18/03/2025 ARTES TV
lunedì, un pezzo di storia è stato ospite nel carcere di Secondigliano Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio 1992, è venuta a trovarci. L’incontro, che si è svolto nel carcere di Secondigliano, precisamente nel reparto Mediterraneo, è stato un momento intenso ed emozionante. Fiammetta si è concessa a noi, detenuti, rispondendo alle nostre domande e ai nostri pensieri, lasciandoci con una forte emozione che resterà impressa nei nostri cuori.
Il giudice Borsellino, insieme al suo amico Giovanni Falcone, è stato una delle vittime più dolorose della lotta contro la criminalità organizzata. La sua morte, a pochi mesi da quella di Falcone, ha segnato una ferita profonda nel cuore del nostro Paese. Tuttavia, parlare con Fiammetta non è stato un confronto con il dolore, ma piuttosto con la speranza, la serenità e l’umanità che lei porta dentro di sé.
Fiammetta ha raccontato i suoi ricordi, pieni di affetto e di momenti di quotidianità che ci hanno fatto comprendere il legame profondo che la legava al padre. I suoi racconti non erano solo tristi, ma anche gioiosi, illuminati dalla luce dell’amore familiare. Ciò che ci ha colpito di più è stata la sua straordinaria serenità: nonostante il dramma che ha vissuto, non portava con sé il rancore che ci si potrebbe aspettare da chi ha perso un affetto così importante. La sua risposta alle nostre domande, sempre accompagnata da un sorriso e una dolcezza che ci ha commosso, è stata piena di speranza.
Non sono mancati, durante l’incontro, anche temi scomodi. Abbiamo chiesto a Fiammetta delle indagini sull’omicidio di suo padre, delle verità ancora oscure e delle sue emozioni riguardo le indagini non ancora risolte. Le sue risposte sono state sincere, senza formalismi, trasmettendo una sensazione di rabbia e frustrazione per le mancanze nelle indagini. Fiammetta ha espresso i suoi dubbi senza filtri, comunicando il suo desiderio di giustizia e verità.
Una delle frasi che ci ha più colpito è stata quella di Fiammetta, che ci ha detto: “Io sono qui perché credo nel cambiamento. Alimentare la rabbia è un atteggiamento sterile e non fa resuscitare i morti”. Queste parole sono state un messaggio potente di speranza e di speranza nel futuro, nel cambiamento possibile che nasce dalla consapevolezza e dalla volontà di non cedere alla rabbia, ma di affrontare la vita con serenità.
L’incontro al carcere di Secondigliano ha avuto un significato profondo per tutti noi, che viviamo ogni giorno all’interno di un sistema che spesso sembra offrire poche opportunità di redenzione. La presenza di Fiammetta, il suo coraggio nel confrontarsi con il nostro mondo e nel portare un messaggio di speranza, è stato per noi un momento di riflessione e di speranza. Ci ha fatto comprendere che, nonostante le nostre difficoltà e i nostri errori, è sempre possibile cambiare, rinnovarsi e cercare una via verso un futuro migliore.
Un ringraziamento speciale a Fiammetta Borsellino, per averci concesso il suo tempo, per averci trasmesso la sua serenità, la sua speranza, e per averci fatto comprendere che nonostante tutto, la lotta per un futuro migliore è possibile.
SECONDIGLIANO – L’incontro dei detenuti con FIAMMETTA BORSELLINO
E’ stato un incontro intenso e schietto quello di Fiammetta Borsellino con cento detenuti del carcere di Secondigliano. La figlia del giudice ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992, è stata invitata dalla Comunità di Sant’Egidio, ed è stata per due ore a tu per tu con i reclusi per una volta protagonisti e non relegati nelle retrovie come invece avviene in tante manifestazioni che si svolgono dentro le mura dei penitenziari.
Fiammetta subito rompe il ghiaccio e previene una delle domande più scontate: “Io sono qui perché credo nel cambiamento. Alimentare la rabbia è un atteggiamento sterile e non fa resuscitare i morti”.
Fin dalle prime battute emerge il clima che si respirava a casa Borsellino, una famiglia unita che ha condiviso la scelta di vita del giudice con tutte le complicazioni di una esistenza blindata.
Poi comincia a raccontare del padre, cresciuto nel quartiere popolare della Kalsa, con il desiderio di liberare la sua terra dall’oppressione della criminalità mafiosa, il dolore di vedere la “Sicilia bedda” diventare la più grande raffineria di droga dell’Italia, e l’ossessione per la marea di giovani uccisi dalla mafia ma anche dall’eroina.
