18 Dicembre 1982 Castrolibero (CS). Ucciso l’imprenditore Mario Dodaro.
Dicembre 18, 1982
Era il 18 dicembre del 1982. Mario Dodaro, che nel 1968 con tre fratelli aveva costituito una società e aveva costruito il Salumificio di Castrolibero dove vengono prodotti i salumi tipici calabresi, tornava a casa dopo alcuni incontri con colleghi industriali e una capatina nella sede del Cosenza Calcio di cui era appassionato dirigente. Un commando di sicari gli stroncò la vita, proprio mentre il figlio Francesco, di 17 anni, apriva il portone di casa. Mario Dodaro era stato l’artefice del successo dell’azienda, dimostrando un approccio innovativo nella gestione delle macellerie e nell’approvvigionamento della carne. Il successo dell’azienda aveva facilitato anche il successo personale: Mario Dodaro era un personaggio in vista in città ed era uno dei più noti imprenditori della provincia. Ma era anche un uomo che, proprio perché si era fatto da sé, rifiutava i compromessi e soprattutto aveva sbattuto la porta in faccia agli uomini del racket che erano andati a chiedergli duecento milioni di lire come acconto per la sua sicurezza. (Fonte: La Repubblica)
Nota da: digilander.libero.it
Mario Dodaro
Imprenditore, nacque il 19 giugno 1939.
Fin da giovanissimo manifestò forte impegno nel promuovere iniziative industriali.
Insieme ai suoi fratelli, fondò nel 1968 il “Salumificio Dodaro” in contrada Garofalo di Castrolibero. Successivamente vennero aperti vari punti vendita di carne nel Cosentino. Iniziarono ben presto i rapporti commerciali con grandi ditte estere e l’attività assunse sempre più rilievo nel panorama economico della provincia.
Mario Dodaro era stato l’ artefice del successo dell’azienda, dimostrando un approccio innovativo nella gestione delle macellerie e nell’ approvvigionamento della carne. Il successo dell’ azienda aveva facilitato anche il suo successo personale: Mario Dodaro era un personaggio in vista a Castrolibero e a Cosenza ed era uno dei più noti imprenditori della provincia.
Molti Castroliberesi a quel tempo trovarono lavoro presso il suo salumificio.
Dal 1970 al 1975 Mario Dodaro ricoprì la carica di Consigliere Comunale di Castrolibero (eletto nelle liste della Democrazia Cristiana con 654 voti).Mario oltre a possedere doti di grande generosità era anche un uomo di notevole dignità che rifiutava i compromessi e le ingiustizie. La malavita cosentina, a quel tempo molto forte, non perdonò questo aspetto del suo carattere.
Il 18 dicembre 1982 mentre Mario Dodaro tornava a casa – dopo aver avuto alcuni incontri con colleghi industriali ed aver fatto una capatina nella sede del Cosenza Calcio, di cui era appassionato dirigente – un commando di sicari pose fine alla sua vita a colpi di pistola, proprio mentre il figlio Francesco gli stava aprendo il portone di casa.
La scomparsa improvvisa e tragica di Mario Dodaro provocò un duro colpo al Salumificio e all’intera comunità di Castrolibero. E’ solo grazie al coraggio e all’intraprendenza dei figli, in particolare di Francesco e all’apporto dei vecchi dipendenti, se oggi l’attività economica iniziata nel 1968 da Mario vive ancora e si è ulteriormente sviluppata anche in altri settori.
L’Amministrazione Comunale di Castrolibero il 14 giugno 2005 ha dedicato alla memoria di Mario Dodaro una piazza proprio nel centro di Andreotta (ex piazza degli Aquiloni).
CRONACA
14 giugno 2005
Contrada Garofalo – Alla presenza del Padre Santo, del precedente sacerdote di Andreotta, don Gino Luberto, del Sindaco Orlandino Greco, di vari consiglieri comunali, di assessori ed altre autorità di Castrolibero, di rappresentanti dei Carabinieri e della Polizia Urbana e di una nutrita folla di cittadini di Castrolibero, è stata inaugurata con una sobria cerimonia la nuovissima piazza Mario Dodaro in quello che un tempo era chiamato “Largo degli Aquiloni” di contrada Garofalo, (detto così in quanto nel maggio 1977 vi si era tenuta una manifestazione con numerosi aquiloni promossa dalla chiesa di Andreotta).
