Le mafie italiane nel cyberspazio: nuova frontiera o terreno di sperimentazione?
RAPPORTO
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La criminalità sfrutta la rete per reclutare e comunicare. E TikTok è la piattaforma prediletta dalle giovani generazioni di malavitosi
“Le mafie sono una patologia del potere: una classe servente che nel tempo diventa dirigente. Un gruppo reazionario e tutt’altro che rivoluzionario. Le mafie non nascono per difendere i poveri contro i ricchi o i deboli contro i forti. Se oggi noi pensiamo al nuovo capitale sociale delle mafie, che sono sempre più ibride, sempre più in bilico tra realtà analogica e virtuale, e che hanno una virtualità digitale, dobbiamo cominciare a pensare a pirati informatici, dobbiamo cominciare a pensare agli hacker. È impossibile non pensarlo”.
Antonio Nicaso, uno dei più importanti studiosi a livello mondiale dei fenomeni criminali legati alla Mafia non ha dubbi: i Social Media sono già inquinati da account di mafiosi e il cyber crime si deve combattere anche nel mondo digitale e nella sfera dell’Intelligenza Artificiale.
Questo è quanto afferma il Cyber Crime Risk Level Index ovvero l’indice che prevede il rischio di diventare vittima di crimini informatici in base al paese di residenza. Un’emergenza che il professor Nicaso noto esperto di mafie e criminologia, ha evidenziato alla presentazione del rapporto Le mafie nel cyberspace, realizzato dalla Fondazione Magna Grecia. Non bisogna farsi illusioni, ma agire presto. Il prima possibile, anche perché i giovani mafiosi hanno già i loro luoghi virtuali di elezione. Su tutti TikTok “piattaforma prediletta dalle giovani generazioni di mafiosi e di simpatizzanti delle mafie”.
Continua Nicaso: “La tecnologia è un ambiente da abitare, una dimensione della mente. Il mondo virtuale si intreccia continuamente con quello reale e i social media sono in grado di rideterminare la costituzione dell’identità e delle relazioni. Ci hanno detto che TikTok è una piattaforma di contenuti, ma i loro filtri sono aggirati tramite parole scritte con uno spelling errato o espressioni dialettali che non vengono decodificate. Noi ci siamo limitati ad ascoltare, ma è stata manifestata l’intenzione di combattere questo utilizzo spregiudicato della piattaforma. Hanno cominciato a creare filtri più rigidi, sono più vigili rispetto al passato. Il fatto che vogliano approfondire l’argomento vuol dire che hanno capito che c’è un problema”.
Basterà? Difficile dirlo ora, certamente dopo terrorismo, razzismo, disinformazione, bullismo, pornografia ci mancava la mafia a digitare sugli smartphone e tablet messaggi in codice e minacce: “Questo mondo che è in continua evoluzione, ci fa vedere una mafia sempre più ibrida, viene completamente ignorato dai rapporti ufficiali, che continuano a pensare che il cybercrime sia diverso dalla criminalità organizzata e che i due universi non siano in qualche modo in relazione”.
Spiega Nicaso che insiste sulla capacità di adattamento e di aggiornamento delle mafie passate indenni o quasi attraverso 160 anni di storia italiana: dal regime borbonico allo stato liberale, al ventennio fascista, e la prima e alla seconda repubblica. La capacità di adattamento è importante, perché dimostra che le mafie non sono il prodotto della arretratezza, ma piuttosto il frutto della modernità, cioè la capacità di adattarsi alle nuove situazioni, alle nuove esigenze, alle nuove congiunture economiche. E quindi, in un mondo sempre più interconnesso, le mafie sono riuscite, stanno imparando ad adattarsi, sfruttando le potenzialità della tecnologia.
“Tutti i rapporti ufficiali non citano nessun caso di legami tra il mondo della virtualità digitale con la realtà analogica. È quindi come se gli hacker agissero in un mondo tutto loro e i mafiosi da tutt’altra parte. Ecco, noi dobbiamo cominciare a mettere in discussione questo luogo comune. E lo dobbiamo fare attraverso analisi che ci portano a capire quello che per esempio si sta facendo in altre parti del mondo. E cioè per esempio l’idea di gestire i soldi delle attività criminali attraverso nuovi canali di riciclaggio”.
