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- La mafia rapisce e uccide il sindacalista Placido Rizzotto – Rai Storia
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- Chi era
PLACIDO RIZZOTTO. L’OMICIDIO DEL SINDACALISTA DI CORLEONE Placido Rizzotto scomparve il 10 marzo 1948. I suoi resti non vennero trovati subito, ma il racconto in preda al delirio di un pastorello di tredici anni, lasciava indubbiamente intendere che in quella notte un contadino fosse stato ucciso. Placido Rizzotto fu un sindacalista italiano che si battè per migliorare la condizione dei contadini siciliani e li aiutò a ribellarsi ai soprusi della mafia. Nato nel 1914 a Corleone, in Sicilia. Fu il primo di sette fratelli e in seguito alla morte della madre e all’arresto del padre, prese le redini della famiglia in giovanissima età. Lasciò quindi gli studi per dedicarsi al lavoro. Durante la Seconda Guerra Mondiale, prestò servizio in Carnia (Friuli Venezia Giulia) e dopo l’8 settembre, prese parte alla Resistenza come partigiano.
Una volta finita la guerra, tornò in Sicilia e cominciò la carriera come Presidente dei combattenti per l’ANPI, l’associazione dei partigiani, si iscrisse poi al Partito Socialista Italiano, per diventare infine sindacalista della CGIL.
Il suo impegno per aiutare i contadini onesti a raggiungere consapevolezza sul problema delle oppressioni mafiose, lo rese un bersaglio. All’epoca, il capo della cosca corleonese di Cosa nostra era Michele Navarra, medico e direttore dell’ospedale di Corleone, che tramite i suoi affiliati minacciò Rizzotto più volte. Questo non lo fece arrendere e aiutò i contadini emarginati dalla mafia a trovare terre incolte da occupare, seguendo il decreto Gullo che prevedeva l’obbligo ai proprietari terrieri di cedere le terre abbandonate o mal conltivate alle cooperative di contadini.
Con l’attuazione di questa legge, vennero tolte delle proprietà a Luciano Liggio, affiliato di Navarra e conosciuto per le sue efferatezze. Ad inasprire ulteriormente le tensioni, contribuì una rissa avvenuta fra ex partigiani e affiliati del boss corleonese, dove Liggio venne pubblicamente umiliato da Rizzotto.
La sera del 10 marzo 1948, Placido Rizzotto venne attirato in una trappola dal collega della CGIL, Pasquale Criscione, segretamente affiliato a Navarra. Una volta caricato a bordo della sua auto, il compagno lo portò in un cascinale in Contrada Marvello, dove con l’aiuto di Pasquale Crisicone , venne picchiato a sangue fino alla morte. I suoi resti vennero poi gettati in una foiba a Rocca Busambra.
All’epoca le indagini furono nella mani del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il corpo non venne ritrovato. Un testimone oculare però, assistette all’omicidio e vide in faccia gli assassini. Il pastorello Giuseppe Letizia stava badando al gregge quella sera vicino al cascinale. Il giorno dopo, il ragazzo era in preda al delirio e il padre decise di portarlo all’ospedale di Corleone, dove due giorni dopo morì per tossicosi. All’ospedale, diretto dal Dott. Navarra in persona, gli fu somministrata una dose di veleno.
Le indagini però portarono all’arresto dei due esecutori dell’omicidio che ammisero di aver rapito Placido Rizzotto insieme a Liggio. È stato per mano di quest’ultimo che venne fatto sparire il corpo nella foiba. Ma, poco tempo dopo, Criscione e Collura ritrattarono la confessione e in sede di processo vennero assolti per insufficienza di prove.
Il 7 settembre 2009, i resti del cadavere di Rizzotto furono recuperati e scientificamente riconosciuti nel 2012 come suoi, grazie alla comparazione con il campione di DNA del padre (preso dalla riesumazione del corpo per l’occasione).
