Stragi mafiose: ecco la maxi-tangente che permise la vendita del colosso greco

 

 


 

Fiume di denaro a Giorgiadis, l’uomo che “rastrellava le azioni” della Heracles. Dal dossier mafia-appalti a Carrara: il collegamento evitato nell’anno degli attentati


SECONDA PARTE
15 ottobre 2025 IL DUBBIO Damiano Aliprandi
C’è la prova che completa l’inchiesta de Il Dubbio. La prova che la vendita di Aget-Heracles, il più grande colosso cementiero greco, alla Calcestruzzi Spa è avvenuta attraverso una maxi-tangente.
Tredici miliardi di lire che nel febbraio 1992 attraversano la Svizzera per finire nelle mani di un intermediario greco incaricato di “rastrellare” le azioni. Denaro proveniente dalle cave di Carrara controllate da Totò Riina tramite i fratelli Buscemi.
La prova emerge rileggendo un verbale del 19 aprile 1994. Quel giorno, nel Tribunale di Massa Carrara, il procuratore Augusto Lama e il maresciallo Franco Angeloni interrogano Giuseppe Berlini, il tesoriere occulto del Gruppo Ferruzzi.
Quello che confessa è devastante: ammette di aver gestito il transito di tredici miliardi dall’Imeg – l’Industria Marmi e Graniti dei Buscemi – fino a Lorenzo Panzavolta, che li ha girati a «l’uomo di affari greco Giorgiadis» per l’operazione Heracles.
Il verbale viene trasmesso al pm Francesco Iacovello di Ravenna che indagava sulle tangenti del Gruppo Ferruzzi. Quelle parole sono la prova di come il denaro di Riina scivola tra conti svizzeri anonimi per “rastrellare” il gioiello industriale della Grecia.
 

Da Via D’Amelio alle strade di Atene

 
Era il 24 gennaio 1994 quando due uomini in motocicletta affiancarono l’auto di Vranopoulos nel quartiere di Nea Filadelfia ad Atene. L’ex governatore della Banca Nazionale Greca stava per testimoniare in un’inchiesta sulla vendita truccata del 70% delle azioni di Aget-Heracles, il più grande colosso cementiero greco, alla Calcestruzzi Spa. Una vendita avvenuta l’11 marzo 1992, il giorno prima dell’omicidio di Salvo Lima, inizio della strategia stragista di Cosa Nostra.
Il gruppo terroristico 17 novembre rivendicò l’assassinio accusando una vendita opaca che aveva visto complici il primo ministro Konstantinos Mitsotakis, il ministro dell’Economia Stefanos Manos e lo stesso Vranopoulos. Il Parlamento greco votò per una Commissione d’inchiesta. Ma tutto si fermò.
La tangentopoli greca venne evitata. Quello che i greci non sapevano è che dietro quella vendita c’era una tangente. E che la Calcestruzzi Spa era controllata, tramite Lorenzo Panzavolta, da Totò Riina attraverso i fratelli Buscemi. Che il dossier “mafia-appalti” dei Ros, depositato alla Procura di Palermo nel febbraio 1991, ma non valorizzato nel biennio 91-92, aveva svelato questa infiltrazione. Che Paolo Borsellino aveva intuito che la strage di Capaci e l’omicidio Lima erano riconducibili alla questione degli appalti e aveva ben presente l’infiltrazione mafiosa nella Calcestruzzi Spa. Dopodiché, la strage di Via D’Amelio. E quando avvenne l’attentato contro Vranopoulos nel gennaio 1994, Alessandro Pansa, all’epoca capo dello Sco, chiese una rogatoria alla Procura di Palermo. Una rogatoria mai eseguita.
 
