In Rai è partita l’operazione “Sigfrido”, la battaglia finale per far calare il silenzio sul dossier “Mafia e appalti” dei carabinieri del Ros dei carabinieriche, secondo ben quattro sentenze, avrebbe accelerato la morte del giudice Paolo Borsellino.
Con una operazione che non ha molti precedenti nella storia del giornalismo italiano, la trasmissione Report di Rai3 condotta da Sigfrido Ranucci si è resa responsabile del reato di violazione del segreto d’ufficio pur di far saltare la Commissione parlamentare antimafia, presieduta daChiara Colosimo (FdI), che a distanza di trent’anni dai fatti ha deciso di far luce sulle cause che determinarono la morte di Borsellino nella strage di via D’Amelio.
Paolo Mondani, giornalista investigativo di Report, nell’ultima puntata ha intervistato un anonimo “investigatore” che gli ha rivelato il contenuto di alcune conversazioni del generale Mario Mori, intercettato lo scorso anno nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sull’attento di via dei Georgofili del 1993.
Il fascicolo, attualmente pendente, è stato aperto dai pm Luca Turco e Luca Tescaroli, il primo adesso in pensione per raggiunti limiti di età, il secondo promosso dal Consiglio superiore della magistratura a procuratore di Prato. L’inchiesta, come detto, è in corso e quindi tutti gli atti d’indagine, ad iniziare dalle intercettazioni, sono coperti dal segreto.
Secondo l’anonimo investigatore, Mori avrebbe cercato di “condizionare” la Commissione antimafia per spingere la propria tesi.
Il condizionamento si sarebbe realizzato nel far nominare dei consulenti di propria fiducia a Palazzo San Macuto.
I nomi indicati da Mori erano il professor Giovanni Fiandaca, l’ex magistrato antimafia Alberto Cisterna, l’avvocato Basilio Milio, ed il giornalista del Dubbio Damiano Aliprandi. Il “condizionamento”di Mori non è però approdato a nulla in quanto i quattro, ognuno per vari motivi, hanno rifiutato la proposta di Mori.
A cosa è servita allora l’operazione Sigfrido, ampiamente preannunciata il giorno primo dal Fatto Quotidiano? Molto semplice: alla delegittimazione di tutti i soggetti auditi in questi mesi dalla Commissione antimafia, ad iniziare dall’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino.
Si tratta di testimonianze che hanno fornito per la prima volta elementi obiettivi che contrastano con la ricostruzione propugnata dal senatore pentastellato Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo, il quale si trova in un gigantesco conflitto d’interesse. La Commissione, infatti, dovrebbe far luce su fatti per i quali Scarpinato da magistrato ha svolto le indagini.
Il reato di rivelazione del segreto d’ufficio è perseguibile d’ufficio e non serve una denuncia.
La procura di Genova, competente per i reati commessi dai magistrati fiorentini, deve quindi aprire quanto prima un fascicolo.
Trattandosi di una inchiesta in corso, gli ascolti sono infatti nella esclusiva disponibilità dei pm fiorentini o della polizia giudiziaria, in questo caso degli uomini della Dia che hanno proceduto materialmente agli ascolti.
Da parte dei vertici della Dia non si segnalano al momento delle smentite che sarebbero invece quanto mai opportune per fugare ogni sospetto. L’operazione “Sigfrido”, comunque, ha anche un altro obiettivo: rivangare la “pista nera” dietro le stragi del 1992.
Il teorema secondo cui la mafia in quel periodo avrebbe stretto accordi con l’eversione di destra e con appartenenti ai Servizi segreti deviati, tutti interessati a destabilizzare il Paese, frenando l’avanzata del Pci, per poi dare il via ad una svolta reazionaria con la sospensione delle garanzie costituzionali.
Al centro di questo piano ci sarebbe stato il neo fascista Stefano Delle Chiaie, fra i fondatori di Avanguardia nazionale. La trasmissione di Rai3 diretta da Sigfrido da sempre cavalca questo teoremasuggestivo, arrivando a dare credibilità alle dichiarazioni di una donna, Maria Romeo, ex compagna di Alberto Lo Cicero, l’autista di Totò Riina.
Secondo la testimonianza della donna, Lo Cicero avrebbe raccontato a Borsellino che Delle Chiaie aveva fatto un sopralluogo a Capaci dove poi venne messo il tritolo per uccidere Giovanni Falcone.
Affermazioni smentite dagli stessi magistrati in quanto, come era poi emerso, Lo Cicero non è stato mai un affiliato a Cosa Nostra ma si era spacciato per tale pur di ottenere lo status di collaboratore di giustizia con i relativi benefici. Per Report, invece, Lo Cicero sarebbe stato a conoscenza dell’intera fase esecutiva della strage tanto da aver individuato la presenza attiva di Delle Chiaie a Palermo nei giorni precedenti la strage con la super visione di Riina.
In una delle ultime puntate di Report è anche spuntato il verbale del pentito Gioacchino La Barbera, uno dei partecipanti alla fase operativa della strage di Capaci.
Si tratta del “colloquio investigativo” con l’allora magistrato della Procura nazionale Gianfranco Donadio. La Barbera gli avrebbe riferito che degli “estranei” a Cosa nostra avevano supervisionato la preparazione dell’attentato.
Donadio, va ricordato, era stato denunciato dalle Procure di Catania e Caltanissetta per le modalità di conduzione delle indagini: dopo che i pentiti parlavano con lui, all’improvviso iniziavano a “ricordare” nuovi dettagli.
E ieri è arrivata la solidarietà del Comitato di redazione del Dubbio ad Aliprandi che, con il suo lavoro, “ha sempre dimostrato una dedizione esemplare alla verità, affrontando temi complessi e delicati con professionalità, imparzialità e coraggio, caratteristiche che lo rendono uno dei giornalisti più seri e competenti nel panorama attuale”. “In un periodo in cui la disinformazione e la superficialità rischiano di minare la fiducia del pubblico nei media, Report ha scelto di adottare un approccio ambiguo e fuorviante, tracciando un quadro che, senza mai formulare accuse esplicite, lascia intendere la possibilità di un coinvolgimento del nostro collega in attività poco chiare, in un contesto delicato come quello delle indagini sulle stragi di mafia. Nulla, però, supporta tali insinuazioni”, sottolinea la nota. Paolo Comi l’UNITÀ 25.6.2025
Antimafia e Mario Mori, così rispondo a Report e alla sua “fonte autorevole”