni Falcone, emergono documenti e protagonisti dimenticati in grado di gettare una nuova luce su quei fatti.
A Capaci, Cosa Nostra non ha agito da sola: estremisti di destra e uomini di mafia, secondo testimoni e documenti ritrovati, sarebbero stati di nuovo insieme, dopo gli anni della strategia della tensione, in un abbraccio mortale costato la vita ai giudici Falcone e Borsellino. I due magistrati avevano il quadro completo, e oggi, tornando ad ascoltare collaboratori ed ex carabinieri, Report prova a ricostruirlo.
24 maggio 2022 – All’indomani della messa in onda dell’inchiesta la DIA, su mandato emessso dalla Procura di Caltanissetta ha perquisito l’abitazione dell’inviato Paolo Mondani. L’ordinanza della Procura è firmata 3 giorni prima.
La risposta dell’inviato di Report Paolo Mondani:
Le dichiarazioni di Alberto Lo Cicero e della sua compagna Maria Romeo sono da tempo note alla Direzione Nazionale Antimafia e alla Procura di Caltanissetta.
Sorprende che 30 anni dopo i fatti di Capaci si indaghi su quelle dichiarazioni solo ora.
Curioso è che nel decreto di perquisizione del sottoscritto la procura di Caltanissetta chieda di esibire i primi verbali dei colloqui investigativi nei quali Lo Cicero inizialmente raccontava molti più particolari che non riporterà, per motivi da accertare, nei successivi verbali di indagine. Anche la Romeo veniva sentita più volte, e più volte ha ribadito le circostanze a noi riferite. Nel frattempo molti documenti sono spariti. Ma è noto che la Procura Generale di Palermo questi documenti li ha ritrovati tanto da spingere la Direzione Nazionale Antimafia a iniziare un’inchiesta.
27 maggio 2022 – Riceviamo e pubblichiamo la precisazione inviata alla redazione di Report dai legali di Bonanno Francesco, Bonanno Antonio e Bonanno Claudio Germano in qualità di eredi dei defunti genitori Bonanno Alfio e Mancuso Paola:
‘L’immobile che nel servizio ‘La Bestia Nera” di Paolo Mondani è stato individuato come “Villa Bunker” appartiene in realtà ai Sigg.ri Francesca Bonanno, Antonio Bonanno e Claudio Bonanno e risulta del tutto estraneo, al pari dei suoi proprietari, alle vicende narrate nel servizio. All’epoca dei fatti narrati dal Sovrintendente di P.S. Federico la villa era @bitata da 6 persone e non ha mai contenuto “strumentazione dell’aereo” o “altro tipo di impianti tecnologici” men che mai estesi per 1000 mq. L’immobile, inoltre, non è mai stato oggetto di perquisizione da parte di alcuna forza di polizia ed i suoi proprietari Sigg.ri Francesca Bonanno, Antonio Bonanno e Claudio Bonanno, sono tutti incensurati ed estranei ai fatti narrati nel servizio.
Report precisa, a margine della lettera ricevuta, che il Sovrintendente Antonio Federico era accompagnato da un collega a conferma della sua testimonianza e ha descritto quel che ha visto nella villa bunker alle Procure di Trapani, Palermo e Firenze, alla direzione nazionale antimafia e alla commissione parlamentare antimafia. Poco dopo il suo sopralluogo la polizia ha effettuato una perquisizione nell’edificio citato.
Nell’ambito della trasmissione televisiva Report, andata in onda in data 23.5.2022, sono state inserite le interviste al Luogotenente dei Carabinieri in congedo Walter Giustini ed alla signora Maria Romeo, dalle quali è emerso complessivamente che, nel corso delle indagini condotte nel 1992 dai Carabinieri del Gruppo 1 – Palermo, coordinate dalla Procura di Palermo, sono state fornite da parte di Alberto Lo Cicero, prima quale confidente e poi quale collaboratore di giustizia, preziose informazioni circa la preparazione della strage di Capaci (quindi prima del tragico evento), nonché circa la funzione svolta da Biondino Salvatore quale autista del latitante Salvatore Riina, molti mesi prima che lo stesso venisse catturato in compagnia dello stesso Biondino.
