E’ stato un incontro intenso e schietto quello di Fiammetta Borsellino con cento detenuti del carcere di Secondigliano. La figlia del giudice ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992, è stata invitata dalla Comunità di Sant’Egidio, ed è stata per due ore a tu per tu con i reclusi per una volta protagonisti e non relegati nelle retrovie come invece avviene in tante manifestazioni che si svolgono dentro le mura dei penitenziari.
Fiammetta subito rompe il ghiaccio e previene una delle domande più scontate: “Io sono qui perché credo nel cambiamento. Alimentare la rabbia è un atteggiamento sterile e non fa resuscitare i morti”.
Fin dalle prime battute emerge il clima che si respirava a casa Borsellino, una famiglia unita che ha condiviso la scelta di vita del giudice con tutte le complicazioni di una esistenza blindata.
Poi comincia a raccontare del padre, cresciuto nel quartiere popolare della Kalsa, con il desiderio di liberare la sua terra dall’oppressione della criminalità mafiosa, il dolore di vedere la “Sicilia bedda” diventare la più grande raffineria di droga dell’Italia, e l’ossessione per la marea di giovani uccisi dalla mafia ma anche dall’eroina.
Spesso si recava nelle scuole assieme a Rocco Chinnici per spiegare ai ragazzi come la cultura intesa come passione e competenza potesse contrapporsi alla mentalità mafiosa, la bellezza opposta alla morte.
Quando si passa alle domande il discorso si fa più intimo.
Qualcuno le chiede come abbia vissuto da adolescente la condizione di una vita blindata, un altro detenuto vuol sapere di quando in Indonesia apprese la morte del padre.
Claudio, invece, fa una profonda riflessione e dice che a volte si diventa involontariamente parte dalla storia. Poi chiede quanto sia stato pesante per lei far parte in questo modo così doloroso della storia.
Fiammetta Borsellino non si sottrae e risponde a tutte le domande lasciando intravedere anche qualche vena di commozione. Racconta che quando andava a scuola aveva vergogna di essere accompagnata dalla scorta e per non farsi vedere scendeva dalla macchina blindata qualche isolato prima di arrivare all’ingresso dell’edificio scolastico.
Poi quando seppe della morte del padre ricorda che stava su di un’isola sconosciuta, con persone che non erano familiari e non poté esprimere il suo dolore. Ha parole di grande affetto per la sorella: “Non ho vissuto quello che ha vissuto Lucia, la forza che lei ha avuto probabilmente io non l’avrei avuta”.
Quando qualcuno chiede delle figure femminili della sua famiglia, con la madre chiusa in un silenzio assordante e la zia Rita che ha sempre testimoniato con forza la vicenda del fratello, Fiammetta inaspettatamente parla della nonna che ebbe il coraggio di attraversare le fiamme in via D’Amelio e fece piantare un ulivo, segno di vita, nel posto dove era stata collocata la bomba.
Un albero forte, con radici robuste che oggi è cresciuto ed è ammirato da tutti quelli che vengono in pellegrinaggio sul luogo della strage.
Uno scroscio di applausi si leva spontaneo tra il pubblico dei detenuti che si avvicinano numerosi al microfono per fare altre domande, mentre qualcuno consegna timidamente delle lettere.
Francesco, il più giovane degli ospiti di Secondigliano, con la voce rotta dall’emozione, legge la sua: “questa per me è la prima volta che provo tanta difficoltà a scrivere ed esprimere quello che provo pur sapendo cosa è successo a suo padre…. Vederla sorridere dopo tutto quello che ha passato insieme alla sua famiglia riempie il cuore di gioia.
Sono davvero felice di averla conosciuta, porterò per sempre con me questo bellissimo giorno e la ringrazio per aver scelto di stare con noi”.
A chi gli chiede se Paolo Borsellino avesse mai pensato di lasciare il lavoro per proteggere i suoi cari, lei risponde che la sua famiglia era più larga, era tutta una società che aspettava anche da lui una risposta di salvezza.
Sono state davvero tante e profonde le domande che hanno posto i detenuti. Forse quello che emerge è che far incontrare con il mondo esterno, con il dolore di chi ha sofferto tanto male, può essere una strada per indurre a revisioni radicali, ed incidere anche sui cuori più induriti.
L’incontro di Fiammetta Borsellino con i detenuti è stato un gesto di riconciliazione e di umanizzazione molto importante non solo per chi vive recluso in carcere, ma anche per noi che ne siamo fuori e che tanto spesso restiamo prigionieri della logica del rancore e della vendetta.
Sempre più decessi e morti sospette nelle carceri italiane