Secondo la logica mafiosa, quei resti non si sarebbero mai dovuti ritrovare. Perché Rizzotto doveva essere cancellato, così come la sua memoria. Come se non fosse mai esistito. Ma in realtà a Corleone crebbero amabili resti, parafrasando un celebre libro, intorno alla sua assenza. COSA VOSTRA
RICORDANDO PLACIDO RIZZOTTO, IL SINDACALISTA CHE SI OPPOSE ALLA MAFIA CORLEONESE Era il 10 marzo 1948 quando il sindacalista di Corleone Placido Rizzotto scomparve.Per sapere che Rizzotto era stato ucciso non ci fu comunque bisogno di aspettare il ritrovamento dei resti del corpo, avvenuto il 7 settembre 2009, o la comparazione, nel 2012, con il Dna del corpo del padre, riesumato per l’occasione. Sin dal giorno della sua scomparsa era già chiaro quel che era successo.Placido Rizzotto era un uomo coraggioso che si oppose con fermezza a Cosa nostra. Era stato un partigiano in Friuli Venezia Giulia e alla fine della Guerra si iscrisse al Partito Socialista Italiano, prestando servizio come sindacalista della CGIL. Sin dal primo momento ebbe modo di comprendere che nella sua città natale, Corleone, la cappa mafiosa era ben presente. A capo della cosca di Cosa nostra vi era il primario dell’ospedale di Corleone, Michele Navarra, insieme ai suoi sodali tra cui spiccavano figure che avrebbero successivamente fatto la storia di Cosa nostra come Luciano Liggio, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. I mafiosi presero subito di mira il sindacalista, che si batteva e aiutava i contadini nel difendere le loro terre chiedendo l’applicazione del “decreto Gullo”, che prevedeva l’obbligo ai proprietari terrieri di cedere le terre abbandonate o mal coltivate alle cooperative di contadini. Con l’applicazione del decreto molte terre vennero sottratte alla cosca.Ma vi fu anche un ulteriore episodio che inasprì ulteriormente le tensioni tra i mafiosi corleonesi ed il sindacalista: Rizzotto umiliò pubblicamente Luciano Liggio, aggredendolo fisicamente e appendendolo all’inferriata della Villa Comunale.La vendetta non tardò ad arrivare. Infatti, la sera del 10 marzo 1948 a Rizzotto gli fu tesa una trappola dal suo collega, Pasquale Criscione, colluso con Cosa nostra. Subito dopo, il sindacalista fu portato in un cascinale in Contrada Marvello, dove con l’aiuto di Pasquale Crisicone, venne picchiato a sangue fino a quando morì. Ciò che rimase del corpo di Rizzotto fu buttato in una foiba a Rocca Busambra. Un tredicenne, Giuseppe Letizia, fu testimone di quel delitto. In ospedale, dove giunse delirante e in preda a una febbre alta, morì dopo essere stato “curato” con un’iniezione; fu il veleno ad ucciderlo, perché lo stesso ospedale era diretto dal capomafia di Corleone, nonché mandante dell’assassinio.Le indagini sulla morte di Rizzotto furono condotte dal giovane carabiniere, poi diventato generale, Carlo Alberto dalla Chiesa. In un primo momento si riuscì a ritrovare il corpo del sindacalista. Ad essere arrestato fu Vincenzo Collura, il quale rivelò di aver preso parte al rapimento di Rizzotto in concorso con Luciano Liggio e la cui testimonianza rese possibile agli inquirenti rinvenire alcune tracce del sindacalista. Dopo poco tempo, Criscione e Collura ritrattarono la confessione e in sede di processo vennero assolti per insufficienza di prove.L’omicidio di Placido Rizzotto aprì una lunga catena di sangue della mafia corleonese, che da lì, con una lunga scia di sangue, prese il potere di Cosa nostra palermitana. I corleonesi si contraddistinsero per la loro brutalità nel commettere gli omicidi. Come anche nell’omicidio di Rizzotto, i mafiosi volevano che del sindacalista non ne rimanesse più nulla, nemmeno il suo corpo. Ma dopo tantissimi anni la memoria e il coraggio del sindacalista resta vivo.
RIAPERTE INDAGINI SU OMICIDIO PLACIDO RIZZOTTO La procura di Palermo ha riaperto le indagini sul rapimento e omicidio del sindacalista di Corleone Placido Rizzotto. L’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Ignazio De Francisci e dal pm Francesca Mazzocco, è a carico di ignoti. La decisione arriva all’indomani delle esequie solenni del sindacalista celebrate alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano.Rizzotto, ex partigiano, socialista e segretario della Camera del lavoro di Corleone, venne rapito dalla mafia la sera del 10 marzo 1948 massacrato di botte e buttato in una foiba. Nel 2009 i suoi resti sono stati riconosciuti solo pochi mesi fa, grazie al confronto effettuato dalla polizia scientifica col dna del padre, il cui cadavere è stato riesumato. E’ stato accertato che le ossa ritrovate erano sue.A chiedere la riapertura delle indagini sono stati i familiari di Placido Rizzotto e la Cgil. Ieri durante i funerali solenni a Corleone, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, e poi il nipote del sindacalista, l’omonimo Placido Rizzotto, nelle loro orazioni avevano invocato un nuovo processo per avere giustizia.