Tali dichiarazioni sono totalmente smentite dagli atti acquisiti da questa Procura sia presso gli archivi dei Carabinieri, sia nell’ambito del relativo procedimento penale della Procura di Palermo. Il riscontro negativo emerge dalle trascrizioni delle intercettazioni ambientali fatte nei confronti del Lo Cicero, prima della sua collaborazione, nonché da tutti i verbali di sommarie informazioni e di interrogatorio dallo stesso resi prima dei su indicati eventi.
In particolare, nel corso delle sommarie informazioni in data 25 agosto 1992, il Lo Cicero dichiara di aver riscontrato delle anomalie nel comportamento di alcuni uomini d’onore poco prima della strage di Capaci, pensando però che volessero organizzare qualcosa per ucciderlo (il Lo Cicero era già stato vittima di un tentato omicidio nel dicembre del 1992), concludendo “mai avrei pensato quello che poi è avvenuto” (e cioè la suindicata strage).
Per quel che riguarda la rilevanza di Biondino Salvatore, il Lo Cicero ha affermato, sia nel corso delle discussioni intercettate, che nell’ambito degli interrogatori antecedenti alla cattura di Salvatore Riina, che il detto Biondino era l’autista del latitante Gambino Giacomo Giuseppe, arrestato già diversi anni prima delle dichiarazioni in esame, non facendo in alcun modo menzione del Salvatore Riina, se non in data 22.1.1993 (cioè in data successiva alla cattura del detto latitante): “vedendo la sua immagine proprio sui giornali e in televisione, mi sono ricordato che quella persona l’ho vista qualche volta nella villa del Troia”.
Allo stesso modo il Lo Cicero, sia nel corso delle conversazioni intercettate, che nel corso degli interrogatori da lui resi, al Pubblico Ministero e ai Carabinieri, non fa alcuna menzione di Stefano Delle Chiaie.
Non compete a questo Ufficio esprimere valutazioni generali in ordine alla completezza e tempestività delle indagini coordinate da altra autorità giudiziaria a meno che le stesse non abbiano una rilevanza penale in un procedimento di sua competenza; qui si intende solamente affermare che sono del tutto destituite di fondamento le affermazioni circa la sussistenza di specifiche e tempestive dichiarazioni rese dal Lo Cicero sugli argomenti sopra indicati e, quindi, che sarebbe stato possibile evitare la strage di Capaci ed anticipare di alcuni mesi la cattura di Salvatore Riina.
Questa Procura ha già espresso il proprio convincimento circa la sussistenza di mandanti e concorrenti esterni nella strage di via D’Amelio, chiedendo nel processo per il c.d. depistaggio la condanna degli imputati con la contestata aggravante di mafia, riguardante la finalità di coprire le alleanze di alto livello di cosa nostra in quel periodo. Tuttavia, le difficilissime indagini che possono consentire l’accertamento della verità devono essere ancorate ad elementi di fatto solidi e riscontrati.
Per tali motivi questo Ufficio, che si era imposta la rigorosa consegna del silenzio, è costretto ad intervenire per smentire notizie che possano causare disorientamento nella pubblica opinione e profonda ulteriore amarezza nei prossimi congiunti delle vittime delle stragi, che si verrebbe a sommare al tremendo dolore sofferto.
Ed è proprio per verificare la genuinità delle fonti che questa Procura ha disposto una perquisizione a carico di un giornalista di Report, che non è indagato.
Tale perquisizione non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta da tale giornalista, benché la stessa sia presumibilmente susseguente ad una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario.
Infatti, secondo quanto accertato da questo Ufficio, in una occasione, il detto giornalista avrebbe incontrato il suindicato Luogotenente in congedo Giustini, non per richiedergli informazioni, ma per fargli consultare la documentazione in possesso di esso giornalista in modo che lo stesso Giustini fosse preparato per le imminenti sommarie informazioni da rendere a questa Procura.
E’ necessario verificare la natura di tale documentazione posta in lettura al Giustini, che presumibilmente costituisce corpo del reato di rivelazione di segreto d’ufficio relativo alla menzionata attività di altra autorità requirente.
Tale accertamento è tanto più rilevante in considerazione dell’importanza che Giustini attribuisce a tale documentazione, nonché a seguito delle contraddittorie versioni fornite da quest’ultimo in materia di comunicazione nel 1992 delle informazioni da parte dell’Arma all’Autorità Giudiziaria di Palermo.
