QUELLA INFUOCATA RIUNIONE DEL 14 LUGLIO 1992

 LE AMNESIE DEL GIUDICE GUIDO LO FORTE

Mafia e Appalti’, la vera pista che ha portato alle stragi di Capaci e via D’Amelio, regolarmente ‘oscurata’ dal mainstream e da tante toghe eccellenti che hanno voluto puntare i riflettori solo sulla ‘Trattativa Stato-Mafia’, finita in flop.
Tre mesi fa un colpo di scena: la procura di Caltanissetta, dopo oltre trent’anni, decide di riaprire quell’inchiesta che con ogni probabilità è costata la vita a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Sono già stati ascoltati i primi testi, tra cui l’allora capitano Giuseppe De Donno, il braccio destro di Mario Mori, il comandante del ROS dei carabinieri che confezionarono quelle 890 pagine bollenti in cui veniva dettagliata, per filo e per segno, la grande rete di collusioni tra imprese-mafia-politica.
Una autentica Tangentopoli ante-litteram, visto che coinvolgeva grandi imprese del Nord (un esempio per tutti, il gruppo Ferruzzi), pezzi da novanta di Cosa nostra e grossi politici di livello regionale e nazionale.
Tra i maxi lavori pubblici nel mirino di clan e colletti bianchi, in pole position quelli per l’Alta Velocità. Su quelle carte lavorarono per mesi e mesi Falcone e Borsellino, prima di essere trucidati.
Emblematiche le parole dette da Borsellino alla moglie Agnese pochi giorni prima della strage di via D’Amelio: “Ho capito tutto della morte di Giovanni. Se mi fanno arrivare fino in fondo…”.

QUELLA INFUOCATA RIUNIONE DEL 14 LUGLIO

Il 14 luglio 1992, cinque giorni prima del tritolo di via D’Amelio, si svolse a Palermo – convocata dall’allora procuratore capo Pietro Giammanco – una infuocata riunione.
Solo poche settimane fa il CSM ha reso noti i verbali di quella riunione (che pure non erano secretati), con gli interventi di tutti i magistrati che vi presero parte.

Vi si trova la conferma di un fatto gravissimo: era stata appena chiesta, il giorno prima, dai pm Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, l’archiviazione di quell’inchiesta bollente, che per Borsellino rappresentava il vero movente della strage di Capaci.    Ma – fatto ancor più grave – la notizia di quella richiesta era stata tenuta ‘nascosta’ a Borsellino perfino nel corso di quella riunione. Ed il sigillo ufficiale dell’archiviazione avverrà addirittura il giorno prima di ferragosto, il 14 agosto, firmata dal gip Sergio La Commare.

Ai confini della realtà

Significativa, tra le altre, l’audizione avvenuta il 29 luglio 1992 davanti al CSM di un pm in servizio all’epoca alla procura di Palermo, Domenico Gozzo. In essa emerge quel ‘clima avvelenato’ di cui spesso ha parlato Borsellino.

Sul nodo ‘Mafia e Appalti’ così verbalizzò Gozzo proprio a proposito di quella riunione alla procura di Palermo.

“Su ‘mafia e appalti’ c’era il collega Pignatone (se non ricordo male) e doveva esserci anche il collega Scarpinato che però non potè venire per problemi di famiglia. Ho visto proprio questo contrasto più che latente, perché proprio Borsellino chiese e ottenne che fosse rinviata, perché al momento aveva dei problemi, la discussione su questo processo e fece degli appunti molto precisi: come mai non fossero state inserite all’interno del processo determinate carte che erano state mandate. Fece queste affermazioni: come mai non fossero contenute queste carte all’interno del processo… si trattava di carte che erano state inviate alla procura di Marsala – e nella fattispecie al collega Ingroia, che adesso è anche lui alla Procura di Palermo – che era lo stesso processo però a Marsala”. Continua Gozzo: “C’erano degli sviluppi e, quindi, erano stati mandati a Palermo e lui si chiedeva come mai non fosse stata seguita la stessa linea e, poi, diceva che c’erano dei nuovi sviluppi (in particolare un pentito che ultimamente aveva parlato), e sono rimasto sorpreso perché dall’altra parte si rispose: ‘ma vedremo’. Cioè, di fronte ad una affermazione così importante la risposta è ‘ma vedremo, se è possibile…’”.