ESEQUIE SOLENNI PER RIZZOTTO,SINDACALISTA ANTIMAFIA, ALLA PRESENZA DEL PRESIDENTE NAPOLITANO Sono appena due metri d’asfalto, ma contengono una storia lunga piu’ di mezzo secolo. Da un lato c’e’ una palazzina come tante: al piano basso c’e’ un bar, sopra, 64 anni fa, s’affacciava il boss Michele Navarra, da quel balcone annuiva ai suoi scagnozzi e dava ordini a Luciano Liggio. Dalla parte opposta del marciapiede c’e’ la chiesa di San Martino: qui lo Stato oggi ha scritto una nuova pagina di storia, riconsegnando al Paese Placido Rizzotto, il sindacalista celebrato in maniera solenne dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano e dalle altre cariche dello Stato. Navarra e Rizzotto: il mandante e la vittima. Il mafioso, tradito proprio da quel Luciano Liggio che assassino’ Rizzotto, e il sindacalista, ritrovato dai suoi familiari e riconsegnato alla sua gente. Ci sono voluti 64 anni, un tempo troppo lungo, per scrivere questa nuova pagina di storia italiana. Ma adesso, come ha sostenuto Napolitano, Rizzotto ”e’ certamente parte della memoria condivisa del Paese”. La pioggia incessante che ieri ha scandito le celebrazioni della strage di Capaci non c’e’ piu’. Il sole e’ alto. Corleone e’ in festa. Blindata, ma in festa. La piazza e’ piena di ragazzi e bambini. Quando arriva Napolitano, assieme alla signora Clio, la gente applaude e urla il suo nome. Sventolano le bandiere della Cgil. Ci sono tutti. C’e’ Susanna Camusso, c’e’ il suo predecessore Guglielmo Epifani. E c’e’ Giuseppa Rizzotto, 81 anni, sorella del sindacalista, tenuta sottobraccio dai familiari. Emozionatissima. Dalle mani del presidente Napolitano Giuseppa riceve la medaglia al merito civile in onore del fratello. Anche la signora Clio non nasconde l’emozione. Alla festa non c’e’ il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la mafia lo ha ucciso nell’82; fu lui, giovane comandante dei carabinieri a Corleone, a ritrovare i resti del sindacalista a Roccabusambra, in una fossa dove i picciotti di Navarra, medico condotto e padrino corleonese, buttavano i cadaveri dei morti ammazzati. Solo due mesi fa, gli esperti attraverso la comparazione del Dna con quello del padre Carmelo, hanno accertato che quelle ossa appartengono a Placido Rizzotto. Nella chiesa madre monsignor Salvatore Di Cristina, arcivescovo di Monreale, celebra il funerale. Per due volte sbaglia il nome del sindacalista (lo chiama ”Rizzutto”), provocando brusio tra i presenti. Il prelato ripercorre la storia di Rizzotto. Non cita mai pero’ la parola mafia. Riccardo Nencini, segretario del Psi, il partito al quale aderiva il sindacalista, si arrabbia: ”Non dicendolo, lo uccideremo due volte”. In compenso, prima il nipote, l’omonimo Placido Rizzotto, e poi Emanuale Macaluso, storico esponente del Pci, nelle loro orazioni ne parlano come un eroe. La chiesa applaude. Perche’ ”Placido Rizzotto, qui e’ un eroe come lo e’ Giuseppe Di Vittorio in terra di Puglia”, afferma fiera Susanna Camusso, anche lei all’altare per l’orazione. ”Chiediamo che si faccia giustizia – afferma il segretario della Cgil – anche se molti protagonisti sono morti vogliamo che si riapra il processo Rizzotto e quello dei tanti sindacalisti assassinati dalla mafia durante la lotta per la conquista delle terre”. Il piu’ emozionato e’ il nipote. Placido Rizzotto sale sull’altare, parla a fatica, con la voce rotta. ”Il 24 maggio ha un significato nuovo, in quel giorno del ’15 il Piave mormoro’ ‘non passa lo straniero’, e oggi noi urliamo ‘non passi la mafia”’. Ancora applausi. Anche lui invoca ”verita’ e giustizia per riscrivere la storia dei sindacalisti uccisi: ciao zio tu hai vinto, oggi tocca a noi vincere”. Fuori dalla chiesa, Napolitano si avvicina ai cronisti:”Non abbiamo mai pensato che la mafia fosse finita, ma pensiamo che finira”’, aggiunge, prima di dirigersi in un altro luogo ”sacro” per il mondo del lavoro: Portella della Ginestra. La bara con le ossa di Rizzotto viene caricata in auto. Parte il corteo. Ora il sindacalista, dopo 64 anni, riposa nel cimitero, quello sacro di Corleone. La sua tomba non e’ piu’ a Roccabusambra.
Placido Rizzotto e il latifondo: morte di un comunista
L’oscurità era calata su quel piccolo paese annidato nel cuore dell’entroterra occidentale della Sicilia, quando iniziò a passeggiare. Percorse via Bentivegna e si fermò all’incrocio con via San Martino per aspettare il medico condotto Michele Navarra, con il quale doveva parlare degli elenchi anagrafici dei braccianti agricoli di Ficuzza. Navarra quella sera non arrivò. I tre vennero, invece, avvicinati da Pasquale Criscione, suo vicino di casa e gabelloto dell’ex feudo Drago, che dopo poco rimase l’unico accompagnatore di quel giovane, fino a quando non venne raggiunto in via Sant’Elena da Luciano Leggio, che da sotto il cappotto gli puntò una pistola al fianco e gli disse di stare tranquillo perché voleva solo parlargli.