Nicaso insiste sull’evoluzione dei Social anche per quello che riguarda antiche e “tristi” pratiche “Pensate per esempio al pizzo, che è sempre stato un reddito non tanto interessante dal punto di vista finanziario, ma importante dal punto di vista simbolico, simbolo dell’imposizione della mia autorità su un territorio. Oggi in tante altre parti del pianeta quella che un tempo si chiamava protezione oggi si chiama ransomware. E cioè l’idea di poter bloccare i dati di un’azienda e sbloccarli soltanto attraverso il pagamento di una quota che viene pattuita”. Le mafie oggi sfruttano la rete per comunicare e reclutare nuovi membri, persino attraverso i social media. I cartelli messicani, in particolare, sono maestri di questa strategia, utilizzando narrazioni digitali che esaltano potere, ricchezza e appartenenza per creare nuove forme di affiliazione.
Queste dinamiche di gruppo si replicano online e variano a seconda dell’organizzazione di appartenenza. Le mafie non sono un monolite ma tanti clan che, pur condividendo codici e principi generali, differiscono tra loro. Non tutte le organizzazioni criminali sono capaci di gestire traffici internazionali di droga, penetrare nei centri del potere o evolversi tecnologicamente. Alcuni clan continuano a usare vecchie strategie, mentre quelli che si evolvono mantengono sempre una riserva di violenza, utilizzata solo quando strettamente necessario. Hanno capito che muoversi sotto traccia è spesso la strategia più efficace. Le organizzazioni criminali sono radicate in contesti culturali, sociali ed economici specifici e non agiscono tutte allo stesso modo. Questo adattamento al contesto è una delle loro caratteristiche distintive.
“Pensate quello che sta succedendo oggi nel mondo del metaverso – conclude Antonio Nicaso – e cioè la possibilità appunto di incontrarsi rappresentati da avatar che non hanno responsabilità penale. E quindi un altro aspetto che andrà valutato quando dialogano tra loro e vengono rappresentati dagli avatar e possono dimostrare di non essersi mai mossi dalla propria abitazione a chi contestiamo il reato, all’avatar? O a chi lo ha in qualche modo utilizzato per nascondersi? Tutta questa realtà, passa sempre di più attraverso il dark web. Ci sono casi in cui broker di mafie hanno cominciato ad acquistare tonnellate di cocaina senza muoversi dalla propria abitazione. A questo si aggiunge un nuovo modo di riciclare il denaro ed un nuovo modo di produrre reddito. Basti pensare a quello che sta succedendo nel mondo con le cosiddette droghe sintetiche che stanno in qualche modo soppiantando quelle tradizionali o convenzionali. C’è motivo di ritenere che alcune nostre mafie hanno già creato delle criptovalute che sfuggono alla nostra valutazione: sta emergendo sempre più chiaro il nostro ritardo su due punti: la comprensione delle criptovalute, il riuscire a seguire in maniera adeguata un altro strumento che è quello di comunicazione. È vero siamo stati capaci, non noi come Paese Italia, ma noi come mondo che combatte in qualche modo le attività criminali, a scardinare il sistema EncroChat, il sistema Sky, EasySee, da due anni a questa parte stanno comunicando con un altro sistema e questo, però, non siamo riusciti a intercettarlo”.
Non ancora almeno, perché è evidente che questa nuova mafia in versione 2.0 va combattuta con strumenti nuovi. Il procuratore della Repubblica di Napoli Nicola Gratteri, uno dei magistrati più impegnati nella lotta alla ‘ndrangheta, titolare di importanti indagini tra cui quella sulla strage di Duisburg, ex Procuratore della Repubblica di Catanzaro osserva in un’intervista al Corriere della Sera: “Gli anni delle stragi si sono rivelati fondamentali: lo Stato ha reagito e ha spazzato via quasi tutti gli esponenti più importanti del clan dei Corleonesi.
Oggi, le mafie si muovono sempre più sottotraccia, preferendo ricorrere all’intimidazione e alla corruzione piuttosto che alla violenza esplicita. E non è un bene, perché le mafie sono più pericolose quando non sparano. Bisognerebbe svecchiare quella narrazione secondo cui le mafie esistono solo quando spargono sangue”. Come dire: oggi oltre agli spargimenti di sangue, sono le migliaia di post, di messaggi cifrati, di informazioni, di scambi, di pizzini digitali a preoccupare le polizie e le magistrature di tutto il mondo. E non solo quelle. CINEMATOGRAFO Marco Spagnoli 18.11.2024
La lotta alle nuove mafie si combatterà anche nel cyberspazio
Il criminologo Vincenzo Musacchio: «I crimini informatici sono utilizzati dalle mafie per corrompere e inquinare politica, economia e finanza. Occorrono investimenti economici. Ad una mafia 4.0 non possiamo non contrapporre un’antimafia 4.0»Prof. Musacchio l’inchiesta recente sul cd. dossieraggio preoccupa, in realtà, secondo lei, cosa rappresenta questa nuova forma di criminalità?