La confessione del tesoriere Berlini
 
Torniamo al verbale del 1994. Giuseppe Berlini parla. E quello che dice è devastante. «Con riferimento alla persona che mi informò del prossimo accreditamento di una cifra cospicua, che poi risultarono essere i 13 miliardi di lire… posso dire con quasi certezza che si sia trattato di tale Zaffali Viscardo, un ex funzionario del Gruppo Ferruzzi». I tredici miliardi affluiscono su un conto della sua struttura presso la Banca della Svizzera Italiana a Ginevra. Ma attenzione: «Non si trattava di un vero e proprio conto corrente bancario, bensì di un conto di fatto non bancariamente documentato che io gestivo tra alcune società del Gruppo Ferruzzi, tra cui la Calcestruzzi Ravenna».
Denaro fantasma che non lascia tracce ufficiali.
Il bonifico parte dalla Paribas, filiale di Zurigo. È il febbraio 1992. Berlini trascrive su un appunto privato la cifra: 13 miliardi. Con l’indicazione “Imeg”. Parliamo dell’Industria in mano ai fratelli Buscemi, le cave di Carrara privatizzate nel 1987-88 dall’Eni-Samin alla Calcestruzzi Ravenna attraverso una svalutazione artificiosa.
Ma è quello che Berlini dice dopo a far gelare il sangue. «Quanto all’utilizzo dei 13 miliardi menzionati, preciso che questi sono serviti a compensare l’esposizione che in quel momento avevo per precedenti richieste del Panzavolta di pagamento, con particolare riferimento all’operazione “Heracles”, di cui ho già parlato al dott. Jacoviello, ma soprattutto in tal senso al pagamento di somme di danaro all’uomo di affari greco Giorgiadis, che era colui che doveva rastrellare le azioni della “Heracles”, sempre peraltro per conto della Calcestruzzi».
Eccola, la prova. Tredici miliardi di lire – provenienti dall’Imeg dei Buscemi – attraversano i conti svizzeri per giungere nelle mani del greco Giorgiadis. Data del pagamento: febbraio 1992. Data della vendita di Heracles: 11 marzo 1992. Un mese. Il tempo necessario perché il denaro faccia il suo sporco lavoro.
 
La mappa delle infiltrazioni
 
Per capire chi ha davvero comprato Heracles bisogna entrare nel labirinto delle società che collegano Palermo a Ravenna, Carrara e la Grecia. Tutto parte dall’indagine del procuratore Lama sulle infiltrazioni mafiose nelle zone marmifere di Carrara. I fratelli Buscemi – Salvatore, Antonino, Giuseppe – e la famiglia Bonura sono i reggenti del mandamento mafioso Passo di Rigano-Uditore. Lo confermarono già tutti i “dichiaranti” mafiosi, da Buscetta a Calderone. Operano nel settore edile ed estrattivo attraverso la Generali Impianti Spa di Palermo e una rete di partecipazioni incrociate che li lega alla Calcestruzzi Ravenna. Nel 1984 la Calcestruzzi Palermo cede il 100% del pacchetto azionario alla Calcestruzzi Ravenna.
Nel 1987-88 avviene il colpo grosso. L’Eni privatizza il settore lapideo attraverso una svalutazione del 30% delle giacenze Imeg e Sam, orchestrata dal geometra Girolamo Cimino, cognato dei Buscemi.
La Calcestruzzi Ravenna rileva il pacchetto a prezzi scontati, mentre la Generali Impianti diventa la principale destinataria della produzione marmifera. Nell’estate 1991, un’intercettazione capta una conversazione su un “summit” a Ravenna presso la Calcestruzzi. Presenti «pretori o roba del genere», tra cui «uno anche di Palermo». Il messaggio: allontanate i mafiosi perché c’è un’indagine in corso. Ma i Buscemi restano. E quando nel febbraio 1992 servono tredici miliardi per “rastrellare” le azioni di Heracles, quei soldi arrivano proprio dalle cave controllate da Riina.
 
Il denaro fantasma: da Zurigo alla Grecia
 
Berlini, nel suo interrogatorio, spiega il meccanismo. «Si è trattato di un’operazione estero su estero», dice. Il bonifico parte dalla Paribas di Zurigo, arriva alla Banca della Svizzera Italiana a Ginevra, su un conto gestito da lui stesso attraverso «diverse società solo documentalmente esistenti ed in genere con sede all’estero». Nel proclama dei terroristi greci si parla di un’operazione opaca con «manipolazione intenzionale» della gara. «Calcestruzzi era stata preselezionata e un accordo segreto con la Banca Nazionale Greca aveva falsato la concorrenza».
Vranopoulos era il governatore di quella banca e stava per testimoniare quando venne ucciso. Quello che i greci non sapevano è che dietro quell’operazione c’era un fiume di denaro mafioso che aveva attraversato la Svizzera nel febbraio 1992 per finire nelle mani di Giorgiadis. Quando Vranopoulos viene assassinato nel gennaio 1994, Alessandro Pansa intuisce il collegamento e chiede una rogatoria alla Procura di Palermo, al procuratore Giuseppe Pignatone. Ma quella rogatoria non viene mai eseguita.
Il filo rosso che collega le strade partendo da Ravenna, passando per Palermo e arrivando ad Atene non è mai stato dipanato fino in fondo. Le autorità greche non sanno che è stato svenduto un Paese attraverso il denaro di Riina. E con solo 13 miliardi di lire. È una storia insabbiata, una storia completamente sbagliata.

