CAPACI: la testimonianza del fotografo Antonio Vassallo

 

LE FOTOGRAFIE CHE “MANCANO” ALL’ITALIA…
“Allora abitavo – e abito tutt’oggi – a 300 metri da dove avvenne la strage, a metà strada tra quel pezzo di autostrada cancellata e la collinetta da cui fu azionato il telecomando che provocò l’esplosione. Il 23 maggio del 1992 mi trovavo a casa, sul terrazzo che si affaccia sulla parte a valle verso il mare, verso quell’autostrada, quando alle 17,58 ho sentito una fortissima esplosione. Non posso descrivere che rumore fanno 500 chili di esplosivo, so solo che la montagna che sovrasta Capaci riversò sia l’onda d’urto che il suono”. “A me bastò girare lo sguardo verso l’autostrada da cui proveniva questo nuvolone di fumo e detriti che si era alzato altissimo nel cielo. Afferro la macchina fotografica che era già pronta perché la sera avrei avuto un compleanno e salto sul mio scooter 50”.
“Pensavo che fosse saltata i aria un’autocisterna piena di gas: non pensavo che per uccidere un uomo si progettasse di far saltare in aria un’autostra con 500 chili di tritolo. Lì accanto casa mia”. “Sono costretto ad appoggiare il mio scooter al tronco di un albero e proseguo a piedi perché la strada era impraticabile e mi ritrovo davanti quest’autostrada che non c’era più: c’era una voragine larga decine di metri. La mia attenzione è subito attirata da questa macchina bianca in bilico sull’orlo del cratere: sostanzialmente integra, solo con il vano motore danneggiato e con un principio di incendio. Decido di scalare la collinetta e da lì mi rendo conto che le macchine coinvolte sono molte di più”.
“Era cosciente e aveva gli occhi aperti: anche se distavamo cinque-sei metri, per un attimo ho incrociato quegli occhi e i suoi hanno incrociato i miei. Ci siamo cercati e ci siamo trovati. Ancora oggi, dopo tutti questi anni, mi chiedo cosa avrà pensato il Dottor Falcone in quegli istanti guardandomi: probabilmente ha pensato che fossi uno del comando pronto a finirlo”. “Fui costretto a scappare: uno di loro, agitandomi il mitra contro, mi urlò di allontanarmi, cosa che io feci istintivamente”.
“Non ero un fotografo di cronaca nera, io ancora oggi faccio il fotografo di cerimonie, però in quel momento sento fortissimo il dovere di documentare il tutto fotograficamente. Comincio con delle fotografie panoramiche, poi mi avvicino sempre più al luogo interessato dall’esplosione, fino a fotografe il folto gruppo di persone che intorno a quella Croma bianca avevano difficoltà a estrarlo fuori, perché i detriti erano caduti attorno alla macchina di Falcone rendendone difficoltosa l’apertura”. “Io mi mantengo a distanza e faccio due o tre scatti con la mia macchina fotografica. A questo punto vengo avvicinato da due uomini in abiti civili che mi dicono essere poliziotti. Mi sventolano in faccia un tesserino così velocemente da non farmi capire se fosse della Polizia o della piscina, chiedendomi di consegnare il rullino fotografico. Allora io con orgoglio esibisco il tesserino da fotografo chiedendo solo di completare quel rullino di 36 pose. Loro se ne fregano, mi afferrano il braccio esercitando una leggera violenza e rinnovandomi l’invito a consegnare il rullino: a quel punto l’ho consegnato”.
“Per lungo tempo ho pensato che le mie fotografie avrebbero fatto un percorso normale finendo nelle mani degli investigatori e rivelandosi utili per le indagini. Magari mi avrebbero pure chiamato per ringraziarmi.
Invece non chiamò nessuno”. “Il Questore La Barbera sostanzialmente si scusa con me, dicendomi che le mie fotografie erano state dimenticate in un cassetto per sette mesi.
Non me le fa vedere, ma mi assicura che proprio in quelle ore erano state mandate agli investigatori della procura di Caltanissetta.
Ma quando si aprì il processo per la strage di Capaci scopro che le mie fotografie non erano agli atti. Mi amareggio ancora di più e mi incuriosisco, volevo sapere perché le mie fotografie erano di nuovo sparite. Da piu parti venni invitato alla prudenza, perché probabilmente avevo fotografato qualcuno o qualcosa che non dovevo fotografare: ancora oggi mi chiedo chi. Forse quelle persone che sono già sul posto, si fingono soccorritori e devono fare un altro mestiere, per esempio uccidere i feriti fingendo di soccorrerli oppure fare sparire dei documenti importanti come è accaduto in Via D’Amelio. Anche a Capaci è stata sottratta la ventiquattro ore di Falcone che conteneva due agende. Però non c’è una fotografia che lo documenta.”
“… l’Ispettore Catani dice di ricevere dai tre agenti sopravvissuti la ventiquattro ore di Falcone e che a sua volta la consegna ad Arnaldo La Barbera. Probabilmente ho fotografato tutto questo…”.
Testimonianza di Antonio Vassallo Capaci, Fotografo
Strage di Capaci, testimone rivela: “La Quarto Savona 15 era integra dopo l’esplosione”. Antonio Vassallo, fotografo di Capaci, era lì quando il 23 maggio 1992 la mafia fece saltare l’autostrada, uccidendo Giovanni Falcone. Fece anche alcune foto sul luogo della strage, mettendole a disposizione degli inquirenti.
