I militari e i magistrati della procura nissena, diretta da Salvatore De Luca, indagano da più di due anni sull’insabbiamento di un fascicolo d’inchiesta riguardante le infiltrazioni di Cosa nostra nelle aziende del Gruppo Ferruzzi.
Sotto inchiesta per favoreggiamento ci sono gli ex sostituti procuratori Gioacchino Natoli e Giuseppe Pignatone, ma anche il generale della Guardia di finanza Stefano Screpanti.
Secondo l’accusa, magistrati e investigatori avrebbero consapevolmente ignorato quanto emergeva dalle intercettazioni.
Da una parte gli affari degli imprenditori mafiosi Buscemi, dall’altra il tentativo di aggiustamento di un processo per omicidio riguardante il capomafia Franco Bonura grazie all’esponente politico democristiano Ernesto Di Fresco.

Natoli ha sempre sostenuto di non averne saputo nulla, “perchè dalle intercettazioni non emergeva elementi rilevanti”. Invece, adesso, si scopre che nei brogliacci, contenuti in quattro buste sigillate, erano segnati vari spunti di indagine.
Ed è un giallo, perché mesi fa i finanzieri del comando provinciale nisseno diretti dal colonnello Stefano Gesuelliri ritrovarono anche una nota dell’allora capitano Screpanti, in cui si parlava delle perplessità dei magistrati su questa indagine.

Nei mesi scorsi, Natoli aveva depositato delle memorie difensive. Ieri, l’ex presidente della corte d’appello di Palermo è stato ascoltato per dodici ore dai magistrati di Caltanissetta. E ha ribadito la correttezza del suo operato. Natoli è difeso dagli avvocati Fabrizio Biondo, Ninni Reina ed Ettore Zanoni.

Secondo l’accusa l’ex pm, “istigato dall’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco”, avrebbe aiutato i mafiosi Antonino Buscemi e Francesco Bonura, l’imprenditore e politico Ernesto Di Fresco e gli imprenditori Raoul Gardini, Lorenzo Panzavolta e Giovanni Bini (gli ultimi tre al vertice del Gruppo Ferruzzi) ad eludere le indagini.
In particolare al magistrato viene contestato di aver svolto, nell’ambito del procedimento 3589/1991 aperto a Palermo dopo l’invio delle carte da Massa Carrara su presunte infiltrazioni mafiose nelle cave toscane, una “indagine apparente”, “richiedendo, tra l’altro, l’autorizzazione a disporre attività di intercettazione telefonica per un brevissimo lasso temporale (inferiore ai 40 giorni per la quasi totalità dei target) e solo per una parte delle utenze da sottoporre necessariamente a captazione, per assicurare un sufficiente livello di efficienza delle indagini” e di aver disposto, “d’intesa con l’ufficiale della Guardia di Finanza Screpanti che provvedeva in tal senso, che non venissero trascritte conversazioni particolarmente rilevanti, da considerarsi vere e proprie autonome notizie di reato, dalle quali emergeva la messa a disposizione di Di Fresco in favore di Bonura, nonché una concreta ipotesi di aggiustamento, mediante interessamento del Di Fresco stesso, del processo pendente innanzi alla Corte d’Assise di Appello di Palermo, sempre a carico di Bonura per un duplice omicidio”.

SALVO PALAZZOLO LA REPUBBLICA 5.7.2025