Il Procuratore della Repubblica Salvatore De Luca
22.7.2023 Capaci e la pista nera, dalla informativa Cavallo ai “depistaggi” dell’avvocato sulla presenza Delle Chiaie in Sicilia tra il ’91 e il ’92
C’è un filo nero – come quello scoperto per la strage di Bologna – che lega la strage di Capaci alla destra terroristica di Avanguardia Nazionale e in particolare al suo fondatore Stefano Delle Chiaie?
Gli inquirenti di Caltanissetta indagano ormai da tempo e scavando nella storia delle indagini sull’attentato che inghiottì la vita e il lavoro di Giovanni Falconehanno ricostruito come forse già nell’autunno del 1992 potesse essere almeno esplorata la pista nera.
Nell’ordinanza di custodia cautelare – che ha portato oggi all’arresto dell’ex deputato missino ed ex legale di Delle Chiaie Stefano Menicacci – oltre 370 pagine delle 536 complessive, firmate dal giudice per le indagini preliminari Santi Bologna, sono dedicate alla millimetrica ricostruzione della informativa Cavallo (5 ottobre 1992 ) in cui un allora capitano dei carabinieri aveva raccolto le dichiarazioni di una donna, Maria Romeo, legata al pentito Alberto Lo Cicero, che collocava il numero uno di Avanguardia nazionale, in Sicilia a caccia di esplosivo prima che l’autostrada tra l’aeroporto di Punta Raisi e Palermo diventasse un cratere. “Un mero spunto investigativo – scrive il giudice – che non fu debitamente approfondito né nel 1992, né nel 2006-2007, ma solo a partire dall’invio dell’atto di impulso della Dna del 11 novembre 2021”. Molti i motivi del mancato focus: su tutti i difficili rapporti e dialogo tra le procure di Palermo, Caltanissetta (competente a indagare) e l’allora neonata Procura nazionale antimafia e l’attendibilità ritenuta labile da alcuni pm della donna, la morte dello Lo Cicero.
Il depistaggio – Ma è proprio indagando che gli inquirenti hanno scoperto come Menicacci cercasse spasmodicamente di collocare fuori dalla Sicilia il suo ex assistito. Si tratta di uno dei personaggi più controversi della storia dell’Italia recente e il cui nome è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio, ma i processi lo hanno sempre visto assolto per “non aver commesso il fatto” o per “insufficienza di prove”. Per far comprendere il calibro di Delle Chiaie (morto nel 2019) agli atti dell’inchiesta viene ricordato come dopo l’arresto e l’estradizione dal Venezuela portato “nell’aula della Corte di Assise di Bologna per rispondere della strage del 2 agosto, al suo apparire gli imputati Cavallini e Fachini, Fioravanti e la Mambro si alzarono rispettosamente in piedi…”. Gli ex Nar sono stati condannati all’ergastolo in due diversi processi per il massacro della stazione come lo è stato un altro componente di Avanguardia nazionale, Paolo Bellini. Quello stesso che Menicacci cita in una conversazione con Domenico Romeo: “Dopo tutti sti anni ancora a rompere i coglioni … e questo è tutto il processo Bellini, vedi!?”. Ma quest’ultimo dovrà affrontare l’appello dopo la condanna al fine pena mai, mentre Delle Chiaie all’epoca fu prosciolto per Bologna. E probabilmente non si potrà accertare una presunta partecipazione al progetto stragista mafioso. In Sicilia era ufficialmente per la campagna elettorale della neonata Lega Nazionale Popolare.
