Tra questi, il sottoscritto – che da anni, inizialmente in completa solitudine, indaga alla luce del sole temi rimasti nell’ombra –, il giurista stimato e specchiato Giovanni Fiandaca, il giudice Alberto Cisterna, ex numero due della lotta alla mafia e l’avvocato Basilio Milio, noto per la sua approfondita ricerca documentale.

Eppure, contrariamente al ritratto di Mori come se fosse un uomo dei “poteri forti”, nessuno di loro ha mai assunto l’incarico. Io ho rifiutato, Fiandaca ha mantenuto un atteggiamento critico nei confronti della commissione e alla fine nessuna delle presunte proposte di Mori ha trovato luce. Il dottor Cisterna è consulente non per merito di Mori, bensì per un altro gruppo di lavoro della commissione antimafia che non ha nulla a che vedere con le stragi.

SAREI L’ISPIRATORE DEL CONFLITTO DI INTERESSI SU SCARPINATO

 

Come, d’altronde, era già stato anticipato su Il Dubbio e poi da Il Fatto Quotidiano, un presunto investigatore – rappresentato a Report da un attore nella finta intervista di Paolo Mondani, con tanto di coppola in testa – rivela il contenuto delleintercettazioni telefoniche (coperte tuttora dal segreto investigativo) tra Mori e il sottoscritto, in cui praticamente avrei suggerito di sollevare il senatore pentastellato Roberto Scarpinato dalla commissione Antimafia. Come già spiegato e riportato, si tratta di una mia nota opinione espressa in diversi articoli.

 

D’altronde, è evidente che fin dall’inizio ci fosse una questione di opportunità, emersa puntualmente fin dalla prima audizione dell’avvocato Fabio Trizzino e di Lucia Borsellino, quando si creò uno scontro tra il legale e lo stesso Scarpinato.
Scontro inevitabile non solo per la questione, tuttora non chiarita, del procedimento del dossier mafia-appalti durante il biennio 1991-’92, ma anche perché lo stesso senatore pentastellato è testimone e tuttora custode di un segreto che gli avrebbe confidato Paolo Borsellino.
Ad oggi, a parte la ricostruzione fatta dal giudice Pellino nella sentenza d’appello sullatrattativa, che riconduce a fatti collegati al dossier, non conosciamo dal diretto interessato le parole riferite dal giudice massacrato in via D’Amelio.
Che io sia l’ispiratore e che quindi abbia avuto addirittura un’influenza in Parlamento è talmente esilarante da mettere in luce la mancanza totale di senso del ridicolo in una trasmissione che dovrebbe fare giornalismo d’inchiesta.
Il conflitto d’interessi viene sollevato proprio dopo le audizioni di Fabio Trizzino, ma l’annuncio di modifica della legge istitutiva della commissione – per contrastare conflitti di interesse che coinvolgano uno o più componenti – nasce quando spuntano le intercettazioni in cui, secondo quanto riportato da La Verità, il senatore Scarpinato avrebbe concordato domande e risposte con l’ex collega Gioacchino Natoli, in occasione di una sua audizione per rispondere alle “accuse” di Trizzino sull’archiviazione e la distruzione dei brogliacci riguardanti un procedimento scaturito da una nota inviata allora dalla Procura di Massa Carrara.
Parliamo in particolar modo di Antonino Buscemi, braccio destro di Totò Riina, che era in società con il colosso Ferruzzi-Gardini: inchiesta che, come lo stesso Scarpinato ammette nella contro-relazione del M5S, sarebbe dovuta confluire nel procedimento mafia-appalti di allora. Ebbene, tali intercettazioni tra Scarpinato e Natoli hanno portato appunto alla proposta di legge. Questo per far comprendere che non c’è alcun nesso tra la mia opinione espressa a Mori nel 2023 e quella iniziativa.
Ovviamente non è credibile quanto riportato da La Verità. Una persona seria come Scarpinato non può aver aiutato Natoli a preparare le risposte. Non è credibile quella frase “Tu mi alzi la palla e io la schiaccio” che sarebbe stata detta tra i due. Come insegna lo stesso senatore, ciò sarebbe un atto eversivo: dall’interno delle istituzione – e non dall’esterno – si orienterebbe l’andamento di un’indagine della commissione.

