VIA D’AMELIO: crolla la pista nera

 
 
«Rivelazione shock sulla strage», così il programma di Rai3 Report aveva lanciato la sua bomba giornalistica ricacciando fuori la pista nera, conferendo credibilità a una delle tante dichiarazioni del neofascista Alberto Volo, morto nel 2020. L’inchiesta dava per certo non solo che Paolo Borsellino, nel giugno 1992, lo avesse ascoltato in gran segreto mentre illustrava la fase esecutiva della strage di Capaci, ma addirittura che il magistrato si fosse confidato con lui. Sì, proprio quell’uomo che era stato definito un “mitomane” dallo stesso Giovanni Falcone.
Report era arrivata a sostenere, come dato acquisito, che Borsellino fosse convinto della non autonomia della mafia nella strage. Un’affermazione che stride non solo con le parole dello stesso magistrato, come dimostra l’intervista rilasciata al compianto Beppe D’Avanzo, ma soprattutto con le recenti conclusioni del gip nisseno Santi Bologna. Nel recente provvedimento di archiviazione della pista nera, scrive nero su bianco che le dichiarazioni di Volo non solo sono completamente prive di riscontro, ma prenderle per vere equivarrebbe a un insulto alla serietà di Borsellino.
I servizi di Report su Capaci e Via D’Amelio sono indubbiamente ben costruiti: montaggi curati, ricostruzioni avvincenti, colonne sonore incalzanti. Nessun dubbio sulla forma, perfetta per una serie tv cospirazionista su Netflix. Ma il giornalismo d’inchiesta non può ridursi a un romanzo fantasy, che alimenta la morbosità di un pubblico incline a leggere la storia attraverso lenti dietrologiche. Una deriva – è bene ricordarlo – pompata da diversi giornalisti e che coinvolge anche alcuni magistrati con una forma mentis dietrologica, proprio come già denunciava Falcone in vita.
Basterebbe leggere le sue interviste, i suoi interventi al Csm, e il suo ultimo libro scritto a quattro mani con Marcelle Padovanì. La prima puntata del ciclo di inchieste di Report sulla cosiddetta pista nera si apre, del resto, con un presunto fatto inedito: Falcone avrebbe interrogato Alberto Volo in relazione all’omicidio Mattarella. Una notizia presentata in modo da suggerire al pubblico non esperto che il giudice, poi ucciso a Capaci, avesse preso in seria considerazione le sue dichiarazioni.
La realtà, però, è un’altra. Non si tratta di una novità: che Falcone avesse ascoltato il neofascista è documentato da anni. Tutto è scritto nero su bianco nella requisitoria sui delitti eccellenti, nella quale lo stesso magistrato, peraltro, aveva definito Volo del tutto inattendibile, bollando le sue ricostruzioni come opere completamente fantasiose.
Un servizio, quindi, esclusivamente sensazionalistico e del tutto suggestivo. Successivamente, Report ha nuovamente affrontato l’argomento, rivelando il presunto incontro tra Borsellino e Volo.
A questo punto, è utile riportare nero su bianco quanto scritto dal gip Santi Bologna nel provvedimento di archiviazione. Ha sottolineato che «si tratta di una ricostruzione assolutamente improponibile a meno di non considerare il dott. Borsellino come un magistrato talmente sprovveduto da mettersi a parlare delle proprie impressioni in ordine alle responsabilità per la strage di Capaci con un mitomane come Alberto Volo».
Non solo. Il gip scrive che vale la pena ricordare un fatto avvenuto nel 1974 che rende l’idea della personalità del soggetto. Ovvero aveva tentato di farsi pubblicare un falso necrologio sul Giornale di Sicilia per «far credere alla sua ragazza e ai suoi amici di essere al centro di oscure trame politiche». A ciò si aggiunge il fatto che non sia stato fornito alcun riscontro – o almeno un principio di riscontro – al racconto che Volo espone in merito all’incontro con Paolo Borsellino. Pertanto, secondo il gip, non vi è alcun fondamento per desumere dalle dichiarazioni di Alberto Volo che Borsellino abbia seguito la cosiddetta “pista nera”.
