Tra verbali monchi, ricordi inevitabilmente sfocati dal tempo e le solite piste suggestive rimesse in circolo come un disco rotto, si alimenta quella che sembra una vera e propria strategia della confusione. Una nebbia fitta che rischia di disorientare anche l’attuale commissione Antimafia. Al centro c’è l’incontro che Paolo Borsellino volle avere — lontano dalla Procura di Palermo — con gli ex ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno. Che quell’incontro ci sia stato non è in discussione. Lo confermano i protagonisti stessi, lo ricorda l’allora maresciallo Carmelo Canale che lo organizzò, e lo conferma anche il dottor Stefano Manduzio, all’epoca Pm ad Agrigento e oggi giudice a Venezia.
Il problema è come lo si è raccontato: si è fatto passare che quell’incontro ruotasse attorno al cosiddetto “Corvo 2”, una lettera anonima costruita per depistare, mescolando elementi reali a invenzioni grottesche. Una lettura che poggia su alcune dichiarazioni dello stesso Canale, ma scaturite dalla mancata contestazione dei pm di allora.
Andiamo con ordine. In un recente articolo pubblicato su Stampa Libera, l’avvocato Fabio Repici, legale di Salvatore Borsellino, ha contestato alcuni passaggi della memoria depositata dagli ex Ros.
In particolare, si concentra sul punto in cui gli ex ufficiali lo accusano di aver riferito un dato non corrispondente al vero in commissione Antimafia.
In particolare, si concentra sul punto in cui gli ex ufficiali lo accusano di aver riferito un dato non corrispondente al vero in commissione Antimafia.
Secondo Repici, l’incontro riservato tra Paolo Borsellino e gli ufficiali del Ros non riguardava il dossier mafia- appalti, ma la vicenda del “Corvo 2”.
Negli ultimi anni, si è fatta strada una ricostruzione che, seppur in netto contrasto con quanto stabilito nelle sentenze definitive sulla strage di via D’Amelio, ha preso piede: Borsellino avrebbe incontrato i Ros perché li sospettava — in particolare De Donno — di essere coinvolti nella diffusione della lettera anonima. Quindi, secondo questa lettura, l’incontro serviva a smascherare un loro presunto depistaggio.
Negli ultimi anni, si è fatta strada una ricostruzione che, seppur in netto contrasto con quanto stabilito nelle sentenze definitive sulla strage di via D’Amelio, ha preso piede: Borsellino avrebbe incontrato i Ros perché li sospettava — in particolare De Donno — di essere coinvolti nella diffusione della lettera anonima. Quindi, secondo questa lettura, l’incontro serviva a smascherare un loro presunto depistaggio.
Ma qui il castello si sgretola.
Perché se davvero Mori e De Donno fossero stati dei depistatori o peggio ancora delle “menti raffinatissime”, il lavoro lo avrebbero fatto un po’ meglio. Invece, la memoria che hanno depositato in Commissione ha peccato di approssimazione e confusione. Non aiuta nemmeno l’onorevole Maurizio Gasparri, membro della commissione Antimafia, che ha esaltato in maniera esagerata la loro ricostruzione, definendola “puntigliosa”.
Perché se davvero Mori e De Donno fossero stati dei depistatori o peggio ancora delle “menti raffinatissime”, il lavoro lo avrebbero fatto un po’ meglio. Invece, la memoria che hanno depositato in Commissione ha peccato di approssimazione e confusione. Non aiuta nemmeno l’onorevole Maurizio Gasparri, membro della commissione Antimafia, che ha esaltato in maniera esagerata la loro ricostruzione, definendola “puntigliosa”.
La verità è che l’unico lavoro davvero puntiglioso — nel senso serio del termine — è la memoria depositata dall’avvocato Fabio Trizzino, legale dei figli di Paolo Borsellino. Una memoria meticolosa e, paradossalmente, è persino più severa nei confronti degli allora pm titolari del fascicolo su mafia- appalti rispetto a quella presentata dagli ex Ros. E infatti, a oggi, nessuna controrelazione è stata depositata dal Movimento Cinque Stelle.
