Le minacce alla procuratrice che toglie i bambini alla mafia
Claudia Caramanna convince le mogli dei criminali a dare un futuro diverso ai figli, e per questo da due anni è sotto scorta
Nei giorni scorsi, tra le pagine di un fascicolo di inchiesta custodito in un ufficio del tribunale dei minori di Palermo, è stata trovata una foto di Giovanni Falcone con accanto una croce grande e tre croci più piccole disegnate a penna. C’era anche una scritta: “Caramanna”.
Il fascicolo riguarda una delle tante inchieste che la procuratrice capo del tribunale Claudia Caramanna, 57 anni, madre di tre figli (da qui le tre croci), ha avviato per togliere la responsabilità genitoriale ai capi di cosche mafiose, per allontanare i figli dalle famiglie e garantire loro un futuro diverso e migliore. È un’idea innovativa e ambiziosa, molto temuta dalla criminalità organizzata, che infatti continua a minacciare Caramanna in modo plateale.
In passato le minacce erano state anche più esplicite rispetto all’ultima. Nel 2022 Caramanna trovò una lettera anonima con minacce di morte nella cassetta delle lettere di casa. Era la prima che riceveva. Qualche tempo dopo il suo ufficio fu trovato a soqquadro.
Lo scorso agosto, sempre in un suo fascicolo, fu trovato un biglietto con un messaggio inequivocabile: «Devi smetterla di occuparti dei figli degli altri». Dopo ogni intimidazione o minaccia il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza ha disposto un’intensificazione della vigilanza: da oltre due anni Caramanna vive sotto scorta, accompagnata in ogni spostamento da quattro agenti della polizia e da due auto blindate. «Non ho più una vita», ha detto in una delle poche interviste date nell’ultimo anno.
Nel 2022, poco prima che arrivassero le prime minacce, Caramanna aveva iniziato a chiedere l’allontanamento dei figli dei mafiosi dalle famiglie per affidarli a parenti lontani, estranei alla criminalità organizzata, oppure a famiglie affidatarie e in alcuni casi a comunità per minori con percorsi di recupero gestiti dall’associazione Libera. Il primo procuratore ad adottare questo protocollo era stato Roberto Di Bella in Calabria, una decina d’anni fa. Anche lui è stato minacciato più volte dai boss della ’ndrangheta. Oggi lavora al tribunale dei minori di Catania.
In un’intervista alla Repubblica Palermo, Di Bella ha spiegato i principi del protocollo, chiamato “Liberi di scegliere”. La questione minorile, ha detto, è alla base dei fenomeni di criminalità organizzata perché tutti i boss provengono da famiglie disfunzionali o da quartieri degradati, senza politiche scolastiche e sociali di prevenzione. I ragazzi trovano nelle mafie appagamento identitario e riscatto sociale, quindi secondo Di Bella bisogna agire in anticipo, togliendo alla mafia la possibilità di individuare e allevare eredi della classe dirigente criminale.
In molti casi, inoltre, i minori vengono usati anche per compiti più semplici, come nascondere sostanze stupefacenti da spacciare, e in questo modo aiutare i genitori. Gli adulti si servono di loro perché i minori di 14 anni non sono perseguibili penalmente. Nati e cresciuti in un contesto mafioso, i minori non hanno gli strumenti per comprendere le conseguenze del loro comportamento.
I provvedimenti del tribunale, come la rimozione della responsabilità genitoriale, non sono sempre improvvisi e disposti in modo unilaterale. Nella maggior parte dei casi i procuratori incontrano più volte le mogli dei mafiosi, madri dei bambini, per capire se condividono i valori dei compagni o dei mariti in carcere. A loro danno la possibilità di offrire un’alternativa ai loro figli, mettendo in chiaro che altrimenti, molto probabilmente, seguirebbero l’esempio dei padri.
Solo quando ci sono troppe resistenze si decide di allontanare i figli dai genitori in modo unilaterale. «I giudici minorili hanno l’obbligo di intervenire in presenza di condotte genitoriali irresponsabili e che espongono i minori al rischio di carcerazione, morte, e comunque a una condizione di sofferenza», ha detto Di Bella. «Ci sono principi educativi e regole sancite dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali a tutela dell’infanzia che devono essere rispettate».
Negli anni questo approccio non ha attirato solo minacce, ma anche critiche sia di una parte della magistratura, sia del mondo accademico: Di Bella e poi Caramanna sono stati accusati di “rubare” i bambini ai genitori e di privare i minori del diritto naturale agli affetti della famiglia, in definitiva di abusare del potere della giustizia. Le critiche tuttavia non tenevano conto che le decisioni sulla decadenza della responsabilità genitoriale non sono una sanzione nei confronti delle madri e dei padri, ma un provvedimento a tutela dei figli. È il principio giuridico noto come “superiore interesse del minore”.
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Nelle ultime settimane Caramanna ha incontrato diverse compagne o mogli di uomini arrestati nell’ambito di una grande operazione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che lo scorso febbraio ha arrestato 180 persone accusate di far parte in vari modi della criminalità organizzata. Negli anni ha cercato di convincere anche le donne coinvolte nello spaccio nei quartieri più complicati della città come lo Sperone e lo Zen. In totale la procura dei minori di Palermo ha aperto 123 fascicoli per la decadenza della responsabilità genitoriale.
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Alla fine di maggio il protocollo “Liberi di scegliere” è stato approvatodall’Assemblea regionale siciliana, cioè il consiglio regionale della Sicilia. È la prima legge regionale che istituzionalizza e sostiene questo approccio.
Qualche risultato incoraggiante è già arrivato: negli anni diverse donne si sono convinte ad andare via insieme ai loro figli. Di Bella ha ricevuto messaggi di gratitudine scritti da alcuni mafiosi e un capomafia di Catania ha scelto di iniziare un percorso di collaborazione con la giustizia dopo l’intervento del tribunale sui nipoti. IL POST