Mario Dodaro era un illuminato imprenditore di Castrolibero barbaramente ucciso dal racket il 18 dicembre 1982. Alla manifestazione ha partecipato anche la moglie, Signora Lisa e il figlio Francesco che ha ringraziato a nome di tutta la famiglia.
Articolo da LA STAMPA SERA del 20 Dicembre 1982
Presunti killer fermati a Cosenza Hanno ammazzato l’industriale?
Forse volevano «punirlo» per essersi rifiutato di pagare una tangente
Hanno 24 e 36 anni – Si cercano altre tre persone – La vittima colpita da una rivoltellata
COSENZA — Due pregiudicati. Raffaele Mazzuca, di 24 anni, e Antonio Musacco, di 36, sono stati fermati ieri dagli agenti della squadra mobile della questura. Secondo quanto si è appreso, sarebbero «gravemente indiziati» per l’uccisione dell’industriale Mario Dodaro, di 43 anni, compiuta sabato sera in contrada «Andreotta», a pochi chilometri da Cosenza. La polizia avrebbe identificato anche altre tre persone, attualmente irreperibili, e che sarebbero accusate di aver preso parte all’agguato contro l’industriale. Il medico legale ha accertato che Dodaro è stato ucciso da uno dei tre proiettili sparati da una rivoltella di grosso calibro e che lo ha colpito alla gola. Prende sempre più consistenza l’ipotesi dell’estorsione quale matrice del delitto: si pensa che l’intenzione di chi ha ucciso l’industriale fosse soltanto quella di dargli un avvertimento, sparandogli alle gambe. L’ultimo dei tre colpi, esploso mentre Dodaro si accasciava, si è rivelato quello mortale. L’industriale era uscito dal salumificio, gestito assieme ai fratelli, per fare rientro a casa, in un condominio a poche centinaia di metri di distanza. Aveva appena aperto il portone, quando, accortosi forse della presenza di chi gli ha poi sparato, ha invocato aiuto. Dalle finestre si è affacciato qualcuno che ha sentito tre colpi di pistola, e ha poi visto una persona allontanarsi di corsa, a piedi. Soccorso dai familiari e da alcuni vicini di casa. Mario Dodaro è morto prima di giungere al pronto soccorso dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Molto noto in città, era uno dei maggiori azionisti della società sportiva Cosenza ed era anche segretario della sezione della dc di Castrolibero. Spesso frequentava un bar nel quale si fermava, a discutere con i tifosi. Sulla possibile matrice del delitto, i carabinieri non escludono che l’industriale sia stato ucciso per essersi opposto al pagamento della cosiddetta «mazzetta» alla delinquenza cosentina, specializzata nelle estorsioni ad operatori economici o imprenditori.