Intanto, Vincenzo Collura sopraggiunse e prese quell’uomo sotto l’ altro braccio. Divincolandosi con uno strattone dalla stretta, tentò una fuga disperata. Fu breve perché vi erano altre persone nascoste ad aspettarlo. Urlò a squarciagola, ma gli misero in testa delle coperte e lo picchiarono vigorosamente. Lo misero a bordo di una vettura Fiat 1100, che attendeva vicino alla chiesa di San Leonardo, e lo portarono verso contrada Malvello. Nessuno vide o sentì nulla. Liggio gli sparò tre colpi di pistola e ne buttò il cadavere in una foiba di Rocca Busambra, quasi sempre avvolta dalla nebbia, che sovrasta il bosco di Ficuzza.
Veniva stroncata così il 10 marzo 1948 la vita del contadino sindacalista socialista Placido Rizzotto. Una scena drammatica rivissuta da centinaia di migliaia di telespettatori nel film televisivo del regista Pasquale Scimeca. Reduce della seconda guerra mondiale e della resistenza partigiana, Rizzotto era ritornato a Corleone. Aveva iniziato a guidare i contadini e si era battuto per far applicare in Sicilia, la terra del diritto negato, i decreti, firmati nel 1944 dal ministro comunista dell’Agricoltura Fausto Gullo, nel secondo governo Badoglio, con i quali era stato previsto l’ obbligo di cedere in affitto alle cooperative contadine le terre incolte o mal coltivate dai proprietari, l’ammasso dei cereali nei “granai del popolo” e una più equa distribuzione del raccolto tra mezzadri e proprietari.
Per l’ applicazione di quei provvedimenti erano iniziate vivaci agitazioni sin dall’estate del 1945. I contadini guidati da persone come Rizzotto avevano cominciato a fare paura nel clima di guerra fredda che demonizzava le sinistre. In determinati paesi avevano assunto un rilievo politico significativo, come a Corleone, ove la lista social-comunista aveva ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni regionali del 1947.
Con l’ausilio di una mafia feroce e del banditismo, in un quadro di collusioni istituzionali, l’aristocrazia del latifondo arginò il fenomeno e il pericolo dell’affermazione comunista con il ricorso ad una strategia terrorista ed eversiva. Si susseguirono trentasei assassini in tre anni dal 1945 al ’48, altri cinque se ne contarono tra il 1955 e il 1966: i sindacalisti più impegnati nelle province di Trapani, Palermo ed Agrigento; dirigenti politici della sinistra, operai, contadini.
La strategia della tensione ebbe le sue manifestazioni più cruente nella strage di Portella delle Ginestre (in cui morirono in undici, due erano bambini) e nell’assalto alle Camere del Lavoro.
Rizzotto fu uno dei dirigenti più in vista, divenne uno dei punti di riferimento delle masse contadine affamate e fu ucciso nel corso della campagna elettorale per le elezioni del 18 aprile del 1948. Subentrò al suo posto di segretario della Camera del lavoro di Corleone un giovanissimo Pio La Torre, a cui toccò la stessa sorte 34 anni più tardi, il 30 aprile 1982.
In quel contesto e in quegli anni in cui la mafia era considerata un’invenzione dei comunisti per screditare la Sicilia, le investigazioni presero le mosse dalla pista passionale. I primi a farla circolare furono gli stessi investigatori. «Rizzotto non morì per la sua attività di sindacalista che dava fastidio alla mafia… morì perché eterno fidanzato di quella ragazzaLeoluchiai Sorisi, non voleva più sentirne di sposarla», riporta Angelo Vecchio (“Luciano Liggio, Palermo”, La Fiera Edizioni, 1994).
Fu con l’ arrivo dell’ufficiale di ventinove anni destinato a comandare la compagnia di Corleone, Carlo Alberto dalla Chiesa, che venne imboccata la pista mafiosa. Vennero arrestati Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, i quali, dopo aver confessato il loro coinvolgimento nel sequestro ed aver accusato dell’omicidio Luciano Liggio, fornirono le indicazioni che consentirono di rinvenire il luogo ove era stato occultato il cadavere. Alcuni resti (due ossa, un perone e una tibia) ed alcuni indumenti (uno scarpone e l’ elastico per fissare le calze) del sindacalista furono ritrovati a Rocca Busambra, 643 giorni dopo il sequestro, la notte del 13 dicembre del 1949, in un crepaccio così profondo ed angusto che dall’alto non se ne vedeva il fondo. Silvana Mazzocchi