LA CONCEZIONE DEI DEM SU MAFIA APPALTI

Purtroppo, ancora una volta, dalle interviste messe in onda da Report risulta che i commissari del Partito democratico non abbiano compreso a fondo la strategia stragista di Cosa Nostra. Al netto delle tesi stravecchie, smentite e poi riproposte tanto in ambito mediatico quanto nelle precedenti commissioni Antimafia, resta invece da leggere e far propria la lezione di Giovanni Falcone.

Cosa Nostra agisce tramite delitti che lo stesso giudice definisce di “terzo livello”, necessari a salvare l’organizzazione. Quando un politico con ruoli di rilievo nell’amministrazione pubblica rifiuta di sottostare al diktat mafioso o si rende “inavvicinabile”, la mafia è “costretta” a eliminarlo. Il primo delitto eccellente, quello di Michele Reina, scattò proprio perché aveva deciso di non valorizzare gli appalti riconducibili alla mafia. Fu ucciso e subito rivendicarono tramite una sigla terroristica di estrema sinistra. Col tempo la mafia ha cambiato le etichette: dai Nar alle Brigate Rosse, fino alla cosiddetta “Falange Armata”.

Nel 1991, quando il governo Andreotti – con l’ausilio di Falcone – dichiarò guerra ai corleonesi tramite leggi durissime, Totò Riina deliberò la strategia mafioso-terroristica, includendo persino le stragi sul continente. Giovanni Falcone, come ricordano tutte le sentenze, divenne ancora più pericoloso quando annunciò che, tramite la Procura Nazionale Antimafia, avrebbe coordinato le indagini su tutti gli appalti pubblici illeciti, dove non sfuggivano dall’illecito nemmeno le grandi imprese del Nord.

“Questo ci vuole consumare tutti”, affermarono sia Buscemi sia Pino Lipari (personaggi indicati da mafia-appalti), secondo quanto riferito da Angelo Siino. Dalle sentenze di Capaci e di via D’Amelio fino a quella d’appello sulla trattativa, emerge che Cosa Nostra e l’intero mondo politico-imprenditoriale in affari si misero in allarme. Il pentito Antonino Giuffrè addirittura dichiarò che Paolo Borsellino, sul fronte “mafia-appalti”, era diventato ancora più “pericoloso” di Falcone. Dai documenti trovati nel suo ufficio scopriamo che stava ricostruendo ogni filo.

Appena uscito nelle librerie, il libro di Vincenzo Ceruso “Paolo Borsellino. La toga, la fede, il coraggio” (edizioni San Paolo) con un documento inedito, racconta che tra la strage di via D’Amelio e quelle continentali, tutto il gotha di Cosa Nostra si riunì per discutere degli appalti. Interessa approfondire?

LA PISTA NERA RIMANE UNA BUFALA

 

Per concludere, al termine della trasmissione Sigfrido Ranucci ridicolizza l’articolo di Il Dubbio che smentisce la pista nera. Da allora nulla è cambiato: i personaggi riproposti nel servizio sono stati rinviati a giudizio dalla Procura nissena e il documento che proverebbe la presenza di Stefano Delle Chiaie a Capaci è stato cestinato per la sua totale mancanza di valore probatorio.

La grande “novità” di Report consiste nell’apprendere che un giornalista siciliano si ricorda – forse – di aver visto Delle Chiaie a Palermo nel marzo 1992. Era il periodo elettorale, ed è noto che si adoperasse per il progetto politico – totalmente fallimentare – delle Leghe del Sud. Ma anche se fosse stato davvero a Palermo in quel periodo, cosa dimostrerebbe? Che avrebbe partecipato all’esecuzione della strage di Capaci? Sono sicuro che nemmeno Ranucci ci creda sul serio.