Articolo da La Repubblica del 30 Novembre 1990
CAPITANI CORAGGIOSI A DICIASSETTE ANNI A CAPO DELL’AZIENDA
di Pantaleone Sergi
Cosenza. Il funzionario dell’ Isveimer, l’istituto per il credito a medio termine nel Mezzogiorno, si mostrò quasi seccato. Aspettava di ricevere un manager con anni di esperienza per trattare una pratica così delicata. E invece si trovò davanti un giovane, giovanissimo imprenditore, che mostrò però di avere idee chiare e forza per affermarle. Il primo impatto nei rapporti esterni all’azienda, racconta Francesco Dodaro, 25 anni ancora da compiere, amministratore del Salumificio Dodaro e delle controllate Eurocarni e Maranese Carni, è stato spesso il più difficile da gestire: ho dovuto sempre dimostrare non solo di avere professionalità e competenza, ma ho dovuto sempre superare una sorta di esame personale. Trattare con direttori di banche, avere a che fare con clienti importanti… Di primo acchito mi trattavano come si può trattare un ragazzino, magari mi chiedevano come mai ero andato io e non un mio fratello più grande che neppure ho, si aspettavano sempre di incontrare almeno un quarantenne. Alla fine ho sempre ricevuto attestati di stima e di simpatia. Calzoni corti E non fu facile neppure affermarsi all’ interno dell’ azienda. In molti lo avevano visto bambino, girare con i calzoni corti. Si è dovuto così imporre una divisa caratteriale: modi spicci, poche parole. E soprattutto ore e ore di lavoro, dall’ alba a notte fonda, proprio in una età in cui si avrebbe voglia solo di uscire la sera per divertirsi. Tutto questo perché la storia di Francesco Dodaro inizia con una tragedia familiare, l’ assassinio del padre ad opera del racket delle tangenti, che lo costrinse a occuparsi degli affari di famiglia quand’ era ancora imberbe. Era il 18 dicembre 1982. Mario Dodaro, che nel 1968 con tre fratelli aveva costituito una società e aveva costruito il Salumificio di Castrolibero dove vengono prodotti i salumi tipici calabresi, tornava a casa dopo alcuni incontri con colleghi industriali e una capatina nella sede del Cosenza Calcio di cui era appassionato dirigente. Una commando di sicari gli stroncò la vita, proprio mentre Francesco apriva il portone di casa. Mario Dodaro era stato l’ artefice del successo dell’ azienda, dimostrando un approccio innovativo nella gestione delle macellerie e nell’ approvvigionamento della carne. Il successo dell’ azienda aveva facilitato anche il successo personale: Mario Dodaro era un personaggio in vista in città ed era uno dei più noti imprenditori della provincia. Ma era anche un uomo che, proprio perché si era fatto da sé, rifiutava i compromessi e soprattutto aveva sbattuto la porta in faccia agli uomini del racket che erano andati a chiedergli duecento milioni di lire come acconto per la sua sicurezza. Fu un trauma per la famiglia e per l’ azienda. Mi ha lasciato una eredità morale, dice oggi Francesco Dodaro parlando del padre, che mi dà la forza per andare avanti. Lavoro e dimentico che cose del genere possano capitare. La scomparsa improvvisa e tragica di Mario Dodaro provocò un duro colpo al salumificio. Fu una crisi dai due volti: interna perché venne a mancare la direzione dall’ azienda; esterna per la riluttanza dei clienti a saldare i loro debiti. Problemi enormi per il giovanissimo Francesco che aveva appena compiuto i 17 anni e frequentava il quarto anno al liceo scientifico. Francesco Dodaro però si rimboccò le maniche e diede una accelerata alla propria vita. Si ritirò dalla scuola ma nel luglio successivo conseguì la maturità da privatista. Si iscrisse all’ Università della Calabria, facoltà di Scienze Economiche e Sociali (gli mancano tre esami per conseguire la laurea) e ottenne di poter frequentare a Modena un corso di nove mesi per quadri intermedi amministrativi in modo da avere gli strumenti per affiancare in azienda l’ amministratore. Un master di due mesi presso la Ciam, una cooperativa di secondo livello che si occupa proprio di salumi ed insaccati, gli fornì le prime competenze specifiche. Riuscire a sostituire mio padre era difficile, afferma Francesco Dodaro, e fu importante l’ appoggio dei vecchi dipendenti per non far crollare l’ azienda. Allora e in occasione di un altro grosso momento di crisi, nel 1987. Francesco Dodaro diventa così amministratore delle società del piccolo gruppo. Capisce