Il provvedimento di archiviazione riguarda il presunto ruolo degli esponenti della destra eversiva, tra cui il noto Stefano Delle Chiaie, nelle stragi del 1992. Dal punto di vista mediatico, il caso è esploso dopo l’ennesima puntata di Report, che ha trasmesso un’intervista inedita all’ex brigadiere Walter Giustini. Questi aveva come informatore (e poi pentito, recentemente scomparso) Alberto Lo Cicero, il quale sosteneva di averlo indirizzato verso la cattura di Totò Riina già nel 1991. Ma lo “scoop” che ha scosso l’opinione pubblica è l’intervista all’ex compagna di Lo Cicero, Maria Romeo, che parla della presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci, arrivando ad accusarlo di aver organizzato l’attentato.
Anche in questo caso, però, ci troviamo di fronte a una narrazione fantasiosa spacciata per giornalismo d’inchiesta. Bastava razionalità e un’analisi incrociata delle dichiarazioni con i verbali dell’epoca per rendersi conto della totale inconsistenza di queste testimonianze, per di più de relato. Non solo: la procura di Caltanissetta ha accusato gli stessi testimoni di depistaggio, calunnia e false informazioni al pubblico ministero.
Significativo è il giudizio del gip sulla testimonianza di Maria Romeo. In sostanza, il giudice l’ha definita come una «dichiarante che tende a rielaborare a suo piacimento notizie apprese casualmente, orientandole nella direzione a lei più favorevole», una propensione che rende impossibile dare credito alle sue accuse senza riscontri solidi su ogni punto. Lo stesso Giustini, sentito dalla procura, ha smentito quanto però era emerso nel servizio di Report, escludendo categoricamente di aver avuto anche solo sospetti su Delle Chiaie e confermando l’infondatezza delle dichiarazioni della Romeo.
Intanto, la procura di Caltanissetta ha chiesto l’archiviazione anche per il presunto coinvolgimento nelle stragi del ’92 del neofascista Paolo Bellini.
La gip nissena Graziella Luparello aveva sollecitato nuovi accertamenti basandosi anche su un articolo di Antimafia2000 che però conteneva informazioni errate.
Si sosteneva che nel ’91 Bellini avesse soggiornato in un hotel siciliano insieme a Vincenzo Giammanco, indicato come parente dell’ex capo della procura di Palermo e prestanome di Provenzano (tra l’altro di una società presente nel dossier mafia-appalti). In realtà, si trattava di un caso di omonimia.
Altro elemento chiave è l’attività documentata di Bellini nel settore del recupero crediti, ambito in cui sarebbe avvenuto il riavvicinamento con il mafioso Antonino Gioè (poi suicidatosi in carcere), dopo la comune detenzione. La procura conferma che tra il ’91 e ’92 Bellini operò effettivamente in Sicilia per recuperi crediti: nessun indizio ha dimostrato che si trattasse di una copertura per giustificare la sua presenza sull’isola.
La cosiddetta “pista nera”, sempre più evidentemente una traccia depistante, sembra dunque dissolversi. Restano in campo ipotesi altrettanto problematiche: dalla richiesta di archiviazione emerge che la procura nissena – in particolare il pm Pacifico – ha preso in esame l’esposto dell’ex colonnello Riccio, storico accusatore di Mario Mori, accuse già naufragate in sedi processuali. Inoltre è ancora in corso un procedimento contro i familiari dell’ex superpoliziotto Arnaldo La Barbera in relazione all’agenda rossa di Borsellino. Ipotesi che appaiono fragili quanto la pista nera.
Nei fatti permangono interrogativi irrisolti. Ad esempio, come si può spiegare la sparizione dei documenti dalla borsa del magistrato, se almeno uno di loro – il fascicolo Mutolo – risulta essere giunto al suo ufficio? Chi lo ha portato lì? E perché non quadra la testimonianza dell’ex poliziotto Paolo Maggi riguardo il passaggio della borsa e altro ancora? Forse è in questi aspetti che va cercata la chiave di volta, soprattutto se si considerano le indagini di Borsellino sugli appalti e i collegamenti con Capaci, nonché le “cose terribili” (parole di Borsellino stesso) individuate all’interno dell’allora procura di Palermo. Per ora, nessun chiarimento. IL DUBBIO 6.2.2025