In questo contesto, è chiaro che l’avvocato Repici abbia avuto gioco facile nell’attaccare la memoria dei Ros. Ma la questione è più profonda. In questi decenni si sono accumulati troppi errori, da tutte le parti.
Nessuno escluso. È vero che Repici richiama il verbale del 2012 in cui Canale dice qualcosa che non combacia con quanto scritto nella memoria degli ex ufficiali né con le sentenze. Ma il punto è che quella contraddizione non fu mai contestata dai pm, né in quella sede, né nel processo Mori- Obinu. Né dai magistrati, né dagli avvocati.
Non si può certo scaricare la responsabilità su Canale. A distanza di anni, nessuno può avere una memoria limpida. Nessuno.
Nessuno escluso. È vero che Repici richiama il verbale del 2012 in cui Canale dice qualcosa che non combacia con quanto scritto nella memoria degli ex ufficiali né con le sentenze. Ma il punto è che quella contraddizione non fu mai contestata dai pm, né in quella sede, né nel processo Mori- Obinu. Né dai magistrati, né dagli avvocati.
Non si può certo scaricare la responsabilità su Canale. A distanza di anni, nessuno può avere una memoria limpida. Nessuno.
Basterebbe ascoltare le recenti audizioni dei magistrati in commissione Antimafia per capire che affidarsi ai ricordi, oggi, non ha più senso. Oppure, giusto per fare un esempio tra tutti, pensiamo all’ex magistrato Giuseppe Ayala. Ancora oggi cambia versione sul tema della borsa di Paolo Borsellino. Non ricorda chi fosse il collega accanto a lui giunti entrambi a pochissimi minuti dalla strage, non si capisce se l’abbiano aperta o meno e a chi l’abbia consegnata. Eppure, basterebbe rileggere il verbale del 1992.
In un processo, lo disse chiaramente: “ho raccontato tutto allora”. Basta ripartire da lì. Da quei verbali. Da quelle carte. Magari, come consiglio non richiesto, potrebbe essere interessante se proprio l’avvocato Repici si incaricasse di recuperarli. Infatti, scopriamo da lui stesso, che ha il verbale del 1992 dove De Donno racconta ai magistrati nisseni di allora dell’incontro riservato con Borsellino dove si discusse anche dell’indagine mafia-appalti.
In un processo, lo disse chiaramente: “ho raccontato tutto allora”. Basta ripartire da lì. Da quei verbali. Da quelle carte. Magari, come consiglio non richiesto, potrebbe essere interessante se proprio l’avvocato Repici si incaricasse di recuperarli. Infatti, scopriamo da lui stesso, che ha il verbale del 1992 dove De Donno racconta ai magistrati nisseni di allora dell’incontro riservato con Borsellino dove si discusse anche dell’indagine mafia-appalti.
Per amore di verità, vale la pena riesumare la fonte primaria: l’audizione dell’allora maresciallo Carmelo Canale al processo Borsellino bis, datata 24 marzo 1998. Una data non da poco. La memoria, a distanza di soli sei anni dai fatti, era decisamente più lucida. E soprattutto Canale fu molto preciso nel ricostruire la vicenda della lettera anonima.
Ricostruisce così il retroscena: rispolverata la questione mafia- appalti, in Procura aveva iniziato a circolare la voce — senza alcun riscontro — che il capitano De Donno avesse preparato un anonimo indirizzato a un magistrato di Catania (Felice Lima), con l’obiettivo di spostare l’indagine mafia- appalti da Palermo alla città etnea.
Allarmato da quel pettegolezzo, Borsellino lo giudicò “calunnioso” e chiese un incontro riservato, lontano dai colleghi che misero in giro la delegittimazione, con il colonnello Mori e lo stesso De Donno. Spetta allora a Canale organizzare tutto: avvisa il suo comandante, convoca Mori nella sezione Anticrimine e fa giungere anche De Donno; poi scorta Borsellino — a bordo della propria auto blindata — fino alla caserma. Il giudice resta con i due ufficiali per una decina, quindici minuti. Quindi Canale riaccompagna Borsellino in Procura.