però che c’ è bisogno di un riassetto per mettersi al riparo da altre crisi. Entra nel mercato del catering, investendo nel settore del raffreddamento; all’ interno viene avviato un progetto di qualità totale che coinvolge tutti i dipendenti. Sono iniziative che rafforzano il Salumificio Dodaro nella sua posizione di leader nel settore in tutta la Calabria mentre si comincia piano piano a guardare a mercati contigui. C’ è una forte crescita dell’ azienda. I dipendenti del Salumificio diventano 53 (erano 14 nel 1982) a cui si aggiungono i 15 della Eurocarni (la Maranese Carni diventa la finanziaria di famiglia). Anche il fatturato cresce: 14 miliardi alla fine del 1989 contro i 4 per il salumificio e i 3,5 per la Eurocarni del 1982. Ma la struttura non era in grado di gestire la crescita. Ecco così l’ accordo con la Sda Bocconi di Milano che manda in Calabria un gruppo di esperti per una diagnosi del sistema aziendale. Vengono individuati i punti di forza (prodotti tipici, know-how nel produrre salumi e salsicce, sinergie tra l’ area catering e l’ area carni), e proposte le soluzioni per quelli deboli in un’ ottica di sviluppo a medio termine. Con il 1990 la Dodaro cambierà. All’ amministratore unico si affiancheranno dei responabili per ogni area strategica (salumi, carni, catering) e dei responsabili a cui saranno affidati settori delicati come il controllo di gestione. Abbiamo pensato a una industria moderna in grado di competere in un mercato più vasto, afferma Francesco Dodaro, anche se ci troviamo in Calabria e dobbiamo quotidianamente fare i conti con mille problemi. E Francesco Dodaro si prepara a dare battaglia: Qui abbiamo problemi che altre aree del paese non hanno, problemi di mercato del lavoro perché altrove è possibile scegliere tra persone di diversa esperienza in ogni settore, problemi di sbocchi per il prodotto, problemi di mercati finanziari che si dimostrano poco sensibili alle iniziative private (le banche non valutano il progetto ma la solidità patrimoniale, la stessa Isveimer ha voluto una ipoteca sul fabbricato). E poi ci sono gli enti locali che non hanno alcuna attenzione per l’ impresa. In essi vige la cultura del favore, per cui dobbiamo chiedere per cortesia anche una semplice autorizzazione sanitaria. La linea silana Altri problemi? Francesco Dodaro sorride, dribbla la domanda, parla dei salumi della linea silana, come si facevano un tempo sulla grande montagna calabrese, e del prosciutto dolce che ha più mercato di quello calabrese salato, spiega gli accordi con le aziende di Modena dove manda a stagionare i prosciutti calabresi quando le celle del suo stabilimento non riescono a contenerli più. Di clan, di racket, di ‘ ndrangheta preferisce non parlare. Il prezzo così alto che la sua famiglia ha pagato però non gli ha fatto gettare la spugna.
Articolo del 25 Gennaio 2013 da gazzettadelsud.it
Omicidio Dodaro, atti trasmessi a Cosenza
L’uccisione dell’imprenditore avvenuta il 18 dicembre del 1982 non celerebbe secondo la Dda di Catanzaro profili di tipo mafioso. Lo scetticismo della procura ordinaria. Uno dei presunti killer è morto suicida nel carcere di Rebibbia.
La Dda di Catanzaro ha trasmesso alla procura ordinaria il fascicolo riguardante l’assassinio dell’imprenditore Mario Dodaro. Per i togati il delitto non sarebbe infatti maturato in un contesto mafioso. Una tesi, quest’ultima, accolta con scetticismo a Cosenza. La vittima, 43 anni, segretario sezionale della Democrazia cristiana a Castrolibero, cadde fulminato dai proiettili esplosi da un revolver di grosso calibro, la sera del 18 dicembre 1982. Stava rientrando a casa, in via Puccini, a Catrolibero. Sceso dall’auto si ritrovò di fronte due uomini armati di calibro 38. Erano rapinatori che l’aggredirono per impossessarsi del denaro che l’imprenditore aveva con sé. I banditi – che agivano con la “benedizione” d’un capo ’ndrina – erano convinti che Dodaro custodisse i soldi incassati in giornata dalla sua azienda (un salumificio) che gestiva insieme con il fratello L’industriale reagì all’assalto dei banditi, che spararono. Ma non per ucciderlo. Mirarono alle gambe, ma una delle pallottole calibro 38, per un tragico scherzo del destino, lo colpì in parti vitali. A contribuire a far luce sul crimine sono stati i pentiti Roberto Pagano, Franco Pino, Giuseppe Vitelli e Dario Notargiacomo.