Il filo rosso delle stragi mafiose: quell’attentato che fece scoppiare il caso Ferruzzi in Grecia

 

L’omicidio Vranopoulos fu l’epilogo della vendita truccata della Calcestruzzi Spa in mano a Riina. Lo SCO chiese una rogatoria a Palermo, procuratore Giuseppe Pignatone, che non fu mai eseguita

Atene, 24 gennaio 1994, ore 8:30 del mattino. Michalis Vranopoulos, ex governatore della Banca Nazionale Greca, si dirige verso il suo studio legale nel quartiere di Nea Filadelfia. È un lunedì freddo e plumbeo.
L’uomo è scortato dal suo autista-guardia del corpo, ma la protezione non basterà. Due uomini in motocicletta si affiancano all’auto. Partono i colpi. Vranopoulos viene centrato più volte. Sopravvive all’agguato iniziale, ma muore poco dopo in ospedale. Anche il suo autista rimane gravemente ferito.
È la firma inconfondibile del gruppo terroristico 17 Novembre, l’organizzazione di estrema sinistra che ha insanguinato la Grecia colpendo politici, industriali, funzionari americani. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso. Non è solo un altro omicidio politico.
È l’epilogo violento di uno scandalo che affonda le radici in un’operazione finanziaria avvenuta l’11 marzo 1992. Una data significativa: il giorno dopo, in Sicilia, la mafia ucciderà Salvo Lima, inizio della strategia stragista.
L’operazione ha visto protagonista un nome destinato a risuonare anche nel dossier mafia-appalti dei ROS, un nome che in quel momento (parliamo sempre del 1992) non era stato valorizzato dalla Procura di Palermo: la Calcestruzzi SpA del gruppo Ferruzzi-Gardini. Emerge un fatto inedito: quando avvenne l’attentato in Grecia, Alessandro Pansa, all’epoca capo dello Sco, chiese una rogatoria alla Procura di Palermo, in particolare al procuratore Giuseppe Pignatone. Risulta che però non fu mai eseguita.
Il proclama con cui il 17N rivendica l’assassinio è lungo, dettagliato, accusatorio. Un messaggio violento di propaganda rivoluzionaria, ma nel contempo un atto d’accusa preciso contro quella che viene definita “la vendita dell’AGET-HERACLES”, la principale cementeria greca, ceduta alla Calcestruzzi SpA attraverso un’operazione opaca che avrebbe visto complici il Primo Ministro Konstantinos Mitsotakis, il ministro dell’Economia Stefanos Manos e lo stesso Vranopoulos. Ma in quell’assassinio si registra subito un dettaglio inquietante: Vranopoulos era in procinto di testimoniare in un’inchiesta giudiziaria sulla presunta vendita truccata del 70 per cento delle azioni al colosso italiano.Un’inchiesta destinata a finire nel nulla.

Il gioiello ellenico

AGET Heracles era il gioiello della corona: la più grande cementeria greca, con stabilimenti a Volos e Aliveri capaci di produrre 5,5 milioni di tonnellate in un solo anno. L’azienda controllava 18 società sussidiarie in navigazione, calcestruzzo, carbone, estrazione mineraria e costruzioni metalliche. Nel 1993, poco dopo l’acquisizione italiana, la produzione raggiunse 12,668 milioni di tonnellate di cemento, con il 50% destinato all’export verso USA e Italia. Un affare gigantesco che coinvolgeva la Calcestruzzi, controllata – tramite Lorenzo Panzavolta – da Totò Riinaattraverso i fratelli Buscemi.
Nel maggio 1994, a seguito dell’assassinio, si accende un dibattito parlamentare. I deputati del PASOK sostengono che la gara sia stata una “manipolazione intenzionale” per ottenere un prezzo basso.
L’accusa principale: Calcestruzzi era stata preselezionata e un accordo segreto con la Banca Nazionale Greca aveva falsato la concorrenza. Il Parlamento vota per l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta, ma le buone intenzioni finiscono nel nulla. Le accuse di Papandreou contro Mitsotakis vengono archiviate: entrambi i partiti hanno interesse a non approfondire. L’indagine della magistratura si arena. La tangentopoli greca viene evitata.