LA ‘COSTOLA’ DI ‘MAFIA E APPALTI’, PANTELLERIA  

Il riferimento è ad una significativa ‘costola’ dell’inchiesta ‘Mafia e Appalti’ e che riguarda grossi lavori e commesse pubbliche nell’isola di Pantelleria. La stava portando avanti lo stesso Borsellino, in quei mesi ancora impegnato fifty fifty tra la procura di Marsala (dove aveva lavorato fino a quel momento) e quella di Palermo (alla quale si stava trasferendo). E seguiva, quindi, ancora quell’inchiesta di Pantelleria, per la quale aveva proceduto a ben 15 arresti di pezzi grossi della politica e dell’imprenditoria. Tra i papaveri coinvolti, il grosso imprenditore Giuseppe Bulgarella. Scrive Attilio Bolzoni in un’inchieste per Repubblica di luglio 1991: “Da domani cominceranno gli interrogatori degli indagati, 15 tra amministratori di Pantelleria e imprenditori specializzati in opera marittime. Davanti al magistrato sfileranno subito il sindaco Aldo D’Aietti e altri tre ex primi cittadini: tutti dovranno chiarire il loro ruolo nella vicenda del porto e in quelle per altri appalti di strade, fogne, di reti idriche, di invasi in fase di costruzione nell’isola. Lavori in cantiere dal 1984, lavori in molti casi mai finiti. Ma nella storia del racket c’è anche un filone che porta alla mafia palermitana, che conduce ad Angelo Siino, uno degli imprenditori arrestati qualche giorno fa dai carabinieri in un’operazione su ‘appalti sporchi’ a Palermo e che aveva anche interessi nell’isola. Altri appalti che sono entrati nel mirino del procuratore Paolo Borsellino, altre indagini che si sviluppano sull’asse Palermo-Trapani-Pantelleria”.

LA DOPPIA ‘AMNESIA’

Facciamo un salto al processo per il Depistaggio sulla strage di via D’Amelio che si è svolto a Caltanissetta. Ecco cosa ha scritto per l’Adn Kronos Elvira Terranova: “Cinque giorni prima della strage di via D’Amelio, il giudice Paolo Borsellino partecipò a un incontro alla Procura di Palermo. In quella occasione si parlò anche dell’inchiesta ‘Mafia e Appalti’, di cui il magistrato si era occupato a lungo. ‘Ma in quell’incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l’archiviazione dell’inchiesta’. La denuncia arriva nell’aula B del tribunale di Caltanissetta dall’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino”.  E Terranova poi aggiunge: “Dalle successive dichiarazioni al CSM da parte di magistrati presenti a quella riunione, emerse che nessuno disse a Borsellino che era stata già firmata la proposta di archiviazione. E Guido Lo Forte, che la firmò, era tra i presenti”.
Lo stesso copione si ripete per la ‘costola’ d’inchiesta sugli appalti di Pantelleria. Un altro ceffone assestato a Borsellino. Perché la richiesta di archiviazione riguardava anche quegli appalti nell’isola siciliana. 
Incalzato sulla questione ‘Pantelleria’ dall’avvocato Trizzino durante il controesame al processo per il ‘Depistaggio’, Lo Forte, incredibilmente, ha affermato che Borsellino gli chiese notizie solo sulle indagini di Marsala e non su quelle di Palermo. 
Risposta assolutamente non calzante, tenuto conto che il filone di reati da 416 bis (come la posizione di Giuseppe Bulgarella), in base alla legge istitutiva della Direzione Distrettuale Antimafia, rientrava per competenza a Palermo; mentre il filone dei reati ‘minori’ rimaneva a Marsala.
La conferma dello ‘spacchettamento’ si ritrova anche in una missiva inviata il 18 febbraio 1992 “al Sig. Procuratore della Repubblica di Palermo” (ossia Lo Forte) dall’allora sostituto procuratore di Marsala, Antonio Ingroia
In sostanza: per quale motivo mai Borsellino avrebbe chiesto informazioni a Lo Forte su quanto ben conosceva, avendo prestato servizio a Marsala, istruito e seguito il caso, curato personalmente le indagini che portarono a quei 15 arresti? 
Perché, in poche parole, negare l’evidenza dei fatti, non solo sull’archiviazione di ‘Mafia e Appalti’, ma anche di una sua costola d’indagine? 
Ancora una volta calpestata la memoria del giudice ammazzato dal tritolo di via D’Amelio.
11 Ottobre 2022 di: Andrea Cinquegrani LA VOCE DELLE VOCI


27.11.2022 – La riunione sul dossier “Mafia e Appalti” e i (presunti) contrasti fra i pm

I) i sostituti Teresi, Morvillo e De Francisci dovevano relazionare sulle indagini scaturite dal rinvenimento del c.d. libro mastro dei Madonia e sul racket delle estorsioni, indagini per le quali era stato avanzato il sospetto, tra l’altro, di una colpevole inerzia che avrebbe propiziato l’omicidio di Libero Grassi;

2) il sostituto Pignatone era chiamato a relazionare sulle indagini per la cattura di grossi latitanti (avuto riguardo alle notizie di stampa che parlavano di occasioni sfumate per la cattura di Riina;

3) i sostituti Lo Forte e Scarpinato avrebbero invece dovuto relazionare sull’indagine mafia e appalti.