Articolo del 7 Maggio 2013 da gazzettadelsud.it
Omicidio Dodaro, i nomi degli esecutori
di Arcangelo Badolati
Rivelati dai collaboratori di giustizia. L’imprenditore venne assassinato a colpi di pistola sotto casa nel dicembre del 1982 da due rapinatori. L’inchiesta riaperta dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Si cercano i mandanti.
Un delitto impunito. E due fantasmi. Mario Dodaro, imprenditore, dirigente sportivo, esponente della Democrazia cristiana, venne assassinato da due rapinatori la sera del 13 dicembre 1982. Tornava a casa dopo una dura giornata di lavoro. Volevano punirlo perché non s’era piegato al racket, sottraendogli l’incasso dell’azienda che portava in un borsello. Tentò di resistere ai malviventi che l’uccisero. La moglie ed i figli attendono da 31 anni giustizia. Dopo l’omicidio, infatti, sei esponenti della criminalità organizzata bruzia vennero condannati per tentata estorsione ma non per il crimine. I giudici stabilirono che la morte dell’imprenditore non era riconducibile a loro responsabilità. Mancavano prove, testimoni e movente. I nomi dei killer rimasero sconosciuti per più di un decennio, fino a quando “pezzi da novanta” della ‘ndrangheta cosentina non decisero di collaborare con la giustizia. I pentiti – per primo vuotò il sacco Roberto Pagano – indicarono il contesto e la dinamica dell’agguato mascherato da rapina. E le indagini ripartiirono faticosamente ma senza giungere a risultati concreti. Nei mesi scorsi la svolta. Il procuratore capo della Dda di Catanzaro, Antonio Vincenzo Lombardo e l’aggiunto Giuseppe Borrelli, hanno riaperto il caso dopo che la magistratura inquirente di Cosenza s’è spogliata del fascicolo ritenendo gli accadimenti giustamente collegati ad uno scenario mafioso. E la nuova inchiesta è finita nelle mani del pm distrettuale Pierpaolo Bruni. Un togato che la ‘ndrangheta la conosce bene e la combatte da sempre. Il lavoro investigativo deve fare i conti con il tempo trascorso e l’inevitabile mutamento complessivo del contesto anche se dalle “carte” finite nei fascicoli di altri processi e dalle deposizioni rese pubblicamente dallo stesso Pagano in aula è possibile conoscere i nomi dei presunti autori materiali della rapina mortale. I collaboratori di giustizia indicano quasi univocamente in Alfredo Andretti, assassinato in un bar di Cosenza il 5 luglio del 1985, e Riccardo Greco, detto “Cesarino”, morto suicida nel carcere di Rebibbia il 10 agosto del 2010, gli esecutori dell’agguato. Si tratta, ovviamente, di circostanze da verificare anche se offrono una prima chiave di lettura. L’inchiesta della Dda starebbe puntando, partendo proprio dall’ipotizzato coinvolgimento di Greco e Andretti, a dare un volto agli ideatori e mandanti del “colpo” finito in tragedia. Conoscere intanto, dopo 31 anni, almeno due nomi sembra incredibile ma è un passo in avanti.
Articolo del 18 Dicembre 2013 da ilquotidianodellacalabria.it
Dopo 31 anni la morte di Mario Dodaro resta insoluta
Indagine archiviata su richiesta della Dda
di Roberto Grandinetti
Il gip ha deciso di accogliere la richiesta di archiviazione dello omicidio di Mario Dodaro formulata dalla Dda di Catanzaro. Dopo 31 anni la morte dell’imprenditore resta senza soluzione, al termine di 7 mesi di indagine il pm Pierpaolo Bruni non ha trovato i riscontri necessari ad individuare gli autori del crimine
COSENZA – L’omicidio dell’imprenditore Mario Dodaro va inserito in un contesto mafioso. Non ci sono però gli elementi per dimostrare l’accusa nei confronti della nuova persona ritenuta responsabile del delitto, risalente al 18 dicembre del 1982. Da qui l’archiviazione, che arriva proprio a ridosso del trentunesimo anniversario della tragica morte. Il decreto di archiviazione è stato firmato dal gip Pietro Scuteri, del tribunale di Catanzaro, su richiesta dello stesso pm della Dda Pierpaolo Bruni.