Allarmato da quel pettegolezzo, Borsellino lo giudicò “calunnioso” e chiese un incontro riservato, lontano dai colleghi che misero in giro la delegittimazione, con il colonnello Mori e lo stesso De Donno. Spetta allora a Canale organizzare tutto: avvisa il suo comandante, convoca Mori nella sezione Anticrimine e fa giungere anche De Donno; poi scorta Borsellino — a bordo della propria auto blindata — fino alla caserma. Il giudice resta con i due ufficiali per una decina, quindici minuti. Quindi Canale riaccompagna Borsellino in Procura.
Questa audizione conferma che quell’incontro non aveva nulla a che vedere con il “Corvo 2”.
Il vero focus era l’indagine controversa scaturita dal dossier mafia- appalti. Come si legge nell’ordinanza della gip Gilda Loforti, il geometra Giuseppe Li Pera – uno dei sette destinatari dell’avviso di garanzia emesso dalla Procura di Palermo – avviò una collaborazione con la Procura di Catania, in particolare con il sostituto procuratore Felice Lima, dopo che il Ros di Palermo aveva trasmesso un anonimo che citeva Li Pera sul presunto raggiro di un appalto nel Catanese.
Il vero focus era l’indagine controversa scaturita dal dossier mafia- appalti. Come si legge nell’ordinanza della gip Gilda Loforti, il geometra Giuseppe Li Pera – uno dei sette destinatari dell’avviso di garanzia emesso dalla Procura di Palermo – avviò una collaborazione con la Procura di Catania, in particolare con il sostituto procuratore Felice Lima, dopo che il Ros di Palermo aveva trasmesso un anonimo che citeva Li Pera sul presunto raggiro di un appalto nel Catanese.
L’inchiesta scaturita da quella missiva sollevò dubbi sul comportamento di De Donno e acuì i contrasti tra le due procure: si arrivò a un’ispezione ministeriale, a un procedimento penale e a un’inchiesta disciplinare nei suoi confronti, conclusi poi tutti a suo favore.
Per completezza, la gip sottolinea che la Procura di Palermo fu informata in tempo reale: la nota del Ros del 6 maggio 1992, timbrata “per ricevuta” dal dottor Lo Forte il 12 maggio, attesta che l’anonimo era già stato inviato a Catania il 3 maggio, dimostrando che l’Autorità giudiziaria palermitana era al corrente della vicenda.
Per completezza, la gip sottolinea che la Procura di Palermo fu informata in tempo reale: la nota del Ros del 6 maggio 1992, timbrata “per ricevuta” dal dottor Lo Forte il 12 maggio, attesta che l’anonimo era già stato inviato a Catania il 3 maggio, dimostrando che l’Autorità giudiziaria palermitana era al corrente della vicenda.
Ed è proprio a quell’anonimo che fa riferimento Canale. Il “Corvo 2” non c’entra: quell’incontro in caserma riguardava il dossier mafia- appalti. Borsellino vi rimase focalizzato fino agli ultimi giorni – basti pensare all’ultima riunione del 14 luglio 1992.
Intervistato da Luca Rossi il 2 luglio 1992, il giudice ipotizzò un nesso tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Giovanni Falcone, suggerendo che il vero trait d’union fosse proprio la questione appalti, in cui Lima era rimasto coinvolto e che Falcone stava studiando. Per dissipare la nebbia della memoria serve più carta che pettegolezzi: la verità ha ancora l’inchiostro dei primissimi verbali dalla sua parte. IL DUBBIO 29.5.2025
Intervistato da Luca Rossi il 2 luglio 1992, il giudice ipotizzò un nesso tra l’omicidio di Salvo Lima e quello di Giovanni Falcone, suggerendo che il vero trait d’union fosse proprio la questione appalti, in cui Lima era rimasto coinvolto e che Falcone stava studiando. Per dissipare la nebbia della memoria serve più carta che pettegolezzi: la verità ha ancora l’inchiostro dei primissimi verbali dalla sua parte. IL DUBBIO 29.5.2025
MAFIA e APPALTI dal 1992 ad oggi