Come spiega il procuratore di Caltanissetta Salvo De Luca: “L’indagine che ha portato agli arresti domiciliari dell’avvocato Stefano Menicacci e di Domenico Romeo nasce nell’ambito delle nuove inchieste sulle stragi del ’92. In quel contesto intercettiamo una conversazione tra loro e la moglie di Stefano Delle Chiaie durante la quale Menicacci invitava i suoi interlocutori a negare che Delle Chiaie si fosse trovato in Sicilia nel periodo precedente all’attentato. Addirittura a Romeo era stato dettato una sorta di decalogo a cui attenersi nel corso delle sommarie informazioni rese ai pm”. Il Romeo in questione è Domenico, fratello della donna che ascoltata anche recentemente aveva parlato al capitano Cavallo di Delle Chiaie, del rapporto con il fratello e dell’avvocato Menicacci. Riascoltata in questa ultima indagine le sue dichiarazioni non sono state ritenute attendibili. Eppure Menicacci in allerta per le nuove indagini sui rapporti tra Cosa nostra e destra eversiva, “che si riteneva in qualche modo una partita chiusa”, ha cercato di depistare le indagini “cercando e riuscendo ad inquinare la deposizione di Domenico Romeo e Maria Carola Casale (moglie di Delle Chiaie), testimoni a conoscenza di specifiche circostanze in ordine ai rapporti non solo” tra lui e Delle Chiaie “ma anche in ordine a possibili frequentazioni siciliane dello stesso”.
Le intercettazioni – Cruciale per comprendere l’interesse di Mencacci a far sparire il suo ex cliente dalla Sicilia nei mesi precedenti la strage una intercettazione del 24 maggio 2022, successiva alla messa in onda di un servizio di Report in occasione dell’anniversario della strage del 23 maggio 1992. L’avvocato parte subito all’attacco: “Tu ti stai a mette nei guai! … Dici delle cose palesemente false che… Adesso questi cercano di far credere che Delle Chiaie Avanguardia Nazionale siano stati coinvolti con la mafia … e con i servizi segreti per la strage di Capaci!”, Romeo tenta di rispondere ma il legale rincara la dose facendo riferimento alle dichiarazioni della sorella. La lunga conversazione riguarda anche un racconto di Maria Romeo a Report con al centro Lo Cicero e un incontro con Paolo Borsellino, poco prima che il magistrato morisse con la sua scorta in via D’Amelio. Menicacci mostra all’incredulo interlocutore le immagini: “Eccolo Delle Chiaie, Vedi! Ti vogliono incastrare!! Se ti incastrano a te ti danno l’ergastolo!”. Menicacci quindi intima Romeo a smentire e cambiare la versione: “Di’ semplicemente che ti sei confuso con (incomprensibile), sei tornato in Sicilia per affari tuoi e che tu l’hai portato fino a Ragusa…” . Interrogato dagli inquirenti Romeo, in accordo con Mencacci, aveva anche negato di conoscere il capo della P2, Licio Gelli. Anche con la compagna di Delle Chiaie Menicacci interviene e il 30 maggio 2022 e la loro conversazione viene intercettata. La donna ricordando dice : “… e lui in Sicilia c’è stato solo un anno, per tre giorni se non sbaglio … ehh …“, e l’avvocato: “in che periodo, questo è importante! in che periodo?” e lei: “Se non sbaglio era estate, sì se non sbaglio era estate, però adesso …”, e Menicacci: “Dove è stato quei tre giorni? eh … vatti a ricordare, non me lo ricordo Ste … non me lo ricordo perché erano proprio gli inizi … che dopo non mi sembra che fosse il 92, ma il 93”. Menicacci però non pare sollevato: “No, questa storia dei tre giorni in Sicilia, non la tirare fuori” e la donna: “No, no, assolutamente no! … no, non, non ci penso proprio”.
Riflette il gip: “Una precisazione deve essere subito compiuta: la circostanza relativa alla presenza del Delle Chiaie in Sicilia per tre giorni su cui il Menicacci la invita a serbare il silenzio con gli inquirenti, sembrerebbe, quindi, diversa da quella inerente la accertata presenza a Ragusa di Delle Chiaie insieme a Romeo, sia per gli anni indicati dalla Casale (1992-93) sia per l’assenza del Romeo in quest’ultima occasione. Si può dunque concludere che si tratti di due diversi periodi di permanenza del Delle Chiaie in Sicilia“. Due i punti certi quindi fino a questo punto la presenza per due volte in Sicilia di Delle Chiaie e la volontà di Menicacci di annichilirle dalla storia giudiziaria.