Alla decisione di Catanzaro si è giunti dopo sette mesi di indagini, che Bruni aveva affidato alla Squadra Mobile di Cosenza anche a seguito delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Roberto Pagano.
Le investigazioni si sono concentrate su un cosentino di 51 anni, con precedenti per droga, che Pagano aveva chiamato in causa insieme a un’altra persona, un noto pregiudicato da qualche anno morto in carcere. In precedenza la stessa Dda aveva inviato gli atti a Cosenza ipotizzando l’omicidio successivo a un tentativo di rapina. Cosenza, nelle persone del procuratore capo Dario Granieri e del pm Donato Donato, li rispedì però al mittente, in quanto a loro detta l’episodio sarebbe invece maturato in un contesto mafioso.
I clan, cioè, organizzarono quella rapina perchè Dodaro si era fermamente opposto a una precedente richiesta di denaro. E su questa ipotesi Bruni ha riaperto il fascicolo, inserendo appunto le dichiarazioni di Roberto Pagano. Ci sono quelle rilasciate l’11 dicembre del 2008, presso la Corte di Assise di Cosenza, nel corso del processo “Missing”. Soffermandosi sull’omicidio di Alfredo Andretti, avvenuto negli anni Ottanta, disse che fu elimininato perchè in autonomia, e senza il consenso dei boss, si rese responsabile della tragica rapina a Dodaro, alla quale avrebbero partecipato il noto pregiudicato (poi morto in galera per suicidio) e il cosentino, la cui posizione è stata archiviata in questi giorni. Un anno dopo lo stesso Pagano ha aggiunto che la rapina era stata commessa su incarico del cosentino Antonio Musacco «per punirlo di essersi rifiutato di aderire a una richiesta estorsiva celata dietro la vendita di cestini natalizi».
Ebbene, Musacco per questa vicenda è stato già giudicato e assolto insieme ad altre tre persone. Restava il cosentino: «Allo stato, in assenza di riscontri estrinseci e individualizzanti, scaturisce – ha però scritto il pm Bruni nella sua recente richiesta di archiviazione – una situazione di incertezza in ordine alla sua responsabilità». Ucciso per essersi opposto al pizzo. Trentuno anni dopo a responsabilità degli esecutori è ancora incerta.
Articolo del 19 dicembre 2013 da ilquotidianoweb.it
Omicidio Dodaro, l’imprenditore ucciso davanti casa
Prima della morte subì una richiesta estorsiva
di Roberto Grandinetti
COSENZA – L’imprenditore Mario Dodaro fu ucciso la sera del 18 dicembre del 1982, trentuno anni esatti fa. Aveva 43 anni. Rientrava dal suo salumificio e fu affrontato davanti casa, a Castrolibero, da alcune persone, una delle quali armata di pistola. Dodaro aveva un borsello con l’incasso della giornata. Pare reagì. Chi era armato sparò. Dodaro, preso al collo, giunse cadavere all’ospedale di Cosenza intorno alle 20.45, dove era stato portato da alcuni parenti. Il borsello rimase per terra. Nessuno lo prese. Le indagini furono affidate alla Squadra Mobile di Cosenza, all’epoca diretta da Nicola Calipari.
Si iniziò a parlare di un delitto successivo a una richiesta di estorsione da parte dei clan cosentini, alla quale Dodaro si oppose. Uno zio della vittima disse agli investigatori che pochi giorni prima Dodaro gli aveva confidato di essere stato fatto oggetto di richieste estorsive da noti esponenti della criminalità organizzata cosentina. Cosa confermata da un dipendente dell’imprenditore, il quale riferì che a più riprese alcune persone si erano recate al salumificio per incontrare la vittima.
