In commissione Antimafia, questa volta in seduta pubblica e non segreta come nel 1997, ha testimoniato il braccio destro del giudice Paolo Borsellino, il tenente colonnello Carmelo Canale. Dall’importante audizione sono emersi due fatti inediti e alcune conferme fondamentali: da un lato, l’interesse per il dossier mafia- appalti, redatto dagli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno su indicazione di Giovanni Falcone; dall’altro, la sfiducia che il magistrato, poi brutalmente ucciso nell’attentato di Via D’Amelio, nutriva non solo nei confronti dell’allora procuratore capo Pietro Giammanco, ma anche verso alcuni sostituti procuratori. Canale ha rivelato che Borsellino si riferiva agli ex magistrati Guido Lo Forte e Pignatone chiamandoli ‘Il Gatto e la Volpe’.
Carmelo Canale, oggi 77enne, ha risposto con grande passione a tutte le domande poste dalla presidente Chiara Colosimo e dai vari componenti della Commissione.
Un fiume in piena, che ha permesso di apprendere altri fatti finora inediti. Il primo riguarda un episodio a cui il tenente colonnello ha assistito personalmente. Siamo al 6 luglio 1992. Nella sala Vip dell’aeroporto di Palermo, entra per avvertire Borsellino che bisognava partire con l’aereo e assiste a una discussione animatissima tra il magistrato e Salvatore Celesti, all’epoca capo della procura di Caltanissetta. «Quando io entrai, rimasi colpito dal fatto che Borsellino gridasse. Non era facile che perdesse la pazienza così!», ha sottolineato Canale davanti ai commissari.
Un fiume in piena, che ha permesso di apprendere altri fatti finora inediti. Il primo riguarda un episodio a cui il tenente colonnello ha assistito personalmente. Siamo al 6 luglio 1992. Nella sala Vip dell’aeroporto di Palermo, entra per avvertire Borsellino che bisognava partire con l’aereo e assiste a una discussione animatissima tra il magistrato e Salvatore Celesti, all’epoca capo della procura di Caltanissetta. «Quando io entrai, rimasi colpito dal fatto che Borsellino gridasse. Non era facile che perdesse la pazienza così!», ha sottolineato Canale davanti ai commissari.
Canale ha parlato di un altro fatto inedito, che desta sconcerto e, allo stesso tempo, trova un importante punto di incontro con il depistaggio, smascherato dalla procura nissena guidata da Sergio Lari, delle indagini sulla strage di Via D’Amelio. Ha ricostruito in dettaglio gli ultimi frenetici giorni vissuti accanto al giudice Borsellino. Un periodo intenso, iniziato con una missione in Germania, dove i due si recarono con un imponente dispositivo di sicurezza per interrogare il pentito Gioacchino Schembri, in merito all’omicidio del maresciallo Guazzelli e ai possibili collegamenti con gli assassini dei giudici Livatino e Saetta. Non si trattava di indagini di poco conto: parliamo di due magistrati trucidati dalla mafia. Canale conferma quanto Borsellino fosse legato al “giudice ragazzino”.
Il racconto di Canale si fa ancora più dettagliato nel descrivere il ritorno a Roma. Una sola auto li attendeva all’aeroporto di Fiumicino, un dettaglio apparentemente insignificante ma che assume un significato particolare rispetto alla gestione della sicurezza, che sembrava essere un optional nonostante i tragici fatti di Capaci. Dopo essersi sistemati all’Hotel Visconti, iniziarono a interrogare Leonardo Messina, un pentito fondamentale per le indagini di Borsellino.
L’interrogatorio si svolse presso lo Sco (Servizio Centrale Operativo), alla presenza, seppur non ufficialmente, dello stesso maresciallo Canale.
L’interrogatorio proseguì il giorno successivo, ma accadde un fatto singolare: fu interrotto perché l’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi, volle incontrare Borsellino. E durante quell’incontro emerse con forza tutto il malcontento del giudice. Il magistrato, secondo il racconto di Canale, era visibilmente contrariato per il sostegno che Parisi garantiva a Giammanco.
L’interrogatorio proseguì il giorno successivo, ma accadde un fatto singolare: fu interrotto perché l’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi, volle incontrare Borsellino. E durante quell’incontro emerse con forza tutto il malcontento del giudice. Il magistrato, secondo il racconto di Canale, era visibilmente contrariato per il sostegno che Parisi garantiva a Giammanco.
Non solo: grazie all’audizione di Canale, apprendiamo che uno dei nodi cruciali di quel periodo era il contrasto con il procuratore Giammanco, che insisteva per un maggiore coinvolgimento della Polizia nelle indagini, penalizzando i Carabinieri.
La questione si risolse con un compromesso che prevedeva la collaborazione tra le diverse forze dell’ordine. Un compromesso che Borsellino avrebbe mal digerito.
La questione si risolse con un compromesso che prevedeva la collaborazione tra le diverse forze dell’ordine. Un compromesso che Borsellino avrebbe mal digerito.
A questi due fatti inediti si aggiunge un’indagine chiave svolta nel 1991. Canale ha ripercorso le indagini sugli appalti che ha condotto insieme a Borsellino quando operavano a Marsala.
Parliamo di grossi appalti: si parlava di 120 miliardi nella sola Pantelleria. L’iniziativa di questa indagine partì proprio da Canale, che in commissione ha riferito di aver appreso da un confidente che dietro la spartizione degli appalti c’era “gente che viene da fuori”.
Parliamo di Rosario Cascio e Angelo Siino. In particolare, gli affari erano gestiti in combutta con Antonino Spezia, imprenditore a capo di una società consociata con i soggetti in questione.