Il summit segreto di Ravenna

Per comprendere questo intreccio bisogna tornare al febbraio 1991. I ROSdei Carabinieri, su impulso di Giovanni Falcone, depositano alla Procura di Palermo il dossier “mafia-appalti”. È un’indagine che dimostra come Cosa Nostra abbia infiltrato sistematicamente il sistema degli appalti pubblici, principalmente in Sicilia, stabilendo rapporti simbiotici con grandi gruppi industriali del Nord.
Tra i nomi che emergono ci sono i fratelli Salvatore e Antonino Buscemi, boss mafiosi della famiglia di Boccadifalco, a Palermo. I Buscemi sono i “colletti bianchi” della criminalità organizzata. Hanno società. E soprattutto, sono soci nella Calcestruzzi SpA del gruppo Ferruzzi-Gardini.
Il dossier non rimane segreto a lungo. Come scriverà anni dopo la giudice Gilda Loforti: “Risulta assolutamente certo che l’informativa del febbraio del 1991, denominata ‘mafia-appalti’, fu illecitamente divulgata prima della emissione dei provvedimenti restrittivi”.
Qualcuno avvisa. Qualcuno dall’interno della magistratura fa uscire il dossier. E i destinatari dell’avviso non sono solo i mafiosi.

Estate 1991. Mentre il dossier mafia-appalti circola illecitamente, mentre Falcone tuona contro le infiltrazioni mafiose durante un convegno pubblico a marzo («questo sa tutte cose, questo ci vuole consumare», dirà allarmato Antonino Buscemi), accade qualcosa di straordinario.
Un’intercettazione del 14 luglio 1991, condotta dall’ex guardia di finanza Franco Angeloni, braccio destro del PM Augusto Lama di Massa Carrara, capta una conversazione inquietante tra due ingegneri delle cave di Carrara. Si parla di un “summit supremo” avvenuto a Ravenna, presso la sede della Calcestruzzi SpA.
Presenti: “pretori o roba del genere”, tra cui “uno anche di Palermo”. Qualcuno dall’autorità giudiziaria di Palermo si reca a Ravenna per incontrare i vertici della Calcestruzzi. Il messaggio, come traspare dal racconto dei due, è chiaro: allontanate i mafiosi perché c’è una indagine in corso. Ma nonostante l’avvertimento, i fratelli Buscemi continuano a essere presenti e attivi nelle società del gruppo Ferruzzi.
È il periodo in cui il capo della Procura di Palermo, Pietro Giammanco, cerca irritualmente di inviare il dossier mafia-appalti (ancora coperto da segreto istruttorio) al ministro della Giustizia Claudio Martelli. Solo l’intervento furioso di Falcone blocca questa irregolarità.
È il periodo in cui, secondo l’indagine della Procura di Caltanissetta guidata da Salvatore De Luca, il sostituto Gioacchino Natoli – oggi indagato – avrebbe insabbiato con Pignatone le indagini segnalate da Massa Carrara sui Buscemi e sul gruppo Ferruzzi. Entrambi si dichiarano innocenti. È il periodo in cui le deleghe ai ROS, conferite nell’estate ‘91, non contengono indicazioni per approfondire il ruolo dei Buscemi. Una “coincidenza” sanata solo dopo le stragi.

Paolo Borsellino, già nel 1991 quando era a Marsala, prende quel dossier e ne farà il suo chiodo fisso. «La causa della morte di Falcone è riconducibile agli appalti», dirà a Luca Rossi il 2 luglio 1992. Il giorno prima aveva interrogato Leonardo Messina, che gli rivelò: «Totò Riina è il maggiore interessato della Calcestruzzi». Messina lo aveva saputo lamentandosi di aver ricevuto poco da un appalto miliardario. “L’ambasciatore” di Giuseppe Madonia gli aveva risposto di lasciar perdere: c’erano gli interessi di Riina tramite la Calcestruzzi di Gardini.
Per la seconda volta, dopo la seconda nota da Carrara che intercetterà lui stesso e l’assegnerà a Lo Forte e Pignatone, Borsellino trovò il riscontro del dossier ROS.
Il cerchio si chiudeva. Giovanni Bini rappresentava il gruppo in Sicilia. Lorenzo Panzavolta, braccio destro di Gardini e amministratore della Calcestruzzi, era il terminale milanese del patto scellerato. Diciotto giorni dopo, Borsellino moriva in Via D’Amelio. Le sentenze sulle stragi evidenziano come mafia-appalti fu una causa scatenante.
Nel 1993 si suicida Raul Gardini. Lo stesso anno muore Sergio Castellari, ex direttore generale del ministero delle Partecipazioni statali, in circostanze dubbie.
Periodo in cui, dopo il biennio 91-92, la cattura di Riina e l’infuriare di Tangentopoli, implodono gli affari tra la Ferruzzi e le società palermitane legate a Cosa Nostra.
Vicenda enorme, inquietante, che non si fermava ai confini nazionali. Ma tutto questo, impegnato a inseguire il M5S e le tesi fuorvianti di Report, il PD in commissione antimafia non lo sa.