Le indagini dell’epoca portarono all’incriminazione di queste persone, ossia Antonio Musacco, Raffaele Mazzuca, Mario Pranno e Giulio Castiglia. Alla fine sia in primo che in secondo grado furono assolti dall’accusa di omicidio volontario aggravato. Furono invece condannati per tentata estorsione. L’omicidio rimase quindi insoluto. Ne iniziarono a parlare negli anni 90 i pentiti, tra cui Umile Arturi, Aldo Acri, Dario Notargiacomo, Angelo Santolla, Ferdinando Vitelli, Francesco Saverio Vitelli, Giuseppe Vitelli, oltre che il già citato Roberto Pagano.
Questi ultimi «hanno sostanzialmente fornito – ha scritto il pm Bruni nella sua richiesta di archiviazione – una univoca versione dei fatti, indicando quali autori materiali i defunti Alfredo Andretti e Greco Riccardo, detto Cesarino, e quale mandante Antonio Musacco».
A detta dei pentiti intento iniziale di Musacco sarebbe stato non quello di uccidere Dodaro ma di rapinarlo per punire la sua reticenza ad aderire alla richiesta estorsiva». Ebbene, Bruni ha ricordato che Musacco è stato a suo tempo assolto per insufficienza di prove. Quindi la dichiarazione di Pagano, che ha fatto anche il nome del cinquantunenne di Cosenza. Un nome che finora non era mai stato fatto e che ha indotto Bruni a fare luce sul suo reale coinvolgimento nel delitto di Mario Dodaro. Le indagini, come abbiamo visto, sono state affidate alla Squadra Mobile di Cosenza, che su questo nuovo nome ha lavorato dallo scorso 20 maggio fino al 18 settembre. La conclusione è che, forse sì, abbiamo a che fare con un delitto di mafia. Ma «in dibattimento – ha scritto il pm Bruni nella sua richiesta di archiviazione – non possono arrivare procedimenti fondati su elementi di prova insufficienti».
Alla richiesta di Bruni è seguita la decisione del Gip Scuteri che ha emesso il decreto di archiviazione, favorevole all’indiziato condividendo così le argomentazioni del pm. «Allo stato – ha scritto – non si rinvengono i necessari riscontri intrinseci individualizzanti alla chiamatà in reità del collaboratore di giustizia (Roberto Pagano, ndr)». Per il gip, dunque, «non emergono sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio».
Fonte: quotidianodelsud.it
Articolo del 20 giugno 2019
A ottant’anni dalla sua nascita la “memoria viva” dell’imprenditore Mario Dodaro raccontata dai suoi cari
di Maria Francesca Fortunato
Una vita spesa per gli altri
CASTROLIBERO – 18 dicembre 1982. È la prima data che viene in mente ai più quando si parla di Mario Dodaro. È il giorno in cui l’imprenditore viene colpito a morte davanti al portone di casa, in via Puccini a Castrolibero. Poco tempo prima era stato avvicinato da esponenti della criminalità organizzata che gli avevano chiesto il pizzo e lui aveva opposto un deciso no.
Ma è un’altra data che la famiglia e la Fondazione che porta il suo nome ha deciso di ricordare: il 19 giugno 1939, il giorno della sua nascita. Ieri Mario Dodaro avrebbe compiuto 80 anni. E per celebrare questa ricorrenza i suoi cari hanno scelto di rinunciare al riserbo con cui negli anni hanno custodito i loro più intimi ricordi. Nel Media Center del Quotidiano del Sud hanno riunito familiari e amici per condividerli, attraverso le storie di chi ha percorso con lui un tratto di vita.
E vita è la parola che risuona più forte in sala e più spesso. Più spesso anche di morte. Perché quella di Mario Dodaro – come dicono Sandro Russo e Paola Bottero, introducendo l’incontro – «è memoria viva, memoria che parla anche a chi non lo ha conosciuto».
Un documentario curato da Luciana De Luca, con immagini e montaggio di Francesco Didona, mette insieme storie e memorie per restituire alla sala un ritratto sfaccettato, e per alcuni versi anche inedito, dell’imprenditore. Un racconto a più voci che inizia quando Mario ha 7 anni e va a lavorare con lo zio Cicciotto, macellaio a Cosenza vecchia. Lì impara il mestiere e dieci anni più tardi è pronto ad aprire una sua macelleria. Va in banca a chiedere un prestito, a soli 17 anni, e lo ottiene, grazie a un amico che garantisce per lui. Le macellerie diventeranno poi tre nel giro di pochi anni e Mario scrive al fratello Peppino, emigrato in Canada, per convincerlo a tornare.