Quest’ultima era giunta in effetti ad uno stadio conclusivo, poiché da un lato era alle viste l’inizio del dibattimento, fissato per ottobre, nell’ambito del procedimento stralcio a carico di Siino Angelo e altri; dall’altro era già pronta, ma non ancora depositata, la richiesta di archiviazione per le posizioni residue dell’originario procedimento nr. 2789/90 N.R. (Il dott. Pignatone ricorda che i colleghi Lo Forte e Scarpinato l’avessero già completata e depositata, e in effetti è così, poiché la richiesta è datata 13 luglio; ma prima della trasmissione al GIP doveva essere vistata dal procuratore Capo che appose la sua firma solo in data 22 luglio 1992). Nel corso della riunione effettivamente tenutasi alla data prefissata, sull’indagine mafia e appalti relazionò solo il dott. Lo Forte, essendo il dott. Scarpinato assente per sopravvenuti impedimenti familiari.

I ricordi del pm Gozzo

A memoria del dott. Gozzo, fu subito evidente un certo dissenso da parte del dott. Borsellino (“Ho visto questo contrasto più che latente, visibile”), che formulò dei rilievi specifici e in particolare lamentò che non fossero stati acquisiti alcuni atti che erano stati trasmessi o dovevano essere trasmessi dalla procura di Marsala, e che non si rinvenivano all’interno del fascicolo (“Fece questa affermazione: come mai non fossero contenute questa carte all‘interno del processo si trattava di carte che erano state inviate.. alla procura di Marsala — e nella fattispecie dal collega Ingroia, che adesso è anche lui alla procura di Palermo — che era lo stesso processo però a Marsala. C‘erano degli sviluppi e quindi erano stati mandati a Palermo e lui si chiedeva come mai non fosse stata seguita la stessa linea”).
Sosteneva poi che si profilavano nuovi sviluppi, in relazione alle dichiarazioni di un nuovo pentito, e chiese quindi di rinviare la discussione (in sostanza, per quanto sembra di capire, chiese di differire ogni determinazione finale in ordine a quel procedimento, nelle more di possibili nuove risultanze: e in effetti, la richiesta di archiviazione, già alla firma del procuratore Giammanco, rimase in stand by fino al 22 luglio).
Non è chiaro se il nuovo pentito di cui fece cenno il dott. Borsellino fosse proprio Gaspare Mutolo, oppure Leonardo Messina, al cui primo interrogatorio Borsellino aveva proceduto lo stesso giorno dell’interrogatorio di Mutolo, e cioè l’1 luglio 1992, e che in effetti avrebbe fatto ulteriori rivelazioni sul sistema degli appalti e relative ingerenze mafiose, ma anche sul coinvolgimento di politici e le connivenze che facevano prosperare quel sistema.
Ma anche la dott.ssa Sabbatino ricorda che, durante quella riunione, alla domanda che gli fece se fosse in procinto di andare in ferie, Paolo rispose che doveva prima risolvere il problema di un nuovo pentito. Non sapeva se avrebbe potuto andare a interrogarlo, e se sentirlo da solo o insieme ad altri colleghi: una situazione che richiama le incertezze e le ambasce che affliggevano il dott. Borsellino in relazione al caso Mutolo, posto che non era cambiata la formale assegnazione (ad altri) del relativo fascicolo, e che si manifestarono nel corso dell’interrogatorio di Mutolo effettivamente assunto due giorni dopo quella riunione dal dott. Borsellino, insieme ai colleghi Lo Forte e Natoli, come confermato da entrambi.
Ed entrambi confermano di avere sostenuto un’interpretazione della disposizione impartita da Giammanco di coordinarsi con Borsellino per le attività relative agli interrogatori di Mutolo assolutamente rassicurante quanto alla sua piena legittimazione a coordinare altresì le indagini che ne fossero scaturite.
La dott.ssa Consiglio, presente pure lei alla riunione del 14 luglio, ha dichiarato che a svolgere la relazione sull’indagine mafia e appalti furono i colleghi che se ne erano occupati (e fa i nomi del dott. Lo Forte e del dott. Pignatone), i quali illustrarono le ragioni che li avevano condotti a richiedere i provvedimenti cautelari che erano stati accolti.
Ha confermato altresì che il dott. Borsellino si era lamentato del fatto che non fossero state inserite talune carte nel fascicolo del procedimento a carico di Siino Angelo e altri. Ma non può essere più precisa perché non conosceva i fatti cui Paolo si riferiva; tuttavia, notò che l’unico a prendere parte attiva a quella discussione a cui noi eravamo solo dei meri spettatori era Paolo Borsellino.
Né poteva essere altrimenti perché si parlava di un’informativa di 800 pagine sconosciuta a quasi tutti loro (non a lei, però, avendo studiato quel rapporto per la sua connessione con i fatti oggetto di un grosso procedimento per associazione mafiosa, istruito al Tribunale di Termini Imerese, e avente ad oggetto varie vicende e reati di c.o. tra cui anche illeciti relativi ad appalti nei territori di Termini Imerese e Madonie: territori che rientravano appunto nella zona d’influenza di Angelo Siino e nella sua giurisdizione quale ministro dei LL.PP. di Cosa nostra).
Sulle osservazioni formulate dal dott. Borsellino in relazione alla mancata acquisizione al fascicolo del procedimento a carico di Siino e altri di alcuni atti, una spiegazione dettagliata è stata fornita dal dott. Pignatone nel corso della sua audizione.
Era accaduto che i carabinieri, prima ancora che venissero emessi i provvedimenti restrittivi a carico di Siino e altri, avevano informato i magistrati di Palermo titolari dell’indagine (all’epoca, se ne occupava anche il dott. Pignatone) che il dott. Borsellino, n.q. di procuratore a Marsala, aveva indagini in corso su presunti illeciti commessi nella gare di aggiudicazione di alcuni appalti di opere pubbliche da realizzare in Pantelleria, che rientrava nella giurisdizione del Tribunale e quindi della procura di Marsala.