Mandanti esterni di via D’Amelio: nuova richiesta d’archiviazione

CALTANISSETTA – Il prossimo 3 marzo il Gip di Caltanissetta Graziella Luparello deciderà se archiviare le indagini sulla ricerca di eventuali mandanti esterni per la strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992, dopo la seconda richiesta in tal senso, avanzata lo scorso novembre, dalla Procura nissena.

Il Gip, il 18 maggio 2022, respinse la richiesta di archiviazione e chiese all’ufficio dell’accusa di svolgere ulteriori approfondimenti, indicando cinque filoni investigativi, tra questi la cosiddetta pista nera, soprattutto i rapporti tra Paolo Bellini, l’ex di Avanguardia nazionale, e alcuni esponenti mafiosi come Antonio Gioè. Lo scrivono alcuni quotidiani.

Le indagini, coordinate dal procuratore Salvatore De Luca, dall’aggiunto Pasquale Pacifico e dai sostituti Nadia Caruso, Davide Spina e Claudia Pasciuti, si sono soffermate anche sul ruolo di esponenti dei servizi segreti, tra cui il poliziotto Giovanni Aiello (“faccia di mostro”), Ignazio D’Antone e Bruno Contrada in relazione agli omicidi degli agenti della polizia Emanuele Piazza e Antonino Agostino e sul “suicidio” in carcere di Gioè, episodio sul quale starebbe indagando la procura di Roma.

Infine, è stato analizzato il “possibile ruolo di esponenti della destra eversiva tra cui Stefano delle Chiaie nelle stragi del ’92; i “rapporti tra Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Giuseppe Graviano”.

La Dda di Caltanissetta continua a privilegiare altre piste, in particolare il dossier mafia-appalti, la sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino e i rapporti che avrebbero intrattenuto esponenti dei servizi segreti e massoneria. Secondo la Dda “non è emerso alcun elemento che possa far ipotizzare un movente riconducibile alla trattativa Stato-mafia per la strage di via D’Amelio”. LIVE SICILIA 7.2.2025


Stragi del ’92, ‘fantasmi dell’antimafia’ e “macroscopici errori”

 

PALERMO – Non è una semplice richiesta di archiviazione, ma l’ennesima occasione da cui emerge che l’ostinazione nel seguire certe piste investigative non produce risultati. Sono le stesse piste che, spinte dall’eco mediatica, vengono presentate come la verità che ci si ostinerebbe a non vedere. Come se esistesse un manipolo di infedeli di Stato sempre pronto a proteggere chi detiene inconfessabili segreti.

Si rimesta in storie che tengono banco da decenni – dalla pista nera alla trattativa Stato-Mafia – nella ricerca dei mandanti esterni per la strage di via d’Amelio del 19 luglio 1992. Si finisce sempre per andare a sbattere contro l’evidenza delle non prove o peggio contro quelli che gli stessi pm definiscono “macroscopici errori”.

Ciò spesso accade perché si dà fiato, manco fossero novelli oracoli, a personaggi la cui attendibilità vacilla sotto il peso di racconti improbabili e storie personali che dovrebbero invitare alla cautela.

Il prossimo 3 marzo il Gip di Caltanissetta Graziella Luparello deciderà se archiviare le indagini sulla ricerca di eventuali mandanti esterni nell’attentato in cui morirono Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina e Claudio Traina. Indagini che il giudice ha ordinato dopo la seconda richiesta di chiudere il caso avanzata lo scorso novembre dalla stessa Procura nissena.

I filoni investigativi indicati dal Gip

Il Gip aveva indicato cinque filoni investigativi, tra questi la cosiddetta pista nera, che ruota attorno alla figura di Paolo Bellini, ex di Avanguardia nazionale. La Dda di Caltanissetta continua a privilegiare altre piste, in particolare il dossier mafia-appalti, la sparizione dell’agenda rossa di Borsellino e i rapporti tra esponenti dei servizi segreti e massoneria. Nel frattempo ha lavorato sulla base delle indicazioni del Gip. Il risultato finale non cambia: richiesta di archiviazione.