Nel caso concreto siamo di fronte ad un mastodontico mercato nero di informazioni riservate vendute al miglior offerente. Di questo pericolo ho avvertito in più occasioni, persino in audizione presso il Parlamento europeo a Bruxelles. Siamo di fronte a nuove forme di organizzazioni e a nuovi scenari criminali verso i quali non siamo in grado di poter orientare efficacemente le politiche di prevenzione e di repressione né a livello nazionale tantomeno europeo. Il procacciamento abusivo, la manipolazione, il commercio e l’uso illegale delle informazioni riservate custodite nei sistemi digitali, sono da tempo diventati strumento criminale in uso alle organizzazioni mafiose e terroristiche che le usano per ottenere maggiori favori (non solo economici) nei confronti della politica, del mondo imprenditoriale e finanziario.
Da quanto ha appena affermato, quindi, secondo lei, queste informazioni sarebbero in grado di condizionare politica ed economia?
Ritengo di sì. Come ho detto, esiste un mercato nero delle informazioni riservate dove le stesse sono chieste su commissione o messe in vendita al miglior offerente. Sappiamo benissimo che tra quelli che hanno a disposizione notevoli somme di denaro c’è sicuramente la mafia. Siamo di fronte a nuove forme di corruzione perpetrate spesso senza dazione di denaro. In alcuni casi basta semplicemente la dimostrazione di possesso delle informazioni per ottenere quanto richiesto. Domanda e offerta oltre che nella realtà si incontrano anche nel mondo virtuale. Le mafie hanno sempre usato questi mezzi estorsivi. La differenza con il passato è che oggi quei comportamenti sono amplificati all’ennesima potenza con l’avvento di Internet.
Lei, da esperto della materia, è preoccupato da quanto è già emerso nelle indagini della Procura della Repubblica di Milano?
Onestamente devo dire di sì, sono molto preoccupato. Basta soffermarsi sulla enorme violazione di dati riguardanti la privacy per comprendere che siamo di fronte a comportamenti al limite dell’eversione in grado di mettere in pericolo le istituzioni democratiche del nostro Paese. Ricordo che in precedenza sono stati estrapolati dati sensibili dalla banca dati della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di numerose forze di polizia. Siamo, ovviamente, nella fase delle indagini preliminari e dovremo attendere per conoscere colpevoli e titoli di reato, però, il dato oggettivo riguardante il numero delle violazioni è davvero allarmante.
Professore, sinceramente si aspettava una cosa simile?
Sinceramente sì. La nostra cyber-sicurezza è un colabrodo, fa acqua da tutte le parti. Ritengo occorra al più presto un radicale intervento di messa in sicurezza del nostro patrimonio informatico. Pochi mesi fa un giovanissimo ragazzo ha violato tutte le mail e i sistemi telematici del Ministero della Giustizia. Credo che attualmente nessuna istituzione possa ritenersi al sicuro da questo genere di attacchi da parte di hacker sempre più professionisti e sempre più giovani. Noi al contrario stiamo affidando la nostra cyber-sicurezza a vecchi “bacucchi” invece che ai giovani sempre più preparati e oserei dire meritevoli.
In tutto questo che ruolo giocano le organizzazioni criminali?
Non un ruolo marginale. I cinque hacker più esperti al mondo da tempo non lavorano più per le agenzie di Stato americane e russe ma per i narcos colombiani e messicani. Le nuove mafie oggi hanno al loro servizio gli informatici più esperti al mondo. Il cyberspazio è una delle nuove forme e delle tante metamorfosi delle moderne organizzazioni criminali. Chi crede che attualmente le mafie non sappiano gestire le nuove tecnologie, ivi inclusa l’intelligenza artificiale, o non le conosce o è in malafede. Oggi le mafie realizzano su Internet nel dark e nel deep web la maggior parte delle frodi, il riciclaggio, gli investimenti economico-finanziari guidate da esperti di eccelse capacità.