Borsellino disse loro di rivolgersi al dott. Ingroia, che era stata assegnatario di quel fascicolo, per avere le carte che chiedevano. Ma il dott. Ingroia replicò che in quel momento quelle carte non potevano essere rese pubbliche perché – in quel di Marsala – stavano per emettere ordinanze di custodia cautelare in carcere nei riguardi tra gli altri anche del Sindaco di Pantelleria.

Alla fine, non ravvisando elementi specifici di connessione con l’ipotesi di reato di associazione mafiosa per cui si stava procedendo a carico del Siino, fu la procura di Palermo, ovvero i sostituti Lo Forte e Scarpinato, rimasti titolari del procedimento, a trasmettere gli atti in proprio possesso in ordine a quelle gare d’appalto (che erano costituiti essenzialmente da intercettazioni telefoniche tra soggetti cointeressati all’aggiudicazione di quelle gare) all’omologo Ufficio di Marsala, dove si procede(va) per il reato di associazione a delinquere semplice.
Di tale vicenda v’è traccia anche nell’audizione del dott. Borsellino dinanzi alla Commissione Antimafia (in visita agli uffici giudiziari di Trapani), nella seduta del 24 settembre 1991. È lo stesso Borsellino a richiamare l’inchiesta sfociata nell’arresto del Sindaco di Pantelleria e nello scioglimento del consiglio comunale, annoverandola come una delle indagini di maggiore successo condotte dal suo ufficio — e lo dice senza vanagloria personale, ascrivendone il merito ad un mio giovanissimo sostituto — in materia di reati amministrativi di notevole spessore che riguardano gli appalti o l’attribuzione di incarichi professionali; e sottolinea che al riguardo che «tutte queste non sono attività di mafia a sono attività attraverso le quali la mafia usufruisce di facili veicoli di profitto». Il dott. Pignatone ha precisato invero che Borsellino non formulò rilievi specifici, ma si limitò a chiedere chiarimenti; e poi prese atto della spiegazione fornita da Lo Forte.