Il movente – Ma perché evitare che gli inquirenti possano provare una presenza di Delle Chiaie che sarebbe solo il punto di partenza di una indagine sugli ipotizzati legami tra Cosa nostra e destra eversiva con sullo sfondo la presenza di servizi segreti deviati? Per il giudice la vicinanza a Delle Chiaie avrebbe portato Menicacci a “essere utilizzato per ‘attualizzare’ l’interesse investigativo sulla sua persona, essendo egli già stato indagato (tra gli altri insieme ai defunti Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie) per concorso esterno in associazione mafiosa nel procedimento meglio noto come “Sistemi Criminali”. “In altri termini, dall’agire di Menicacci, più che l’intento di agevolare cosa nostra coprendo le cointeressenze – allo stato, non dimostrate – con la destra eversiva nella pianificazione delle stragi (ipotesi che l’indagato parlando con Adriano Tigher definisce una “volgare menzogna”), sembra trasparire solo il suo personale interesse a non vedersi nuovamente oggetto di indagine”.
Il passato che ritorna? – L’inchiesta Sistemi criminali risale alla fine degli anni ’90. Secondo i pm di Palermo i boss di Cosa nostra fra il 1991 ed il ’93, con l’appoggio della massoneria deviata e dell’estrema destra, avevano progettato un golpe e volevano “dividere” il meridione dal resto d’Italia. Un’ipotesi che era contenuta nella richiesta di archiviazione presentata al gip nel 2001. I magistrati sottolineavano nel provvedimento che erano scaduti i termini delle indagini senza che fossero emerse ”prove certe” nei confronti dei 14 indagati: il capo della P2 Licio Gelli (per cui per i giudici di Bologna c’è la prova eclatante che contribuì all’attentato del 2 agosto 1980, ndr), Stefano Menicacci, Stefano Delle Chiaie, Rosario Cattafi, Filippo Battaglia, Toto’ Riina, Giuseppe e Filippo Graviano, Nitto Santapaola, Aldo Ercolano, Eugenio Galea, Giovanni Di Stefano, Paolo Romeo e Giuseppe Mandalari. Secondo la tesi della Procura, Cosa nostra ”voleva farsi Stato”, e avrebbe tentato di abbracciare ”un golpe separatista”.
I capimafia, Riina, Provenzano, Madonia e Santapaola avrebbero deciso nel ’91 una ”strategia della tensione” (omicidio di Salvo Lima, stragi di Capaci e via D’Amelio, gli attentati a Roma, Firenze e Milano), che sarebbe poi stata affiancata da un piano, proposto da Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Stefano Menicacci, che prevedeva ”un nuovo progetto politico”: la creazione di un movimento meridionalista e la nascita delle Leghe meridionali. Il progetto, però, alla fine del ’93 si interruppe: secondo i pm la mafia cambiò gli appoggi politici e ”furono dirottate tutte le risorse – scrivevano i magistrati – nel sostegno di una nuova formazione politica nazionale apparsa sulla scena”.
Il provvedimento, firmato dall’allora procuratore aggiunto Roberto Scarpinato, dai sostituti Nico Gozzo e Antonio Ingroia e vistato dall’allora procuratore Piero Grasso e dall’allora aggiunto Guido Lo Forte, e trasmesso alle procure di Caltanissetta e Firenze e alla Direzione nazionale antimafia, faceva riferimento anche ad un mandante occulto, su cui erano state avviate indagini, per gli omicidi di Salvo Lima e del giudice Giovanni Falcone. Ma questa storia è stata archiviata e questa di Caltanissetta sembra solo all’inizio.
23.5.2022 Strage di Capaci, s’indaga di nuovo sulla pista nera e su Delle Chiaie
INCHIESTA A CALTANISSETTA – 30 anni dopo i pm verificano se vi fu un ruolo del neofascista nell’agguato in cui perse la vita Giovanni Falcone
A distanza di trent’anni dalle stragi si torna a indagare sulla ‘Pista nera’. C’è un pentito e una testimone che hanno parlato della presenza dell’estremista di destra Stefano Delle Chiaie a Capaci, un mese prima della strage. Sono dichiarazioni fatte in colloqui investigativi non utilizzabili processualmente e tutte da riscontrare su un soggetto che è morto nel 2019 senza essere mai stato condannato nonostante tanti processi e indagini per altre stragi. Solo di recente questi fatti sono arrivati sul tavolo dei pm di Caltanissetta competenti. Anche per questo, questa storia, pur con la presunzione di non colpevolezza va narrata.