Spesso si recava nelle scuole assieme a Rocco Chinnici per spiegare ai ragazzi come la cultura intesa come passione e competenza potesse contrapporsi alla mentalità mafiosa, la bellezza opposta alla morte.
Quando si passa alle domande il discorso si fa più intimo.
Qualcuno le chiede come abbia vissuto da adolescente la condizione di una vita blindata, un altro detenuto vuol sapere di quando in Indonesia apprese la morte del padre.
Claudio, invece, fa una profonda riflessione e dice che a volte si diventa involontariamente parte dalla storia. Poi chiede quanto sia stato pesante per lei far parte in questo modo così doloroso della storia.
Fiammetta Borsellino non si sottrae e risponde a tutte le domande lasciando intravedere anche qualche vena di commozione. Racconta che quando andava a scuola aveva vergogna di essere accompagnata dalla scorta e per non farsi vedere scendeva dalla macchina blindata qualche isolato prima di arrivare all’ingresso dell’edificio scolastico.
Poi quando seppe della morte del padre ricorda che stava su di un’isola sconosciuta, con persone che non erano familiari e non poté esprimere il suo dolore. Ha parole di grande affetto per la sorella: “Non ho vissuto quello che ha vissuto Lucia, la forza che lei ha avuto probabilmente io non l’avrei avuta”.
Quando qualcuno chiede delle figure femminili della sua famiglia, con la madre chiusa in un silenzio assordante e la zia Rita che ha sempre testimoniato con forza la vicenda del fratello, Fiammetta inaspettatamente parla della nonna che ebbe il coraggio di attraversare le fiamme in via D’Amelio e fece piantare un ulivo, segno di vita, nel posto dove era stata collocata la bomba.
Un albero forte, con radici robuste che oggi è cresciuto ed è ammirato da tutti quelli che vengono in pellegrinaggio sul luogo della strage.
Uno scroscio di applausi si leva spontaneo tra il pubblico dei detenuti che si avvicinano numerosi al microfono per fare altre domande, mentre qualcuno consegna timidamente delle lettere.
Francesco, il più giovane degli ospiti di Secondigliano, con la voce rotta dall’emozione, legge la sua: “questa per me è la prima volta che provo tanta difficoltà a scrivere ed esprimere quello che provo pur sapendo cosa è successo a suo padre…. Vederla sorridere dopo tutto quello che ha passato insieme alla sua famiglia riempie il cuore di gioia.
Sono davvero felice di averla conosciuta, porterò per sempre con me questo bellissimo giorno e la ringrazio per aver scelto di stare con noi”.
A chi gli chiede se Paolo Borsellino avesse mai pensato di lasciare il lavoro per proteggere i suoi cari, lei risponde che la sua famiglia era più larga, era tutta una società che aspettava anche da lui una risposta di salvezza.
Sono state davvero tante e profonde le domande che hanno posto i detenuti. Forse quello che emerge è che far incontrare con il mondo esterno, con il dolore di chi ha sofferto tanto male, può essere una strada per indurre a revisioni radicali, ed incidere anche sui cuori più induriti.
L’incontro di Fiammetta Borsellino con i detenuti è stato un gesto di riconciliazione e di umanizzazione molto importante non solo per chi vive recluso in carcere, ma anche per noi che ne siamo fuori e che tanto spesso restiamo prigionieri della logica del rancore e della vendetta.
Nel carcere di Secondigliano a Napoli, un incontro tra i detenuti e la figlia del giudice Paolo Borsellino
Lunedì 10 marzo, nel carcere di Secondigliano a Napoli, si è tenuto un incontro tra i detenuti e Fiammetta Borsellino, figlia del giudice Paolo Borsellino, ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992 a Palermo.
Due ore di colloquio, un dialogo intenso e a tratti commovente, tra la figlia del giudice e i detenuti. Fiammetta Borsellino, raccontando la storia della sua famiglia – il padre era cresciuto nei quartieri popolari della Kalsa di Palermo, in un’epoca in cui la Sicilia era diventata un grosso centro del traffico di droga – ha richiamato la convinzione del padre, che la cultura potesse contrastare la mentalità mafiosa.
Ed è quello che la Comunità di Sant’Egidio promuove nelle carceri, non solo in Campania, ma ovunque: offrire a chi è detenuto occasioni di allargare lo sguardo “oltre il muro” e costruire insieme una cultura di pace.
L’incontro, realizzato alla vigilia della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, che si celebra il 21 marzo, è stato un momento importante per contrastare la logica del rancore e della vendetta, ancora purtroppo tanto viva non solo per chi vive recluso in carcere, ed ha rappresentato un gesto di riconciliazione e di umanizzazione. SANT’EGIDIO
Sempre più decessi e morti sospette nelle carceri italiane