Canale spiega che aveva individuato anche la partecipazione dell’imprenditore Filippo Salamone. Un’indagine che sfociò in ordinanze di custodia cautelare che coinvolsero decine di persone, tra cui imprenditori, il sindaco e alcuni amministratori.
Parliamo di grossi appalti: si parlava di 120 miliardi nella sola Pantelleria. L’iniziativa di questa indagine partì proprio da Canale, che in commissione ha riferito di aver appreso da un confidente che dietro la spartizione degli appalti c’era “gente che viene da fuori”.
Parliamo di Rosario Cascio e Angelo Siino. In particolare, gli affari erano gestiti in combutta con Antonino Spezia, imprenditore a capo di una società consociata con i soggetti in questione.
Canale spiega che aveva individuato anche la partecipazione dell’imprenditore Filippo Salamone. Un’indagine che sfociò in ordinanze di custodia cautelare che coinvolsero decine di persone, tra cui imprenditori, il sindaco e alcuni amministratori.
Canale racconta che il 19 giugno 1991 si recò a Palermo, dove il colonnello Colavito gli disse che sui lavori di Pantelleria stavano operando anche i Ros, che stavano facendo un ottimo lavoro sugli appalti. Lo riferì a Borsellino. Dopo varie vicissitudini, l’allora capitano De Donno e il capitano Del Sole andarono da Borsellino e gli portarono l’intero dossier.
È documentato che, attraverso l’allora giovane sostituto Antonio Ingroia, Borsellino inviò il filone d’indagine di Pantelleria alla procura di Palermo per farlo confluire nel dossier principale.
È documentato che, attraverso l’allora giovane sostituto Antonio Ingroia, Borsellino inviò il filone d’indagine di Pantelleria alla procura di Palermo per farlo confluire nel dossier principale.
Un aspetto inedito, ovviamente da verificare documentalmente, è che – secondo quanto raccontato da Canale in commissione Antimafia – Borsellino avrebbe spedito anche un verbale che però la procura palermitana avrebbe respinto e rimandato al mittente.
Una certezza, però, ce l’abbiamo: quando il 14 agosto 1992 il dossier mafia- appalti fu archiviato, tra le posizioni archiviate compariva proprio quella di Antonino Spezia di Pantelleria, una posizione mai più ripresa. Così come sappiamo che di quella posizione inizialmente si occupò l’ex pm Gioacchino Natoli. Lo disse lui stesso in Antimafia. Inoltre, grazie ai verbali del Csm, risalenti a pochi giorni dopo la strage, sappiamo che Borsellino fece richieste specifiche proprio sulle carte di Pantelleria nell’ambito del dossier mafia- appalti. Parliamo della riunione del 14 luglio 1992.
Una certezza, però, ce l’abbiamo: quando il 14 agosto 1992 il dossier mafia- appalti fu archiviato, tra le posizioni archiviate compariva proprio quella di Antonino Spezia di Pantelleria, una posizione mai più ripresa. Così come sappiamo che di quella posizione inizialmente si occupò l’ex pm Gioacchino Natoli. Lo disse lui stesso in Antimafia. Inoltre, grazie ai verbali del Csm, risalenti a pochi giorni dopo la strage, sappiamo che Borsellino fece richieste specifiche proprio sulle carte di Pantelleria nell’ambito del dossier mafia- appalti. Parliamo della riunione del 14 luglio 1992.
Altro punto fondamentale: grazie alla domanda posta dal senatore Roberto Scarpinato, abbiamo maggiore chiarezza sul famoso incontro nella caserma Carini che Borsellino ebbe con gli ex Ros Mori e De Donno.
Fu Canale stesso a organizzarlo, in maniera riservatissima, come richiesto dal giudice. Non era vero che Borsellino non volesse incontrare De Donno perché lo riteneva l’autore del Corvo 2.
Fu Canale stesso a organizzarlo, in maniera riservatissima, come richiesto dal giudice. Non era vero che Borsellino non volesse incontrare De Donno perché lo riteneva l’autore del Corvo 2.
Al contrario: non accettava il fango che alcuni magistrati della procura di Palermo gettavano su De Donno, diffondendo la voce che fosse stato lui l’autore dell’esposto anonimo.
Come sappiamo, Canale fu ancora più preciso il 24 marzo 1998, quando, innanzi al tribunale, dichiarò che l’incontro non era legato al Corvo, ma alla lettera anonima inviata a Catania per sollecitare il procuratore Felice Lima ad ascoltare il geometra Giuseppe Li Pera sulla questione mafia- appalti. Questa lettera era stata trasmessa anche alla procura di Palermo e qualche magistrato palermitano aveva messo in giro la calunniosa voce che l’autore fosse De Donno.
Come sappiamo, Canale fu ancora più preciso il 24 marzo 1998, quando, innanzi al tribunale, dichiarò che l’incontro non era legato al Corvo, ma alla lettera anonima inviata a Catania per sollecitare il procuratore Felice Lima ad ascoltare il geometra Giuseppe Li Pera sulla questione mafia- appalti. Questa lettera era stata trasmessa anche alla procura di Palermo e qualche magistrato palermitano aveva messo in giro la calunniosa voce che l’autore fosse De Donno.
Ora, grazie a questa importante testimonianza, finalmente libera da insinuazioni e congetture, di un uomo che ha servito lo Stato e che è stato ingiustamente processato per 14 anni, abbiamo dei punti fermi: Borsellino non si fidava di diversi magistrati, tanto da non lasciare più la sua agenda rossa in bella vista in ufficio (a Marsala, invece, lo faceva), conduceva indagini cruciali nella sua zona di competenza e non ha mai perso di vista il dossier mafia- appalti. IL DUBBIO 30.1.2024