Delle Chiaie – secondo questo racconto tutto da verificare – incontrava un boss della mafia per poi cercare esplosivo in una cava. Queste e altre cose sono state raccontate in via confidenziale ai Carabinieri nel 1992 probabilmente dalla compagna di un pentito che poi le ha riproposte in colloqui investigativi nel 2006. Il pentito si chiamava Alberto Lo Cicero. Non era un mafioso ‘punciuto’. Però era cugino del boss Armando Bonanno e faceva l’autista del boss Mariano Tullio Troia. Sul piano politico era invece una sorta di ‘cognato’ di Domenico Romeo, fondatore nel 1990 di molte Leghe meridionali con Stefano Menicacci, avvocato di Delle Chiaie con il quale Romeo era in ottimi rapporti. Lo Cicero lo conosceva perché aveva una relazione con la sorella Maria Romeo.
Su altre questioni Lo Cicero è stato ritenuto inattendibile dai magistrati. Eppure ora la Direzione Nazionale Antimafia e la Procura di Caltanissetta stanno studiando la sua figura e lavorano da mesi sulle sue dichiarazioni e su quelle di Maria Romeo.
Lo Cicero sarà stato inattendibile per alcuni giudici ma di certo era considerato un pentito ‘pericoloso’ per la mafia. Cosa Nostra progettò di eliminarlo due volte nel 1993 e nel gennaio ’94 con due diversi commando di killer guidati da boss di alto livello: Gioacchino La Barbera e Gaspare Spatuzza. Entrambi poi arrestati e divenuti collaboratori di giustizia. Così Lo Cicero è morto di morte naturale. Prima però ha raccontato ai pm anche di aver incontrato Paolo Borsellino.
Secondo il pentito, Borsellino aveva visto informalmente Salvatore Lo Cicero quando era un confidente dei Carabinieri e lo avrebbe rivisto, sempre a detta di Lo Cicero, quando sarebbe divenuto un pentito. Purtroppo il 19 luglio Borsellino è stato ucciso e il primo verbale Lo Cicero lo fa il 24 luglio 1992 con altri pm. Al Fatto un magistrato che trattò il collaboratore allora dice: “Non ho mai saputo nulla di un incontro di Borsellino con Lo Cicero né mi pare di aver mai sentito da lui di rapporti con Domenico Romeo o con Delle Chiaie. In generale non lo ritengo molto attendibile”. Lo Cicero sostiene di aver raccontato — da confidente — ai Carabinieri l’importanza di Salvatore Biondino, l’uomo più vicino a Totò Riina, quando l’autista del Capo dei Capi era un insospettabile. Inoltre Lo Cicero avrebbe riferito – sempre prima della strage, a detta sua – di strani movimenti in corso a Capaci prima del 23 maggio 1992.
Lo Cicero ha raccontato tutto ciò al pm Gianfranco Donadio della DNA, in un paio di colloqui investigativi del 2006. Notizie in sostanza confermate dalla sua ‘compagna’ Maria Romeo, che invece è viva. Risentita sul punto dai pm la compagna del pentito non ha solo detto di avere visto Lo Cicero che andava a parlare con il procuratore Paolo Borsellino nel 1992. Maria Romeo probabilmente già nel 1992 andò lei stessa dai Carabinieri a parlare dell’apparizione di Stefano Delle Chiaie a Capaci. E di queste dichiarazioni c’è una qualche traccia.
I Carabinieri della procura presso la pretura di Palermo nell’ottobre del 1992 inviano una nota ai loro cugini più importanti del comando territoriale e del ROS oltre che alla Prefettura. Polizia e Carabinieri non ne fanno nulla ma una copia della missiva è stata rintracciata di recente. Cosa c’è scritto? Un confidente (oggi sappiamo dovrebbe essere Maria Romeo o Lo Cicero) racconta ai carabinieri che nell’aprile 1992 in occasione delle elezioni politiche Stefano Delle Chiaie ha preso contatto con Troia, erroneamente definito boss di Cruillas. Al di là della zona di comando del boss è interessante la ragione dell’incontro al vertice tra il fascista e il mafioso: Delle Chiaie, secondo il confidente, aveva parlato con Troia per andare a Capaci a procurarsi l’esplosivo dalla cava di tal Sensale. Quando i Carabinieri mettono sotto osservazione la cava di Sensale però non vedono entrare Delle Chiaie ma l’insospettabile fino ad allora Giovanbattista Ferrante, poi arrestato e condannato, ora collaboratore di giustizia.