Il fotografo abita a due passi dal luogo dell’attentato. Si catapultò tra le macerie pochi minuti dopo le fatidiche 17:58, fotografando forse qualcosa che non avrebbe dovuto. E’ convinto che sulla Croma blindata che precedeva l’auto di Falcone non tutto sia stato detto. E’ ancora forte l’odore di sangue e gomma bruciata di quel 23 maggio 1992. La morte di Totò Riina ha evocato i fantasmi della strage di Capaci, che costò la vita a Giovanni Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta. Ricordi, testimonianze, confessioni di chi quel giorno era presente sul posto, pochi attimi dopo che mille chili di tritolo disintegrarono un pezzo di autostrada. Ha raccontato più volte la storia del rullino che gli fu sottratto da quelli che si presentarono come due poliziotti in borghese, negativi spariti nel nulla, nonostante i suoi tentativi di recuperarli. Ma quello di cui non si è mai parlato, è del ricordo nitido che Vassalo ha della Quarto Savona 15, la Croma blindata su cui viaggiavano gli agenti della scorta di Falcone, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, che morirono nell’esplosione.
Ciò che resta dell’auto, adesso, è custodito in una teca e, dopo aver fatto il giro d’Italia, è esposto nella caserma “Lungaro” di Palermo. Si tratta ormai solo di un cumulo di lamiere, ma, secondo quanto ricorda Vassallo, la Croma blindata, catapultata tra gli ulivi dopo la deflagrazione, sarebbe rimasta pressoché integra.
“La macchina era finita dall’altra parte dell’autostrada – rivela il fotografo a PalermoToday – era capovolta, ma ricordo di averla vista integra, non sicuramente come viene presentata oggi”.
Vassallo, ogni giorno accompagna studenti da tutta Italia sui luoghi della strage, sembra ricordare bene i dettagli di quel pomeriggio infernale ed è convinto che sulla Quarto Savona 15 non tutto sia stato detto. “Sappiamo che Falcone viaggiava sempre con la sua valigetta ventiquattrore, che conteneva due agende ed un’agendina elettronica – dice il fotografo – dunque il magistrato doveva averla con sé anche in quell’occasione. Di quella valigetta non se ne è saputo più nulla, come mai? E ancora, perché quell’auto prima era integra e adesso è ridotta un cumulo di lamiere?”.
Una delle ipotesi che traspare dal racconto di Vassallo è che l’auto sia stata “accartocciata” in un secondo momento, dopo averla “ripulita” di ciò che, verosimilmente, non si sarebbe dovuto trovare.
“Nulla esclude – ipotizza il fotografo – che qualcuno abbia volutamente fatto sparire la ventiquattrore di Falcone, un po’ come è successo con la famosa agenda rossa di Borsellino, in via D’Amelio.
Sono convinto che quell’auto non fosse ridotta così come ce la mostrano adesso. Perché nessuno ha spiegato cosa sia successo a quell’auto?” Un particolare che salta fuori adesso perché – spiega il fotografo – è solo recentemente che i brandelli della Croma vengono mostrati in pubblico.
Al giallo della Quarto Savona 15, si somma, poi, quello del rullino sparito. Una storia già raccontata in passato da Vassallo, ma sulla quale non è ancora stata fatta chiarezza. Dopo essere arrivato sul luogo della strage, a pochi minuti dall’esplosione, Vassallo racconta di essere fuggito via perché un uomo, che poi scoprirà essere Angelo Corbo, agente della scorta che viaggiava nell’altra auto, gli si avventa contro con un mitra. In quegli attimi deliranti, Corbo avrebbe scambiato l’obiettivo al collo di Vassallo per un’arma. Tornato qualche minuto dopo, il fotografo si aggira tra le macerie scattando a raffica, quando due uomini che si sarebbero presentati come poliziotti in borghese, avrebbero preso in consegna il rullino. Io ero in possesso di una regolare licenza rilasciata dalla questura – spiega Vassallo (nella foto a destra) – stavo scattando fotografie, ma vengo fermato da questi due uomini. Mi sventolano un tesserino in faccia e, strattonandomi per un braccio, mi obbligano a consegnargli il rullino. Cosa che faccio nella speranza che, in qualche modo, le mie foto sarebbero servite alle indagini. Invece, passano i mesi e di queste foto non si sa più nulla. Quindi decido di andare da Ilda Boccassini, che indagava sulla strage alla procura di Caltanissetta, e lei cade dalle nuvole, dicendomi che quelle foto non erano mai arrivate. Guarda caso – racconta ancora il fotografo – il giorno dopo vengo convocato dal questore Arnaldo La Barbera che sostanzialmente si scusa, dicendomi che gli agenti avevano dimenticato di consegnare le foto e che sarebbero state inviate subito a Caltanissetta. Bene, quelle foto non sono state messe agli atti del processo, né tanto meno sono più saltate fuori”.
Il sospetto di Vassallo è che, senza volerlo, quel giorno abbia immortalato qualcosa che non avrebbe dovuto. Ipotesi questa che s’intreccia con i misteri ancora irrisolti di quel 23 maggio. Parallela al corso della giustizia, che ha inflitto dure condanne agli autori materiali della strage, corre – infatti – un’altra strada: quella delle presunte verità taciute, delle possibili complicità di apparati dello Stato e dell’ombra dei mandanti occulti. Segreti che, ancor più dopo la morte di Riina, sembrano perdersi tra le macerie di quel maledetto pomeriggio di maggio. Antonio Vassallo Capaci

 

23 maggio 1992 e la QUARTO SAVONA 15 bis