In Calabria, a Cosenza, potrà dare una mano a lui e agli altri fratelli. Il lavoro c’è e i guadagni sono buoni: «L’America è qua» scrive Mario Dodaro al fratello. Non ha neanche trent’anni quando, il 29 ottobre del 1968, inaugura a Castrolibero il suo salumificio e qualche tempo dopo acquista un prosciuttificio a Parma. È un imprenditore visionario, un datore di lavoro amato dai suoi dipendenti, un lavoratore – lui per primo – instancabile. Ma non c’è solo il lavoro – che pure ama – nella sua vita. A 17 anni ha conosciuto la donna che poi avrebbe sposato, Lisa Canonaco, due anni più piccola di lui e studentessa, a quei tempi, della Magistrale. La corteggia senza sosta, l’aspetta all’uscita da scuola, la conquista con i suoi occhi sinceri e il suo modo di fare. Da lei ha tre figli: Francesco, Antonella e Maria Gabriella.
Francesco ha 17 anni quando perde il padre. Deve crescere in fretta per prenderne il posto in famiglia e in azienda. «Ho conosciuto papà ancor di più dopo la sua morte, dai tanti racconti degli amici e dei collaboratori. Era una persona straordinaria al di là di ogni immaginazione. Un uomo felice della vita e pronto a offrire sostegno morale e materiale a quanti gli erano accanto. Ci ha lasciato tanti segni, che hanno tracciato il nostro futuro» racconta nel documentario a Luciana De Luca.
“Affamato di vita e di felicità” lo descrive anche la figlia Antonella. «Dava un tono gioioso a tutto quello che faceva. E mi ha trasmesso la consapevolezza che nella vita avrei potuto raggiungere qualunque obiettivo». Maria Gabriella, la più piccola della famiglia, il padre non lo ha conosciuto. Sa, però, che la notizia del suo arrivo – poche settimane prima del delitto – lo aveva reso pazzo di gioia. E sa anche che la immaginava del tutto uguale a lui. «In questi anni ho cercato di andare avanti con i suoi stessi valori – racconta – La sua eredità morale è forte e presente intorno a me, è memoria viva e palpitante, capace ancora di insegnare tanto».
Imprenditore illuminato, marito attento e premuroso, padre amorevole e presente. Ma anche uomo di straordinaria generosità. Sono tante, in questo senso, le testimonianze raccolte da De Luca nel documentario. C’è quella di Raffaele Aiello, dipendente di un’azienda agricola da cui Dodaro si riforniva. Un giorno lo incontra lì nel campo e gli dice: «Vedi se il padrone ti vende la terra, ti aiuto io. Devi prendertela tu e metterti in proprio».
Giuseppina Scola, la sua segretaria, lo racconta come un uomo «semplice ma speciale». Ricorda il primo colloquio, al salumificio: «Si era reso subito conto che non avevo esperienza. Ma il fatto che fossi andata lì chiedendo a mia mamma di accompagnarmi, in qualche modo lo colpì. E decise di darmi un’opportunità».
Davide Sorrentino si occupava di una delle sue macellerie: «Partii per il militare. Al ritorno mi disse “ora è il momento che acquisti la tua macelleria”. Non mi sentivo pronto, pensavo di non essere capace… Alla fine mi convinse e comprai quella di piazza Zumbini».
«Definirlo generoso non basta – commenta Luciana De Luca, al termine della proiezione – Lui era pronto a cambiare la tua vita, ad emanciparti dalla tua condizione di bisogno. Come se fosse sempre mosso dalla voglia di restituire agli altri quello che aveva avuto dalla vita».
Ed è anche per questo che nel dicembre del 1982 aveva ricevuto dal Quirinale l’onorificenza di Cavaliere della Repubblica. Non è riuscito purtroppo a gioirne: era il 27 dicembre, poco più di una settimana dopo quella tragica e piovosa sera in via Puccini. VITTIME DI MAFIA