Un “diverso” metro di valutazione

Tuttavia, avuto riguardo a quanto dichiarato dal dott. Gozzo sulla perplessità espressa dal dott. Borsellino per il fatto che non si fosse seguita la stessa linea, è lecito ipotizzare che persistesse il dissenso del procuratore Aggiunto per avere – i colleghi che si erano occupati dell’inchiesta – adottato un diverso metro di valutazione, ovvero una linea interpretativa e di qualificazione dei fatti ascrivibili ai vari soggetti indagati per le medesime vicende che rimandavano al contesto criminoso in cui era emerso il ruolo di Siino quale artefice degli accordi collusivi tra cordate di imprenditori, esponenti politici e cosche mafiose per la spartizione degli appalti.
E da qui la richiesta di aggiornare la discussione, ovvero di differire le determinazioni finali da adottare, prospettandosi la possibilità di ulteriori sviluppi in relazione alle rivelazioni di un nuovo pentito.
In effetti, tale lettura sembra trovare conforto nelle dichiarazioni del dott. Patronaggio.
Questi, infatti, rammenta che il dott. Borsellino, facendosi portavoce di lamentele da parte dei carabinieri che avevano condotto l’indagine mafia e appalti per l’esiguità dei risultati raggiunti sul piano giudiziario rispetto alle loro aspettative (in assemblea lo disse espressamente che i carabinieri si aspettavano da questa informativa dei risultati di maggiore respiro”), chiese spiegazioni in ordine al procedimento a carico di Siino e altri: «perché lui aveva percepito che vi erano delle lamentele da parte dei carabinieri: verosimilmente, e chiese delle spiegazioni che non erano tanto di carattere tecnico, cioè e era stata fatto o non era stata fatta una cosa, ma più che altro era il contesto generale del procedimento, chi c‘era e chi non c‘era, perché poi in buona sostanza la relazione sul processo Siino fu fatta, sinceramente, esclusivamente per dire che non vi erano nomi di politici rilevanti all‘interno del processo, o se vi erano nomi di politici di un certo peso, vi entravano solo per mero accidente».
In altri termini, le spiegazioni chieste da Borsellino non riguardavano singoli fatti o singoli atti istruttori ma l’impostazione generale dell’indagine e le sue direttrici. Il dott. Lo Forte, però, sempre a dire del dott. Patronaggio, si sforzò di spiegare che il vero nodo dell’indagine, semmai, concerneva il ruolo specifico degli imprenditori.
E anche le doglianze dei carabinieri traevano origine dall’aspettativa, andata delusa, di esiti più cospicui, non si riferivano tanto alle posizioni di uomini politici che entravano nell’indagine solo incidentalmente, bensì alle posizioni degli imprenditori coinvolti (o di taluno di loro): «In realtà no, non è solo nei confronti dei (politici), anche nei confronti degli imprenditori, perché lì il nodo era, il nodo era valutare a fondo la posizione degli imprenditori, e su questo punto peraltro il collega Lo Forte si dilungò spiegando il delicato meccanismo e la delicata posizione dell‘imprenditore in questo contesto, queste furono le spiegazioni date, chieste e date ecc.» (cfr. verbale n. 46, pag. 81).
Ciò posto, non v’è chi non veda che il “dissenso” del dott. Borsellino rispecchiava e denotava il convincimento da tempo maturato che l’indagine su mafia e appalti costituisse un filone investigativo “aureo” nel quadro dell’azione di contrasto alla criminalità organizzata perché puntava – e poteva condurre – ai più inaccessibili santuari del potere mafioso che aveva il suo cuore pulsante nella creazione e nel consolidamento di legami sinergici con pezzi dell’imprenditoria e della politica, oltre a ricavare dalla partecipazione attiva al sistema di spartizione degli appalti un formidabile strumento di controllo dei flussi di ricchezza.
Tale intuizione è il connotato saliente, ed anche il principale merito ascrivibile all’ipotesi investigativa alla base del dossier mafia e appalti, che, come si legge testualmente nella “Relazione sulle modalità di svolgimento delle indagini mafia e appalti negli anni 1989 e seguenti”, «segnava un salto di qualità nelle conoscenze sino ad allora acquisite sui rapporti tra Cosa nostra e il mondo imprenditoriale. Ed infatti emergeva che l’associazione mafiosa non si limitava più a svolgere un ruolo di sfruttamento meramente parassitario delle attività economico-imprenditoriali, concretantesi nell’imposizione di tangenti, di subappalti, di assunzione di manodopera, ma mirava a realizzare un controllo integrale e un pesante condizionamento interno del modo imprenditoriale e del settore dei lavori pubblici in Sicilia, mediante complesse ed articolate metodologie che nel loro insieme costituivano l’espressione più sofisticata e moderna di una strategia di assoggettamento degli operatori economici al prepotere delle organizzazioni facenti capo a Cosa nostra». Sentenza della Corte d’Appello 27 novembre 2022 • La serie sulla trattativa stato-mafia EITORIALE DOMNI.IT