A detta di Lo Cicero e Maria Romeo, però le sue ‘dritte’ non furono valorizzate. Tanto che Biondino sarà arrestato mentre faceva l’autista a Totò Riina nel gennaio 1993 grazie al pentito Balduccio Di Maggio e non nel 1992 grazie alle dritte di Lo Cicero. Persino dopo la morte di Borsellino, quando la Procura di Caltanissetta chiede ai Carabinieri di Palermo di ascoltare il confidente Lo Cicero (non sapendo che nel frattempo era diventato un pentito) si sentì rispondere che prima Lo Cicero doveva parlare con i pm di Palermo. Perché? Perché così era stato concordato con i pm Vittorio Aliquò e Borsellino.
La risposta dei Carabinieri è guardata con attenzione dagli inquirenti oggi perché dimostra che Borsellino effettivamente aveva parlato con Lo Cicero o comunque era interessato a sentirlo.
Lo Cicero era un falegname insospettabile e non era ‘punciuto’. Però accompagnava Mariano Tullio Troia agli incontri con Riina dove aveva visto Biondino. Si era avvicinato ai Carabinieri dopo aver subito un attentato nel dicembre del 1991 che gli aveva lasciato otto ferite sul corpo. Da allora era particolarmente guardingo. Così aveva notato nella sua zona, Capaci, la presenza di troppi mafiosi nelle settimane prima della strage. Così aveva avvertito i Carabinieri, da buon confidente, di tenere d’occhio in particolare Antonino Troia.
Proprio grazie alle indicazioni di Lo Cicero, Antonino Troia, era pedinato dai Carabinieri, il giorno della strage. Non riuscirono a capire cosa stesse accadendo. In compenso Troia poi fu condannato.
La ‘distrazione investigativa’ su Lo Cicero, se reale, diviene più inquietante se si tengono in conto le rivelazioni sui rapporti tra Delle Chiaie e i mafiosi che Lo Cicero ribadirà davanti al pm Gianfranco Donadio nel 2006. Il vice dell’allora procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso lo ascoltò per ore. In quei colloqui investigativi il collaboratore raccontò a Donadio di avere visto, sempre nei giorni prima della strage passare Delle Chiaie a bordo di un’Alfa Romeo sulla strada che porta a Capaci insieme al fratello della sua compagna, Domenico Romeo. Una scena che, ove anche fosse riscontrata, di per sé proverebbe al massimo uno scenario politico, non un reato. Comunque la Procura Nazionale poi lasciò cadere la pista Delle Chiaie e la Procura di Caltanissetta non fu coinvolta con un atto di impulso dalla DNA. Nel frattempo Lo Cicero è morto.
A 30 anni dalla morte di Giovanni Falcone è forse l’ultima occasione per verificare se quelle rivelazioni hanno riscontro o no.
Lo spunto investigativo del 2006 è stato rivitalizzato dall’ex Procuratore Generale Roberto Scarpinato che ha trasmesso i risultati della sua inchiesta con una lunga informativa alla Direzione Nazionale Antimafia. Ora la questione è sul tavolo della Procura di Caltanissetta, competente sulle stragi. Il nuovo procuratore Salvatore De Luca con il pm Pasquale Pacifico e gli altri pm assegnati al caso stragi dalla DNA (Domenico Gozzo, Francesco Del Bene e Salvatore Dolce) dovrà sbrogliare l’intricata matassa.
Se Lo Cicero e Maria Romeo dicono il vero, che ci faceva Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, a Capaci? Si è sempre parlato della vicinanza dell’artificiere della strage, Pietro Rampulla, della famiglia di Mistretta, a un’altra organizzazione di destra: Ordine Nuovo (ON). Ma Avanguardia Nazionale era nata in contrapposizione con ON.