Il “macroscopico errore”

C’è chi ha ipotizzato che la prova della pista nera risiedesse in uno strano incontro all’hotel “Sicilia” di Enna, dove pernottarono Bellini ed Enzo Giammanco, imprenditore condannato per mafia con l’accusa di essere stato un prestanome di Provenzano. Giammanco è anche parente dell’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco. Da qui i sospetti che si basavano, però, su un “macroscopico errore” di persona. In quell’albergo soggiornò un altro Vincenzo Giammanco di due anni più giovane del parente del magistrato.

Ed ancora, si era detto che il pentito Antonino Giuffrè, un tempo fedelissimo di Provenzano, avesse dichiarato che Totò Riina si era consultato con Enzo Giammanco prima di avviare la stagione stragista. Il suo nome, però, leggendo e rileggendo i verbali non c’è.

L’onnipresente “faccia da mostro”

Altro capitolo approfondito dai pm nisseni che hanno delegato la Dia riguarda Giovanni Aiello, ex poliziotto ormai deceduto, passato alla cronaca con l’appellativo “faccia da mostro”. Da anni viene considerato l’uomo dei mille misteri. Lo era da vivo e resta tale da morto. Aiello voleva essere cremato, ma è stato seppellito. A distanza di anni dal decesso può sempre servire un nuovo rilievo sulla salma.

Il giudice Luparello aveva chiesto di fare degli accertamenti patrimonialiper scovare eventuali ricchezze nascoste o flussi anomali di denaro. Nulla è emerso sul conto di Aiello.

La pista nera

Si è scandagliato il mondo di Stefano Delle Chiaie, un fantasma che aleggia da anni sulla strage di Capaci, alla luce dei ricordi posticci di un carabiniere in pensione, Walter Giustini, e di Maria Romeo, ex compagna del collaboratore di giustizia, Albero Lo Cicero.

Peccato che di Delle Chiaie non si faceva menzione nei verbali di Lo Cicero, nel frattempo deceduto, alla cui redazione aveva partecipato lo stesso Giustini. Su Giustini, Romeo ed altri indagati pende ora una richiesta di rinvio a giudizio della Procura di Caltanissetta. I loro racconti non sono stati ritenuti attendibili, ma caratterizzati da “una tendenza al mendacio”.

“Le indagini svolte non non solo non hanno consentito di rinvenire alcun elemento di riscontro alla cosiddetta pista nera ma hanno pure fatto emergere la totale inattendibilità e addirittura la falsità delle dichiarazioni rese da soggetti – si legge nella tranciante richiesta di archiviazione – che avrebbero dovuto consentire di acquisire elementi sia pure del relato, essendo la fonte primaria Lo Cicero Alberto deceduta, in relazione a questa pista nera”.

Graviano, Berlusconi e Dell’Utri

In ballo c’è pure un approfondimento sui rapporti tra il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.

Anche su questo punto sono molto duri il procuratore Salvatore De Luca, l’aggiunto Pasquale Pacifico e i sostituti Nadia Caruso, Davide Spina e Claudia Pasciuti. Graviano ha tenuto un “atteggiamento senza dubbio ambiguo, ha cercato di lanciare messaggi trasversali caratterizzati da una sostanziale incompletezza in relazione ai rapporti intrattenuti con i soggetti sopra indicati”.

Graviano è “un soggetto imputato e condannato in relazione che mai ha dimostrato la concreta volontà di collaborare con la giustizia o, almeno, di dissociazione”. Che farne delle sue dichiarazioni? Nulla perché hanno il valore della carta straccia, caratterizzate “da una totale inattendibilità e non consentono comunque di svolgere alcun accertamento”.

La trattativa Stato-mafia

Nelle conclusioni della richiesta di archiviazione i pm ribadiscono che non sono emersi elementi da cui desumere che l’accelerazione impressa nella fase di esecuzione della strage di via D’Amelio sia stata dovuta al fatto che Borsellino stesse indagando sulla pista nera, né all’intervento di “soggetti collegati ai servizi di sicurezza”, né alla trattativa Stato-mafia (era la tesi del processo naufragato) contestata all’ufficiale del Ros Mario Mori che agganciò Vito Ciancimino.

Nulla di tutto ciò. Si continua comunque a indagare “sul possibile coinvolgimento di uomini politici nel tempo dalla strage”, ma c’è il più stretto segreto istruttorio. Nell’attesa di nuovi sviluppi i pm chiedono di archiviare l’indagine sui mandanti esterni delle stragi.