Ci fa un esempio concreto che lei stesso ha potuto riscontrare nella sua professione?
Ann Milgram, a capo della DEA americana, mi illustrò, carte alla mano, come i narcos messicani trafficanti di metanfetamina e cocaina e operanti tra Stati Uniti, Messico, Europa e Australia avrebbero utilizzato “Binance”, e cioè la più grande piattaforma di scambio di criptovalute, per riciclare decine di milioni di dollari derivanti dalla droga. La cifra si aggirerebbe tra i quindici e i quaranta milioni di dollari. Questo è un esempio inconfutabile di come i trafficanti di stupefacenti messicani guardino sempre più alle criptovalute come mezzo per nascondere online le transazioni commerciali illecite. Il ricorso, a fini di riciclaggio, ad operazioni in criptovalute è in uso anche in Italia alla ‘ndrangheta.
Che significa questo in termini di dinamiche criminali?
Una cosa che dico da tempo immemore: le mafie cambiano e si adeguano velocemente ai tempi che cambiano a differenza dello Stato che è lento e indietro nelle strategie di lotta a questo tipo di dinamiche evolutive. Uso spesso questo slogan con i miei studenti per essere più diretto e semplice al tempo stesso: meno killer, più professionisti.
In tutto questo discorso come si inseriscono le organizzazioni terroristiche?
Con le stesse modalità e con gli stessi mezzi delle organizzazioni mafiose soltanto che ai terroristi interessa molto di più la propaganda, il reclutamento l’addestramento militare e la vocazione stragista, spesso, resi possibili proprio attraverso Internet. Fortunatamente ancora non hanno il potenziale economico e criminale delle mafie moderne altrimenti sarebbero un grandissimo pericolo in termini di tecnologie e professionalità nei vari teatri bellici.
Tutto questo può mettere in pericolo le nostre istituzioni democratiche?
A mio parere sì. E lo dico soprattutto perché ritengo che i nostri sistemi di cyber-sicurezza sono tecnologicamente superati e vulnerabilissimi a qualsiasi tipo di minaccia proveniente dall’interno o dall’esterno.
Professore ma abbiamo i mezzi per far fronte a questi pericoli da lei elencati?
Certo che li abbiamo, ma per introdurli occorrono grandi investimenti in termini economici. Collaborando con colleghi ed esperti statunitensi ho imparato che la sicurezza informatica richiede in primis cooperazione e coordinamento tra molti stakeholder pubblici, privati e internazionali. Per proteggere la sicurezza nazionale non si potrà fare a meno del contrasto efficace delle minacce che provengono dal web in special modo quando si tratta di mafiosi o terroristi. Lo spionaggio, l’invasione della nostra privacy, l’attacco ai pilastri portanti dello Stato di diritto, il furto della nostra proprietà intellettuale, il danneggiamento delle nostre istituzioni politiche, economiche e finanziarie per estorcere denaro o favori sono la nuova frontiera delle moderne organizzazioni criminali. È bene prenderne coscienza. Ad una mafia 4.0 dobbiamo contrapporre almeno un’antimafia 4.0. Per fare questo occorrono grandi investimenti in risorse umane e tecnologiche, moltissima formazione delle forze di polizia e della magistratura e il coordinamento magari con una struttura ad hoc indipendente dalla politica. In questo caso la strada giusta, per quanto difficile e faticosa, ci è indicata soprattutto dagli organismi di cooperazione internazionale dai quali sarà impossibile prescindere.
Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Nella sua carriera è stato allievo di Giuliano Vassalli, amico e collaboratore di Antonino Caponnetto, magistrato italiano conosciuto per aver guidato il Pool antimafia con Falcone e Borsellino nella seconda metà degli anni Ottanta. È tra i più accreditati studiosi delle nuove mafie transnazionali. Esperto di strategie di lotta al crimine organizzato. Autore di numerosi saggi e di unamonografia pubblicata in cinquantaquattro Stati scritta con Franco Roberti dal titolo “La lotta alle nuove mafie combattuta a livello transnazionale”. È considerato il maggior esperto europeo di mafia albanese e i suoi lavori di approfondimento in materia sono stati utilizzati anche da commissioni legislative in ambito europeo. RAI NEWS 6.11.24