Avanguardia Nazionale fu sciolta nel 1976 per violazione della legge Scelba (che vieta la ricostituzione del partito fascista) e Delle Chiaie trascorse molti anni all’estero coccolato da vari regimi autoritari del Sudamerica. Fu indagato e sempre prosciolto o assolto per le più importanti stragi ‘nere’ da piazza Fontana a Milano, nel 1969, a quella di Bologna alla stazione del 1980. Fino alla morte ha negato con indignazione il suo coinvolgimento nelle stragi e la sua presenza a Roma quando ci fu il tentato golpe Borghese nel 1970. Alla fine degli anni novanta fu indagato di nuovo a Firenze per le stragi del ‘Continente’ a Firenze e Milano (10 morti) e nuovamente fu archiviato su richiesta dei pm nel 2002. Sempre nel 2002 fu archiviato, anche qui su richiesta dei pm nell’indagine ‘Sistemi criminali’ dei pm Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia a Palermo. Era accusato con il boss Totò Riina, Licio Gelli e altri per associazione sovversiva terroristica. L’ipotesi investigativa era che la mafia avesse tentato di favorire con le stragi la divisione dell’Italia in chiave anticomunista, filo-massonica e filo-criminale.
In quegli anni Delle Chiaie, dal punto di vista politico, secondo la Polizia, andava a braccetto con Domenico Romeo, non indagato allora e ora. Per la Digos di Roma (nota del 11 marzo 1992) “Romeo Domenico è stato segnalato in compagnia di Stefano Delle Chiaie in occasione della conferenza stampa organizzata dalla ‘Lega Nazional Popolare’ tenutasi presso l’Hotel Ionio in data 23 dicembre 1991”. La Digos di Torino invece con nota del 26 febbraio 1992 comunica che “Romeo Domenico, nel corso del mese di febbraio 1992 si trovava a Torino ed era in costante collegamento con l’estremista di destra P.R., (…) il quale, a sua volta, doveva incontrarsi in quella città con Stefano Delle Chiaie. I collegamenti tra i due estremisti avvenivano tramite due cellulari 0337/74… in uso a Stefano Delle Chiaie e 0337/74… in uso a Domenico Romeo”.
Solo oggi scopriamo che Romeo è il fratello di Maria Romeo, che aveva una relazione con Lo Cicero.
La mancanza di coordinamento tra le varie indagini ha impedito di cogliere l’importanza delle rivelazioni di Maria Romeo e di Alberto Lo Cicero per trent’anni? Non siamo in grado di stabilire se quelle confidenze sulla presenza di Delle Chiaie a Capaci un mese prima della strage siano rispondenti al vero. Certo, le informazioni provenivano da una coppia che, data la sua collocazione familiare, (lei sorella del politico vicino a Delle Chiaie e lui cugino del boss Armando Bonanno e autista del boss Mariano Tullio Troia) erano in grado di sapere qualcosa di eventuali contatti tra il mondo degli estremisti di destra e Cosa Nostra.
Poi Lo Cicero fu bollato come inattendibile e nessuno lo chiamò a rendere dichiarazioni nell’indagine ‘Sistemi criminali’. Nella richiesta di archiviazione di ‘Sistemi criminali’ per associazione sovversiva con aggravante di mafia, firmata da Roberto Scarpinato nel 2001 per tutti gli indagati si legge: “Stefano Menicacci, avvocato di Stefano Delle Chiaie e suo socio nella Intercontinental Export Company Iec srl, e Domenico Romeo, (…), l’8 maggio 1990 fondano la Lega pugliese, l’11 maggio la Lega marchigiana e solo due giorni dopo, il 13 maggio, fondano la Lega molisana, poi quattro giorni dopo, il 17 maggio, fondano la Lega meridionale o del Sud […] e sempre nello stesso periodo la Lega sarda. La maggior parte di questi movimenti di nuova formazione elegge la propria sede sociale presso lo studio dell’avvocato Menicacci”, avvocato di Delle Chiaie. Anche Menicacci è stato indagato fino al 2002 per associazione sovversiva e poi prosciolto sempre nell’indagine sul progetto di suddivisione dell’Italia a cui miravano le Leghe meridionali.
Sono storie complicate e distanti. Oggi la Procura Nazionale Antimafia è guidata da Giovanni Melillo, un pm che era già alla DNA negli anni in cui Lo Cicero fu ‘riscoperto’ dal viceprocuratore Donadio. Melillo non si occupava di Lo Cicero allora ma di Paolo Bellini, recentemente condannato in primo grado per la strage di Bologna. Insomma ha tutti gli strumenti per capire l’importanza di questa storia scivolosa e tutta da verificare per svolgere oggi quel ruolo di coordinamento che in passato è forse mancato.